Il sangue e le rape (di fabio fino)

Tanto tanto tempo fa, tutte le storie cominciano così, al signore di un paese lontano giunsero alcuni uomini, che gli chiesero di proteggere la loro città contro dei barbari dai quali erano stati attaccati. Il signore del paese lontano, pensando che quell’impresa avrebbe accresciuto la sua gloria, accorse in aiuto degli sventurati. E si vide un esercito mai visto prima, numeroso, forte, ben addestrato. Il signore si scontrò contro l’esercito dei barbari; vinse di misura qualche battaglia, perdendo un alto numero di soldati, e finì con il perdere la guerra. Il signore era Pirro, la città era Taranto, i barbari erano i romani.

Fin qui la storia tràdita. La storia, però, si è ripetuta proprio qualche settimana fa in occasione della vittoria risicata di Prodi e del Centrosinistra nelle elezioni politiche.

Non è mia intenzione soffermarmi sull’analisi del voto, tuttavia non posso evitare alcune (banali) considerazioni. La prima è che il vero sconfitto è Romano Prodi, che non è stato in grado – negli ultimi giorni della competizione elettorale – di attrarre voti. I meccanismi perversi del maggioritario gli consentono, però, di avere una discreta maggioranza alla Camera; maggioranza che sicuramente sarà in affanno al Senato. Da notare il dato di Rifondazione: alla Camera (dove l’ampiezza della base elettorale è maggiore, perché si vota dai diciotto anni compiuti) prende 2.229.604 voti ed al Senato (dove l’ampiezza del bacino elettorale è più contenuta, in quanto si vota dai venticinque anni in su) 2.518.624 voti. Ciò vuol dire che non solo non è stato attratto il voto giovanile (tradizionale “roccaforte” del partito), ma soprattutto che il voto non è stato confermato alla Camera dai suoi stessi elettori. Queste cose dovrebbero seriamente far riflettere la stessa dirigenza di Rifondazione. Non è improbabile che i quasi trecentomila voti “in uscita” siano andati all’Ulivo alla Camera (la somma del dato di DS e Margherita, per il Senato, è del 2% più basso della loro unione alla Camera); potrebbero però essersi distribuiti anche in altro modo [[i]].

Ma non sono queste le cose di cui tener conto, queste sono quasi delle curiosità, dei divertissement, delle bagattelle.

L’elemento più caratteristico di questa tornata elettorale è l’ingovernabilità. Da più parti si parla di riforme, si dice che il paese ha urgente bisogno di riforme, e che (lo ha detto Prodi stesso), le riforme devono essere condivise. Dalle urne esce invece un presidente del consiglio dimezzato, non sufficientemente suffragato all’interno, non candidabile nuovamente per lo stesso ruolo. Un presidente del consiglio, insomma, non sufficientemente credibile.

Sarà interessante vedere per quanto tempo Prodi rimarrà a capo della sua coalizione, senza essere “dimesso” anzitempo. Le contraddizioni all’interno della coalizione ci sono, e sono evidenti: da un lato i fautori della laicità dello Stato, del non finanziamento delle scuole private (da Rifondazione alla Rosa nel Pugno); dall’altra i fautori della clericizzazione  e del finanziamento delle scuole non statali [[ii]] (dai DS all’Udeur). Il primo banco di prova di queste tensioni sarà il DPEF, ma sarà anche il momento in cui il Partito Trasversale Liberista (dalla Rosa nel Pugno a Forza Italia) ed il Partito Trasversale Clericale (dai DS a Fiamma Tricolore) potranno essere svelati.

