TELECOM, LA SENTI QUESTA VOCE?

 

Le ultime notizie sull’affaire Telecom e le intercettazioni illecite di managers e imprenditori, politici e banchieri, dirigenti di società sportive e arbitri, la dice lunga su qual è l’ideologica che copre i mezzi di cui si servono i poteri dominanti per conquistare spazi di mercato, supremazia sugli avversari e, naturalmente, il dominio sulla società. Chiunque abbia studiato un po’ di economia capirà che le lezioni sulla concorrenza (nelle sue diverse varianti), i vantaggi derivanti dalla “sana” competizione mercantile, i profitti intesi quale fine precipuo dell’attività d’intrapresa economica, prendono il davanti della scena ma non esauriscono il campo e la dimensione di un conflitto tra contendenti che è molto più vasto e intricato. Spostando di un po’ la visuale, insieme alle leggi “eterne” dell’economia, insieme allo studio del saggio di profitto, dei costi medi e marginali, del costo del lavoro ecc., a scuola si dovrebbe studiare anche Karl Von Clausewitz, il generale prussiano dell’arte militare e della guerra, per capire come le strategie dei dominanti siano orientate da strumenti diversi rispetto a quelli dell’economica pura. Da qui si comprende che, sul quel campo di battaglia che è il mercato, le strategie interdominanti si servono degli strumenti più diversi per raggiungere determinati obiettivi: dall’accerchiamento del nemico all’inganno e al sotterfugio, dalla sottrazione di energie vitali per costringerlo ad alleanze (sempre provvisorie) al conflitto economico spietato per obbligarlo alla resa incondizionata e senza l’onore delle armi. Se si studia la lotta interdominanti tenendo presente questa prospettiva, evitando di restare schiacciati sotto il peso dell’economicismo, si possono cogliere i tratti più salienti di questo pugnar, che può essere più o meno violento o più o meno pacifico (e condotto, di volta in volta con le armi della diplomazia per limitare il campo d’azione degli avversari, o con l’intento esplicito e non troppo celato di espungere dei concorrenti dal mercato) tutto si fa, comunque, per il controllo e il dominio sociale, fine specifico che viene obnubilato dal velo dell’economia ideologica. Insomma, occorrerebbe pensare all’efficienza e all’efficacia perseguite dalle imprese (di cui sono pieni i manuali di management), come ad una fase mediana (anche se decisiva) che consente di raccogliere forze ed energie (accaparramento delle menti migliori e utilizzo delle tecnologie più avanzate al fine di sottrarre spazi di manovra e autonomia agli avversari) aventi però come fine, non la fantomatica customer satisfaction, né, tanto meno, il profitto inteso come accumulazione monetaria, quanto piuttosto il dominio di mercati e di interi blocchi sociali. Così si fa la concorrenza, così si può pensare di divenire più forti sul mercato. Lo sanno i nostri potenti, lo sanno meno, a quanto pare, i nostri professori di economia che dal piccolo schermo e dalle cattedre universitarie decantano le virtù della competizione leale e della concorrenza onesta. Soprattutto, lo sa benissimo Tronchetti-Provera, dato ciò che è venuto a galla in questi giorni, anche se la maggior parte dei giornali ha fatto passare sotto silenzio la notizia, eccettuando il quotidiano La Repubblica.

Tronchetti si è subito difeso parlando di un attacco ingiustificato da parte dei giornali(?) ed ha annunciato un’indagine interna per colpire chi voleva danneggiare(?) “un’azienda strategica per l’Italia”. Parole sue! Ci invita ad essere orgogliosi perché Telecom è un’azienda italiana forte sui mercati internazionali, che porta in alto il nome di questa nazione ma che nel frattempo si premura di schedare gli utenti che cambiano gestore telefonico (disfattisti antinazionali!). Ma questa è la parte meno importante del problema, ciò che premeva a Telecom era tutt’altro. Si accumulavano informazioni sulle consistenze patrimoniali e bancarie di altre aziende, sulle frequentazioni politiche dei vertici di imprese concorrenti, sui familiari e sulle amanti di persone che potevano dare fastidio e che, con tali informazioni, divenivano ampiamente ricattabili. L’informazione (lo spionaggio) è determinante per capire come si muovono gli avversari, quali sono i punti di forza e di debolezza sulla base dei quali mutare e migliorare le proprie strategie, sia di difesa che di attacco. Telecom vale 30 mld di euro, ma ha anche debiti ingenti che potrebbero fare cadere l’impero di Tronchetti se solo lo stesso non fosse seduto tra quelli che contano nel gotha dei dominanti. E, di nemici, quando si sta in alto, se ne hanno molti. Quando si sgomita e si tradisce per arrivare a certi livelli (tratto distintivo del potere dagli albori dell’umanità) si perisce nella stessa maniera( De Benedetti scalpita in proposito dopo essere stato esautorato dalla guida dell’azienda telefonica). E’ la dinamica del potere e del conflitto interdominanti, la sua logica intrinseca che stratifica ruoli in alto, in basso e in orizzontale, dove l’equilibrio tra agenti sistemici è solo una variante provvisoria.

Tronchetti per questo, anche se oggi difende l’italianità della sua azienda (ne abbiamo sentiti tanti, in questi ultimi mesi, di garibaldini che volevano difendere l’Italia dallo straniero) sa benissimo che presto dovrà accettare l’ingresso in Telecom di un partner straniero che si accolli parte dei debiti. Un po’ quello che sta facendo anche Benetton che in Autostrade, senza la fusione col gruppo spagnolo Abertis, non saprebbe dove prendere i soldi per effettuare gli investimenti previsti nel contratto di concessione. Eppure, i nostri governanti hanno concesso a questi gruppi di aumentare le tariffe, di non effettuare gli investimenti necessari al miglioramento dei servizi, e nonostante tali dati di fatto si continua a perorare la causa delle liberalizzazioni che avrebbero ridotti i prezzi e aumentato la competitività. Qui noi vediamo solo monopoli e intrecci di potere a tutto danno della crescita del “sistema Italia”.