"VIVA L’ITALIA" (di Gianfranco La Grassa)

Il centrosinistra (in particolare Rutelli e Letta, ma gli altri mugugnano e non prendono decisa posizione) è offeso per la fusione – “senza nemmeno avvertirli” – tra Autostrade (Benetton) e il gruppo spagnolo Abertis, che porterà al primo gruppo mondiale in fatto di autostrade. I suddetti politici esprimono “serie perplessità” e “pesanti riserve”, e “vorranno vedere bene i conti”. Per quale sostanziale motivo? C’è da stropicciarsi gli occhi nel leggerlo: per la difesa dell’italianità di pezzi del nostro sistema finanziario e “industriale” (le Autostrade come industria? Mah, le opinioni possono essere tante).

Sembra impossibile che la memoria sia così corta. Gli stessi personaggi – con alle spalle il “piccolo establishment” (costituito dai 15 proprietari del patto di sindacato della RCS) e i suoi precisi addentellati nelle Procure – hanno attaccato per mesi (non secoli fa, ma l’anno scorso) Fazio, pubblicato le intercettazioni delle sue telefonate, trattato da semidelinquente, perché si ostinava, in nome di un allora definito gretto provincialismo, a difendere l’italianità di Antonveneta e BNL di fronte alle scalate degli olandesi (Abn Amro) e spagnoli (Bilbao; spagnoli come l’Abertis). Adesso l’italianità torna in campo anche per questi campioni del “centrosinistra” e i loro mandanti.

In realtà, al di là della pochezza e miserabilità dei “furbetti del quartierino”, i motivi di fondo dell’attacco a Fazio & C. furono: a) il tentativo di scalata al Corriere (santuario del piccolo establishment); b) come messo in luce da Tronchetti in una intervista concessa a fine battaglia, i veri obiettivi “ultimi” della scalata erano Telecom e Fiat; c) è ora del tutto chiaro che gli effettivi (e definitivi) obiettivi ultimi di tante battaglie finanziarie di questi mesi in Italia (con pesante intervento della finanza euroamericana) sono Mediobanca in quanto chiave che apre la porta delle Generali. E questa battaglia è ben lungi dall’essersi conclusa, pur se sono cambiati i protagonisti (quelli “in prima linea”; per quanto concerne i “più coperti”, sarebbe tutto da vedere).

I tre sopra elencati sono comunque i motivi di fondo che misero “il pepe al culo” del nostro meschino gruppo di comando finanziario-industriale, spingendolo infine a prendere aperta posizione per il centrosinistra con il noto editto Mieli sul Corriere, che tanta sfiga ha portato a tale schieramento politico, in chiaro vantaggio a un mese dalle elezioni e che già pregustava una vittoria tale da creare un bel regime (dopo il duo De Benedetti-Scalfari, bisognerebbe dare la patente di iettatore a Mieli). E’ ovvio che il gruppo economico-finanziario per il momento al comando (ma non proprio unito) cerca un legame privilegiato con forze politiche e sindacali che, nel loro complesso, assicurino un compromesso con il “mondo del lavoro”, aiutino a scremare il cosiddetto ceto medio (in realtà il lavoro denominato “autonomo”) onde ottenere lauti finanziamenti pubblici, diretti e indiretti. Economia e politica stanno ricreando di fatto – ovviamente mutatis mutandis, perché nulla si ripete pari pari – una situazione che ricorda quella della marcia e putrefatta Repubblica di Weimar, fortemente influenzata (negativamente) dalla finanza americana ma con i socialdemocratici in appoggio; e il “già marxista” Hilferding fu Ministro delle Finanze nel 1923 (periodo della grande inflazione in Germania) e nel 1928-29 (inizio della grande crisi mondiale).

Detto questo, rilevo che nella fusione “autostradale” la Abertis ha certo un notevole potere (ma non si può ancora dire se sarà o meno prevalente). Inoltre, in appoggio ai Benetton sta Profumo, Ad di Unicredit e messosi ben bene in evidenza – assieme a Bazoli, Passera e altri finanzieri – quale elettore di Prodi alle “primarie”. La recente fusione di questa banca con la tedesca Hvb è stata esaltata proprio dai settori di centrosinistra che adesso esprimono forti riserve sull’operazione di cui stiamo parlando. Voglio ricordare, sempre “in nome dell’italianità”, che nella fusione tra Unicredit e Hvb, mentre tutti ne parlano come si trattasse di una incorporazione della seconda da parte della prima, il principale azionista è in realtà la società assicurativa tedesca Munich Re, un autentico gigante finanziario del ramo. Poche balle: tutti tirano in ballo o il grande valore dell’italianità, o il suo gretto provincialismo e chiusura nazionalistica, a seconda di interessi che non hanno nulla a che vedere con quelli della stragrande maggioranza della popolazione. Il ceto politico italiano è, “trasversalmente”, implicato in questo camaleontico gioco di sfacciati interessi monopolistici e finanziari del tutto estranei ai popoli, dell’Italia come dell’Europa.

Se possibile, dovremmo cercare di considerare un po’ meglio per chi stiamo lavorando, o almeno chi stiamo appoggiando, spesso in nome di un fantomatico “meno peggio”, che proprio non esiste. Ovviamente, chi lavora, fa affari, ecc. non può non avere contatti con questo pur corrotto ambiente politico ed economico; siamo uomini di mondo (come diceva Totò, “abbiamo fatto tre anni di militare a Cuneo”) e lo capiamo. Tuttavia, sarebbe bene prendere atto che la situazione può magari marcire ancora per anni, ma più durerà e più sarà doloroso uscirne; almeno se ne tenga conto e si valuti attentamente quanto malsana essa sia.