Ritengo sarebbe stato preferibile vincesse il centrodestra: così tutti avrebbero potuto constatarne l’incapacità di risanare il disastro finanziario da esso stesso provocato, ed al contempo si sarebbero create le condizioni sociali e materiali utili per l’abbattimento dello stato e della democrazia borghese. Compito dei comunisti è fare la rivoluzione, non certo “puntellare” le istituzioni borghesi – adesso, invece, il richiamo al “principio di realtà” metterà la sordina alle tensioni ed alle lotte sociali. Sindacati e partiti “di sinistra” si assumeranno con “senso di responsabilità” l’onore di dover ripianare le voragini economiche lasciate dalla precedente amministrazione. A pagarle, in primo luogo, saranno coloro che hanno già pagato, che hanno sempre pagato: i salariati, i dipendenti.

Il mito liberale del pareggio di bilancio

Dalla fine dell’Ottocento, lo stato liberale ha cercato il “pareggio di bilancio”, al fine di ridurre il peso del debito pubblico e nella convinzione (mutuata dai “classici” del pensiero liberale, Smith e Ricardo in testa) che uno stato “bene ordinato” non dovesse avere deficit o per lo meno dovesse avere un deficit contenuto. In Italia, come sa chiunque abbia un minimo di istruzione (dopo le riforme scolastiche degli ultimi dieci anni è abbastanza difficile, ma non dispero ci siano), il pareggio di bilancio fu frutto di una politica di feroce imposizione economica sulle classi popolari: la tassa sul macinato e la tassa sul sale furono due “invenzioni” della Destra storica, che portarono, nel caso specifico della tassa sul macinato, a gravi insurrezioni popolari (come in Emilia ed in Romagna, dove fu decretato lo stato d’assedio); il pareggio di bilancio fu dunque raggiunto a caro prezzo nel 1875 dal ministro delle Finanze, ed esponente della Destra storica, Quintino Sella [[iii]].

Tornando al presente, la situazione economica così pesantemente fuori controllo [[iv]] avrà dei riflessi immediati non solo sulla realizzazione dello stesso programma di governo dell’Unione, ma anche sulle prossime tornate elettorali (europee ed amministrative).

Occorrerà tranquillizzare i mercati, dando segnali chiari ed inequivocabili della volontà del governo d voler risanare l’economia e rimetterla in moto. Un fulcro di questa politica di rassicurazione – verso i mercati europei ed internazionali – è stata sinora rappresentata dalla scialba presidenza Ciampi. L’elezione di Ciampi alla Presidenza della Repubblica (dove, sinora, ha brillantemente ricoperto il ruolo del notaio, controfirmando leggi vergognose [[v]]) serviva a rassicurare i mercati che l’Italia sarebbe rimasta ancorata all’Euro, che sarebbe stata solerte nella sua opera di riduzione del debito pubblico, di liberalizzazioni, di privatizzazioni. Sono le stesse richieste che vengono rivolte oggi, dagli organismi internazionali, al futuro governo: liberalizzare, privatizzare, risanare. La presidenza Ciampi dovrà essere sostituita, e gl’unici politici di “alto profilo” che possano essere garanti della politica di risanamento ad ogni costo sono (purtroppo) Amato e Dini. Personaggi come Tommaso Padoa – Schioppa o Mario Monti ben difficilmente potrebbero essere chiamati a fare il Presidente della Repubblica. Un segnale innovativo sarebbe la Presidenza della Repubblica alla Bonino, ma il sistema politico italiano è fallocratico e non è ancora pronto per questo.

            Al di là del nome per il Quirinale, il problema immediato per la coalizione di centrosinistra sarà quello di dover operare una scelta, fra un governo con “tutti dentro”, ipotesi plausibile ma al momento non praticabile, o di una maggioranza che sui singoli punti possa trovare intese con l’opposizione (talvolta difficilmente praticabile: si veda la questione della tassazione patrimoniale).

