Potere

Lenin sosteneva che la democrazia è il miglior involucro della dittatura borghese. Non si sbagliava per i suoi tempi, e non sbaglieremmo oggi nel sostenere che essa è il miglior involucro della dittatura tout court. A voler essere più precisi, le cosiddette democrazie, pur svolazzando in un cielo di verbosa superiorità, sguazzano nel fango. Spesso non viste o viste solo quando non se ne può fare a meno.
Innegabilmente, esse utilizzano strumenti collaudati per incanalare consenso e dissenso, trovando nella competizione elettorale, sempre più simile a una contesa calcistica, la loro massima espressione. Ma non si tratta solo di questo. Il sistema può contare sull’azione di numerosi corpi intermedi, aggregazioni di varia tipologia e natura, ufficialmente strutturate e non, che simulano forme partecipative e inclusive, tese a modulare e modellare ogni conflittualità sociale. Una conflittualità che, per loro, non deve mai sfociare nella violenza o nel terrore, ma assumere una forma dialogica e conciliativa degli interessi (che coincidono o non si discostano troppo dai loro, benché ammantati di condivisione e civiltà).
Esiste un perimetro ben definito, e non per questo statico, di “valori” e “principi” (etici, sociali, economici e politici) che non deve essere oltrepassato. Peraltro, forma e sostanza di questi non coincidono, perché i veri democratici (quelli che comandano ai diversi livelli) non credono alla democrazia se non come enunciato, altrimenti non starebbero dove si trovano. Quando si teme che il giocattolo non funzioni bene o, almeno, non per quella determinata circostanza, entrano in gioco i corpi speciali dello Stato, ufficiali e non ufficiali, segreti o scoperti, che, esattamente come in tutti gli altri regimi, operano con mezzi, strumenti e sistemi “adeguati”.
In questo senso e frangente, non vi è alcuna differenza tra la migliore democrazia e la peggiore dittatura, né tra la peggiore democrazia e la migliore dittatura. De André cantava: non ci sono poteri buoni. A dire il vero, non ci sono nemmeno poteri cattivi, il potere opera per la propria perpetuazione, che coincide con l’organizzazione dell’intera società secondo una visione o del tipo di società necessaria a quei gruppi dominanti. (Non uso questi termini dispregiativamente: in ogni tempo e luogo ci sono i dominanti e i dominati, meglio dire chi decide e chi subisce le decisioni, altrimenti, se decidessero tutti, non si prenderebbe alcuna decisione coerente e sarebbe il regno del caos.)
Chiaramente, il potere è attraversato da lotte non solo esterne ma anche interne, esse sono il suo motore interiore, che produce società. Quei conflitti che, precipitando chimicamente, come afferma La Grassa, danno luogo a configurazioni sociali più o meno stabili, anche sotto forma di istituzioni e altri apparati necessari per operare in società. Nel nostro caso, osserviamo che i poteri occidentali sono ormai privi di un destino, definitivamente avvitati su se stessi, tanto da finire per deprimere e distruggere ciò che dovrebbero invece fortificare e sviluppare, danneggiando in modo grave classi sociali e interi Paesi.
Da qui, e solo da qui, nasce la nostra contestazione e la nostra battaglia contro di loro. Sono l’espressione di una decadenza da fermare e scacciare. La nostra è innanzitutto una giusta guerra di sopravvivenza e, si spera, anche di rinascita collettiva. Prima che sia troppo tardi.