La fine dell’Ue

Mr. Trump- Yellow Tie

Non è credibile la Merkel che fa di testa sua contro l’America. La Cancelliera non è antiestablishment statunitense ma nemica giurata di Trump, per ordine delle élite obamiane. Discorso valevole anche per i suoi colleghi europei. Servi che non hanno potuto cambiare cavallo perché sotto lo schiaffo dei circoli democratici di oltreoceano, ai quali devono tutto. Se tradiscono si ritrovano impallinati o irrimediabilmente screditati. Ma qui arriva il bello. Rischiano ugualmente di finire a gambe all’aria qualora l’ex tycoon newyorkese si dimostrerà in grado respingere gli assalti (dall’impeachment a qualche pallottola vagante) dei suoi avversari in patria. Costui, rafforzatosi in casa, passerà certamente alla resa dei conti percuotendo i vassalli e gli zimbelli del vecchio continente che lo hanno osteggiato (non solo politici ma anche giornalisti, professori, banchieri, imprenditori ed altri ancora). Sarà un terremoto perchè il libro nero è già zeppo di nomi. Per questo, se vogliamo vedere dei piccoli cambiamenti in Europa dobbiamo augurare lunga vita al Presidente. Non illudiamoci però. Ciò non determinerà un allentamento dei vincoli atlantici sull’Europa, anche se avremo il piacere di sentire il rumore delle teste rotolanti degli invertiti che hanno ridotto la Comunità all’attuale bordello. Tuttavia, è probabile che nella fase di sostituzione delle leadership, nei passaggi di consegne più o meno cruenti e nei vuoti di potere conseguenti, possano crearsi le condizioni giuste per l’emergere di soggetti politici meno assuefatti all’impero e più inclini ad un progetto di sganciamento da Washington. Non sarà scontato né automatico ma è una eventualità da non farsi sfuggire. La difficile ascesa di Trump indica che è in corso un cambio di strategia ai vertici della superpotenza mondiale che vuole avere tutt’altro approccio verso i problemi globali. Obama era il caos. Trump è il colpo a sorpresa. Obama anteponeva la narrazione alla bomba. Trump prima fa fuoco e poi tratta. In ogni caso, si concretizzerà quello che un analista americano aveva previsto tempo fa e di cui avevamo riferito su questo sito. L’armamentario politicamente corretto, eretto dai benpensanti liberaldemocratici, è divenuto una pesante zavorra per gli stessi americani che si sentono limitati nei movimenti in un momento in cui le sfide si fanno dirette. L’epoca richiede nuovi sistemi: “per gli Usa è arrivato il momento di smettere i panni del gendarme buono e di vestire quelli dell’agente cattivo che opera ad esclusiva tutela dei propri interessi diretti, senza troppi infingimenti e giri di parole. Tale motivazione è sufficiente per intraprendere qualsiasi azione indirizzata alla preservazione dell’ordine mondiale di cui sono alla guida.. il periodo della carota si è irrimediabilmente concluso, ora è il momento del bastone. Basta con i discorsi demagogici e le perdite di tempo per perorare, soprattutto presso gli alleati, la causa della democrazia e dei diritti umani come mezzo di persuasione “gentile” e di coinvolgimento collettivo. Occorre derubricare il soft power e ricorrere alla mano pesante per ottenere la vittoria e non perdere posizioni. Washington dovrebbe avere il coraggio d’intervenire nelle contese internazionali facendo appello all’unica ragione che davvero conta: la sua sicurezza nazionale che ha come limite i margini della sua capacità di proiezione. Essa, infatti, viene prima delle grandi narrazioni di copertura, delle forme di esortazione blanda, quelle col guanto di velluto, di cui l’America si è servita in precedenza per “legalizzare” le sue ingerenze all’estero. Dunque, fine dell’ipocrisia e bando alle ciance, è la ragione del più forte che autorizza qualsiasi intromissione negli affari altrui. L’America deve mostrarsi per quello che è, il perno del pianeta e il vertice della sua gerarchia e come tale deve comportarsi, picchiando sulle teste di chi si oppone ed alzando il prezzo della resistenza dei recalcitranti. Se c’è qualcuno che vuole sfidare la preminenza degli Usa ne pagherà le conseguenze senza pietà”.
Prepariamoci al peggio che coincide, in questo caso, col meglio.