Le prime cose di rilievo saranno l’approvazione delle manovre economiche, almeno due da sessantamila miliardi e solo per iniziare. In condizioni di partenza di questo tipo, ben difficilmente potranno essere compiute assunzioni nelle Pubbliche Amministrazioni e potrà essere eliminato lo “scalino contributivo” dai 36 ai 40 anni per andare in pensione. Al contrario, questo incentiverà la precarizzazione e tanto il Sindacato (in particolare alla CGIL, che della lotta alla precarizzazione ha fatto la bandiera del suo ultimo congresso) quanto i partiti di Centrosinistra dovranno approvare misure economiche antipopolari (per i quali non sono stati votati) e richiamarsi al “senso di responsabilità”, al “principio di realtà” per farle ingoiare in primo luogo alla propria base, ai propri militanti e spiegare così l’impossibilità di realizzare entro il primo anno, la riduzione di sette punti del cuneo fiscale e la cancellazione dell’ICI – misure economiche di questo tipo presuppongono non solo un risanamento dei conti pubblici, una migliore situazione dell’avanzo primario (ora allo 0,5%) ma anche un maggiore trasferimento dallo Stato agli Enti Locali.

La Legge 30 sul lavoro non verrà eliminata [[vi]], la precarizzazione sarà in misura anche maggiore di oggi la forma specifica della post-modernità [[vii]] italiana. Si troveranno, al massimo, dei correttivi che permetteranno una maggiore tutela dei lavoratori “atipici” – sul cosa fare c’è un accordo di base fra tutte le forze politiche: si tratta di attuare una serie di misure di ordine previdenziale – ma non permetteranno comunque ad una intera generazione di avere in mano il proprio futuro.

Per risanare il bilancio, lo Stato sarà molto probabilmente costretto ad alienare parte dei propri beni [[viii]], nonché ad avviare una politica di liberalizzazione in un settore chiave come quello energetico [[ix]], dove è possibile un ritorno all’energia nucleare. In un sistema asfittico come quello italiano, in cui gl’imprenditori sono usi ad investire il proprio denaro per acquistare barche, locali, ville e non a reinvestire gli utili nelle aziende e nella ricerca, le privatizzazioni rischiano (come è successo nei settori assicurativo e bancario) di creare una situazione di monopolio e di falsa concorrenza, utile solo a succhiare soldi ai risparmiatori.           

Senso unico

Il processo di risanamento economico che dovrà essere avviato avrà costi sociali notevoli. La scelta, a senso unico, non ammette eccezione. Da un lato si presenta la necessità di dover competere a livello transnazionale con economie in continua e costante crescita (India e Cina, ambedue con una crescita annua del P.I.L. superiore al 6%) e con Paesi di consolidato sviluppo capitalistico (Stati Uniti, Germania, Giappone). Nel tentativo di competere sui due piani, la scelta (dal Settantasette ad oggi [[x]]) è stata puntualmente quella di comprimere le rivendicazioni salariali a favore di una estrazione di plusvalore che, lungi dall’essere reinvestita nella ricerca e nell’ammodernamento del capitale fisso, è stata utilizzata per fondi neri con cui dare tangenti o per l’acquisto di ville, barche ecc.

Se è vero che il keynesismo (o meglio, certa interpretazione del keynesimo) ha alla lunga determinato una crescita esponenziale del debito pubblico, va ricordato che la crescita economica del Nord-Ovest Industrializzato del mondo è stata resa possibile anche dalla presenza del muro di Berlino, costringendo gli stessi paesi capitalisti ad investire al loro interno e sostenendo, in tal modo, la crescita del P.I.L.

Notoriamente, i problemi determinati da una applicazione selvaggia del keynesismo [[xi]], sono due: l’espansione della spesa pubblica e la stagflazione. Oltre a questi, c’è stato un aumento delle nascite (prevedibile, dopo la II guerra mondiale [[xii]]), che ha reso disponibile un eccesso di manodopera. Una delle azioni che venivano di fatto incoraggiate da una applicazione selvaggia del keynesismo era una politica di rivendicazioni salariali, che ha prodotto l’aumento dell’inflazione.

