100 anni da KRONSTADT

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“Lo specialista borghese che conosce il suo lavoro ci è dieci volte più utile del comunista presuntuoso che sa solo gridare slogan e scrivere sciocchezze”. Lenin (https://www.marxists.org/archive/lenin/works/1921/mar/15a.htm)

Ricorre in questo mese di marzo del 2021 il centenario della rivolta di Kronštadt. Si tratta sicuramente di un episodio tragico e spiacevole della Russia sovietica, in fase di edificazione. Come al solito su tali eventi si lancia un branco di sciacalli bavosi per screditare Lenin e compagni. Oltre agli indefessi detrattori liberali troviamo, ad avvelenare i pozzi della storia e della memoria, gli pseudorivoluzionari trotzkisti che per l’occasione si fanno addirittura antitrotzkisti in quanto, il capo dell’armata rossa, fu tra i principali protagonisti della repressione dei moti succitati. Lev Trotskij, ha sempre difeso la scelta fatta in quel drammatico momento:

“la ribellione di Kronštadt …costituiva nella sua essenza un pericolo mortale per la dittatura del proletariato. Per il fatto di aver commesso un errore politico la rivoluzione proletaria avrebbe forse dovuto punirsi commettendo un suicidio? Forse sarebbe stato sufficiente informare i marinai di Kronštadt a proposito dei decreti sulla NEP, per pacificarli? Illusione! Gli insorti non avevano un programma cosciente e non l’avrebbero potuto avere per la natura stessa della loro composizione piccolo borghese. Essi stessi non comprendevano chiaramente che ciò di cui avevano bisogno i loro padri e fratelli era innanzi tutto il libero commercio; erano scontenti e confusi, ma non vedevano nessuna via di uscita. I più coscienti, cioè gli elementi di destra che agivano dietro le quinte, volevano la restaurazione del regime borghese. Tuttavia essi non ne parlavano apertamente. L’ala «sinistra» voleva la liquidazione della disciplina, «liberi Soviet» e migliori razioni. Il regime della NEP avrebbe potuto pacificare gradualmente il contadino e, dopo di lui, i settori scontenti dell’esercito e della flotta, ma occorreva che ci fosse il tempo di farne l’espe¬rienza…Sfortunatamente la con¬trorivoluzione mondiale non li avrebbe lasciati stare in nessun caso. La logica della lotta avrebbe dato il predominio nella fortezza agli estremisti, vale a dire agli elementi più controrivoluzionari. La mancanza di rifornimenti avrebbe fatto si che la fortezza sarebbe divenuta dipendente direttamente dalla borghesia straniera e dai suoi agenti, gli emigrati bianchi. A tale fine si stavano già facendo preparativi. In circostanze simili solo gente come gli anarchici o i Poumisti spagnoli avrebbero assunto un atteggiamento di attesa passiva nella speranza di un lieto fine. Fortunatamente i bolscevichi appartenevano a una scuola assai differente; essi considerarono loro dovere estinguere il fuoco non appena era stato appiccato e quindi ridurre al minimo il numero delle vittime”.

Era inevitabile che i bolscevichi spegnessero con la violenza quel focolaio di insurrezione che sarebbe stato alimentato dalle forze esterne e da elementi reazionari interni per incendiare tutta la giovane impalcatura rivoluzionaria edificata dai comunisti. Erano anni molto turbolenti, la guerra civile si protrasse fino al 1923 anche se la nascita dell’Unione Sovietica fu ufficialmente proclamata agli sgoccioli del 1922.
Tra provocazioni straniere, quinte colonne interne e malumori sociali conseguenti alla guerra mondiale (conclusa da poco) e civile (in pieno svolgimento), non era affatto scontato che i bolscevichi riuscissero a tenere insieme quel grande paese devastato da molti avvenimenti concentrati in un così breve lasso di tempo. Ci riuscirono, invece, anche a costo di un fratricidio contro quegli stessi marinai che si erano distinti nel 1917-18 allorché si trattava di far fuori affamatori zaristi e impostori democratici.
Non dimentichiamo che i marinai entrarono nel mito rivoluzionario nel 1917 quando l’incrociatore Aurora sparò il colpo che diede il segnale per la conquista del Palazzo d’Inverno. Fu dunque un vero dramma quello di Kronštadt, i bolscevichi si trovarono nella complicata situazione di far prevalere il realismo sulle emozioni. Ma, come scrive giustamente Trotskij, i bolscevichi erano fatti di una pasta diversa dai velleitari delle altre correnti rivoluzionarie e non si intenerirono quasi per nulla. Salvare le conquiste della rivoluzione, al costo di qualche migliaia di morti, o far sprofondare il Paese in nuovi disordini ad un prezzo molto più alto. In verità, fino all’ultimo, fu chiesto ai marinai di mettere fine all’ammutinamento assicurando loro la totale incolumità. Lenin era moralmente distrutto, cercò invano di evitare la carneficina, ma non poté fare diversamente. Lo afferma persino Trotskij. I trotskisti, invece, continuano a non distinguere tra reazione e rivoluzione. Non è un caso che ovunque ci sia un tradimento appaia sempre un trotskijsta confuso nella parte del traditore.