Alla metà degli anni Settanta, allo scopo di contenere le spese dovute alla guerra del Vietnam, di contrastare le rivendicazioni salariali e di rendere più docile la popolazione, l’amministrazione Nixon decide (1974) di porre termine alla parità di scambio oro-dollaro (accordi di Bretton Woods, 1947). Gli effetti diretti di questa scelta sono un flusso di capitali verso l’Europa occidentale, una progressiva perdita del potere di acquisto del salario operaio, la riduzione della conflittualità di classe, della mobilità verticale sociale [[xiii]]. La teoria monetarista della Scuola di Chicago, cui Lamberto Dini appartiene, e che ha in Milton Friedman il suo principale esponente, è servita (e serve tutt’oggi) al posto del keynesismo, come sostrato ideologico del ritiro dello Stato dalla sfera economica e sociale, per la riduzione dello stato sociale: di fatto, una politica di questo tipo segna il ritorno alla fola della “mano invisibile” del mercato e dell’incontro tra domanda ed offerta, il ritorno a Smith ed alla economia classica. In una condizione di questo tipo, si avvantaggiano i più ricchi e si crea una forbice salariale e sociale che tende ad allargarsi progressivamente sempre di più con il tempo. Per dirla in termini molto banali, i più ricchi si arricchiscono, i più poveri si impoveriscono ancor di più.

Poiché tanto il centrodestra quanto il centrosinistra condividono gli stessi assunti liberisti, la scelta che verrà compiuta sarà quella di ridurre e comprimere ulteriormente la spesa sociale, comprimere e ridurre la spesa pubblica (scuola e sanità in primo luogo), ridurre quanto più possibile le rivendicazioni di aumenti salariali. I redditi “più alti”, che Prodi non è stato in grado né di quantificare né di definire, non verranno toccati, se non marginalmente. Ben difficilmente, per esempio, si sarà in grado di andare a colpire seriamente l’evasione fiscale e soprattutto l’esportazione di capitale all’estero (che negli ultimi mesi è molto aumentata, specialmente verso la Svizzera ed i “paradisi fiscali”).

Attorno al centrosinistra si sono infatti coagulati anche settori economici che non hanno trovato nel centrodestra attenzione per le proprie attività economiche e finanziarie. A questi settori, economici e finanziari, il centrosinistra offre la possibilità di agire senza che il sindacato possa opporsi, per la presenza di un governo “amico”.

Il messaggio inviato a più riprese da Confindustria è stato molto chiaro: si chiede di non smantellare la legislazione del centrodestra (tanto in tema di mercato del lavoro, quanto in tema scolastico) e si chiede di dialogare con le parti sociali. Una Confindustria che chiede il dialogo con le parti sociali è persino più pericolosa di quella che il dialogo non lo voleva e non lo cercava, in quanto punterà a far accettare al sindacato, in virtù della situazione economica attuale (che al capitale-piano fa comodo, molto comodo) una politica di bassi salari. Nell’attuale maggioranza di governo, la Margherita per bocca di Rutelli ha già detto che la legge 30 sul lavoro è una conquista che non si tocca ed il diessino Bersani è corso a Firenze a rassicurare gli industriali, nel corso di un convegno, sullo stesso tema. Del resto, il Partito Trasversale Liberista (dalla Rosa nel Pugno al Centrodestra) detiene la maggioranza assoluta dei seggi, oltre i quattro quinti.

La politica economica non defletterà da quella sinora già realizzata, anzi verranno incentivate “riforme macroeconomiche” (sono parole del direttore dell’FMI) per ridare fiato all’economia. Dunque, più precarizzazione, più privatizzazione, più apertura al mercato. L’Italia dovrà essere appetibile dal punto di vista del rating economico e finanziario e dovrà attirare i capitali esteri. Da questo punto di vista, assieme ad una politica di dismissioni (in cui Prodi eccelle, vedi IRI), si tenterà di rendere appetibile il paese attraverso l’apertura al capitale estero. Non so se si venderanno le coste così come intere città in Toscana, ma l’unico e primo capitale “fresco” che può venire in Italia è quello cinese: solo a Taranto c’è un forte traffico commerciale da e per la Cina. Del resto, poiché l’Italia aderisce (come la Cina) al WTO ed all’interno di questo organismo non sono possibili scelte protezionistiche, l’Italia – così come l’Europa – dovranno aprire le porte alle merci cinesi [[xiv]].

Per l’Autonomia Operaia

            Sperare in un ravvedimento dei partiti socialdemocratici e borghesi sarebbe sperare in una capacità di analisi e di autocritica per loro impossibili. Al momento, non si vedono possibili vie di uscita da questa situazione. Non è la guerra in Iraq, non sarà il minacciato conflitto con Iran a determinare la caduta delle politiche liberiste. Serve solo l’esplosione, violenta, del conflitto sociale. Ma né Rifondazione, né i partiti socialdemocratici e borghesi sono in grado di intercettare quel dissenso che già ora serpeggia per la società. La necrosi del tessuto sociale italiano, avviata dalle politiche liberiste degli anni Ottanta in simbiosi con quanto avveniva a nel Regno Unito della Thatcher e negli Stati Uniti di Reagan, non è ancora giunta a far emergere le tumescenze delle insorgenze anticapitalistiche, gli scontri sociali sono presenti – al momento, ed in forma rapsodica – solo nel Sud del mondo. La Francia rappresenta il primo caso nel Nord del mondo di rivolta popolare contro il precariato, un punto di partenza, non il punto di arrivo, per l’abbattimento delle politiche sociali ed economiche liberiste.

            Occorre puntare ad un livello di analisi e di lotta transnazionale, occorre transnazionalizzare le lotte – procedendo così ad internazionalizzarle, così come ha fatto il capitale-piano dal punto di vista della produzione economica. Far esplodere le contraddizioni, non puntare al loro riassorbimento, al loro assopimento – come invece fanno i partiti socialdemocratici e borghesi.

Quello che i cattolici spostano in un’altra vita, lo vogliamo qui ed ora: la giustizia sociale; vogliamo l’abbattimento del modo di produzione capitalistico; una vita più dignitosa, umana, degna di essere vissuta, per tutti. Per questo, sarebbe necessaria una presa di coscienza, ma per tutto ciò sono necessarie tre cose: la classe, la coscienza, la coscienza di classe. Non c’è l’una senza le altre, e non possono essere date dall’esterno, “infuse per opera dello spirito santo”. Sono una conquista individuale, determinata non solo dal vissuto ma anche dallo scontro con le strutture di assoggettamento del potere e dello stato borghese.

Ed è facile, facilissimo, invece, essere sussunti: la disarticolazione delle lotte passa attraverso i percorsi individuali, attraverso il cedimento, la corsa a cercare – nella merda della precarietà quotidiana indotta dal modo di produzione capitalistico – un minimo di sicurezza, la certezza che “ho un lavoro per due mesi”, la bolletta da pagare: la certezza del non-essere esistenziale.

È questo non-essere esistenziale che però alla fine crea la coscienza, oggettiva: la coscienza, la classe, la coscienza di classe. Non resta che far esplodere le contraddizioni, dar fuoco alle polveri, tagliare la testa al sovrano, dare “l’assalto all’azzurro spalancato del cielo”. È stato già fatto, possiamo rifarlo. Non c’è libertà (sostanziale) senza fraternità ed eguaglianza.





 

[i] È da tener presente che la somma dei dati elettorali delle liste minori (autonome rispetto alle due coalizioni maggiori) è di 158.730 voti, al di sotto dell’1%. La differenza del dato elettorale di Rifondazione è significativa, dato che è di 289.020 voti: giusto l’1%. Rifondazione ha perso l’1% di elettori.

[ii] Non è questo il momento di parlare della scuola e dell’istruzione: approfondiremo il tema prossimamente.

[iii]Uno dei vanti di Tremonti era quello di sedere alla scrivania di Quintino Sella, l’uomo che ha “risanato” il deficit del Regno d’Italia. A Tremonti è invece spettato di portarlo ampiamente fuori controllo, ben oltre le cifre da lui ereditate dal Centrosinistra e da lui scritte su una nota lavagnetta. 

[iv]L’FMI ha recentemente affermato che il rapporto deficit/PIL aumenterà, nei prossimi due anni, fino al 108%.

[v]Basterebbe citare solo la Gasparri. Ma ricordiamo anche la legge Zecchino sull’Università (governo D’Alema).

[vi]Bertinotti ha più volte detto che la legge 30 sul lavoro verrà “superata”. È da notare che il termine è tipicamente hegeliano, e che il “superamento” (aufheben) per Hegel non significa “togliere del tutto”, ma “togliere mantenendo”. Quanto appena detto si applica anche alla legge “Moratti” sull’istruzione. Il Fondo Monetario Internazionale, nel briefing di presentazione del World Economic Outlook  il 19 aprile, ha sottolineato la crescita complessiva della zona euro, ma ha contemporaneamente chiesto maggiore flessibilità.

[vii] Per il post-moderno, sono in debito con Jean-François Lyotard, La condizione postmoderna, Feltrinelli. Un testo molto sottovalutato a sinistra, che ha prefigurato la realtà del Nord-Ovest Industrializzato del mondo (secondo la definizione di Mario Capanna) degli ultimi tre decenni.

[viii] Facendo così la gioia di quanti, ricorrendo alle banche (quindi ai denari dei risparmiatori) per acquistare ex aziende pubbliche (vedi TELECOM Italia), scaricano poi sulla stessa azienda acquistata (senza aver messo un solo centesimo di loro) i costi della scalata: i risparmiatori pagano così due volte. Questo in Italia. Il problema si pone anche all’estero, ad es. per la privatizzazione dei servizi idrici, ed il relativo aumento dei costi. Questa (criminale) politica di privatizzazione è incentivata in tutti i modi dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale, ed ha determinato catastrofi sociali ed economiche in molti Paesi (senza che i “signori” dell’FMI o della BM siano mai stai incriminati per i disastri che hanno creato). A proposito della privatizzazione dei servizi idrici, si veda, ad esempio, Le Monde Diplomatique, Marzo 2005 – Dossier Acqua.

[ix] In Italia, la famiglia Agnelli possiede quote anche nel settore energetico, avendo scalato Montedison con la Elf francese ed alleata a questa ha creato Italenergia, ora Edison.

[x]Tra Lama e gli Autonomi, si può dir solo che avevano ragione gli Autonomi: “I sacrifici li facciano i padroni!”.

[x] Giova ricordarlo: è una misura congiunturale, temporanea, all’interno di una economia capitalistica, finalizzata al sostegno della produzione economica (che incentiva il consumo, con una politica di alti salari).

[xii] Fra il 1950 ed il 1973 si assiste, a livello internazionale ad un aumento esponenziale delle nascite. In Italia questo fenomeno è noto come boom demografico e inizia a decrescere dopo lo choc petrolifero del 1973.

[xiii]Cfr.: Noam Chomsky, Egemonia americana e “stati fuorilegge”, Dedalo, Bari, 2001; Frank Parkin, Disuguaglianza di classe e ordinamento politico. La stratificazione sociale nelle società capitalistiche e comuniste, Einaudi, Torino, 1976.  Prossimamente ci si occuperà anche degli effetti politici e sociali di questa scelta.

[xiv] Per il caso Suez – Gaz de France, l’Italia si è appellata all’UE, che ha condannato la procedura protezionistica francese. Il caso della penetrazione delle merci cinesi ripropone lo stesso problema, verso un problema extraeuropeo.