La Replica di Yurii Colombo al contributo di Badiale
LO SCIOCCO ABBANDONO DEL COMUNISMO DI MARINO BADIALE
di Yurii Colombo
Il contributo di Marino Badiale (Andarsene dal comunismo, cercare giustizia) ci da la possibilità di chiarire ulteriormente alcune riflessioni che stiamo andando sviluppando da tempo e che succintamente abbiamo cercato di mettere in luce in uan nostra accorata polemica con le attuali riflessioni politiche di Costanzo Preve.
Badiale si dichiara d’accordo con le recenti riflessioni  di Preve e La Grassa per giungere alla conclusione che sinteticamente non solo il richiamo a una dei tanti marxismi sia diventato inane, ma lo stesso richiamo a Marx sia diventato inutile e dannoso. Su Marx e i marxismi non ritengo utile tornare in questa occasione anche se a mio modesto parere la critica dello stalinismo, depurata da ogni ereticità (e quindi supposta, inutile, ortodossia), resti un aspetto centrale per poter sviluppare una critica al comunismo novecentesco.
Per sinetizzare Gianfranco La Grassa sostiene che la base fondante su cui si è costituita l’ipotesi marxiana del superamento del capitalismo in senso comunista sia stata invalidata storicamente. Egli ritiene che il proletariato (o il general intellect prodotto dallo sviluppo capitalistico) abbia dimostrato di non poter (o di non volere) adempiere alla sua missione storica.
2) Costanzo Preve condivide la diagnosi di La Grassa e ci aggiunge di suo  due affermazioni: a) che la riflessione marxiana manchi di paradigma filosofico b) che il pensiero di Marx sia sostanzialmente aporetico. 
Mentre quelle di La Grassa sono tesi basate semplicemente su una sorta di pessimismo cosmico, le  due conclusioni di Preve  si potrebbero formalmente condividere se non nascondessero dei vizi di fondo. Sia La Grassa che Preve – quando erano marxisti – hanno per un certo periodo fatto riferimento alla scuola althusseriana che invitava caldamente a lasciar perdere il "Marx giovane" per concentrarsi sul "Marx maturo" e hanno sempre criticato tutta quella scuola che andava sotto il nome di "operaismo" e che – in con forme e contenuti diversi – si concentrò essenzialmente sulla questione dell" "autonomia proletaria". E’ cosa non da poco. E’ una premessa importante perchè ci aiuta a capire come essi siano giunti alle conclusioni odierne. Varrà la pena segnalare che pur non essendo noi d’accordo sull’ipotesi a suo tempo formulata da Attilio Mangano (e fatta baluginare ancora prima da Stefano Merli) che nel dopoguerra fosse esistita un’ "altra linea" del movimento operaio (rispetto a quella togliattiana a cui si fatto si accodò anche Lelio Basso)  che per comodità e per sintesi faceva riferimento a Bosio, Panzieri e  Montaldi (e se ci aggiungiamo che alle origini dell’operaismo troviamo anche quel Riccardo D’Este che poi sarà uno dei principali importatori in Italia della riflessione debordiana e Gianfranco Faina giunto poi in maturità all’insurrezionalismo libertario), non lo facciamo per amor di verità storica, ma per evitare che Preve o La Grassa possano attaccarci con facilità accomunandoci ai percorsi del Professore patavino, alle disinvolture di Sofri o agli opportunismi pratici che stavano dietro le teorizzazioni dell’ "autonomia del politico" della premiata ditta Tronti-Asor Rosa (ovvero alle tre diramazioni successive che la storiografia di maniera riconduce l’ipotesi "operaista").
Le due conclusioni Preve (mancanza di paradigma filosofico e aporia delpensiero marxiano) si presentano con una contraddizione interna. Come ha mostrato anche il nosto amico Silvio Serino nella sua recente fatica letteraria (L’uovo di Colombo e la gallina coloniale) intorno alla questione degli esordi dello sviluppo capitalistico, Marx sostenne e affermò cose diverse e in contraddizione tra loro anche su questo tema (si rimanda qui alle contradditorie  affermazioni di Marx sul ruolo del "solvente coloniale" in India e sulla obscina nel celebre epistolario con la Zasulic) ma che soprattutto manchi di quel filo conduttore etico in Marx colto con acutezza da Maximilen Rubel (e qui dobbiamo ringraziare per aver cercato di diffondere in Italia il contributo di Rubel gli amici del centro d’Iniziativa Luca Rossi e, per altri versi, l’amico Marco Melotti nell’esperienza di Vis-aVis). La ricerca di La Grassa e di Preve di supposti paradgmi marxiani li ha poi condotti, INEVITABILMENTE oggi, alla confutazione dei paradigmi stessi. Verrebbe da dire che hanno fatto e disfatto tutto da soli! Come al solito nei ragionamenti di Preve c’è un grando di verità (Marx è aporetico), ma le conclusioni sono disastrose. Per quanto ci riguarda ci verrebbe da sintetizzare che noi preferiamo – abbandonato ogni marxismo – andare oltre Marx con Marx, se la sintesi non fosse già stata utilizzata e sia diventata celebre dopo che il succitato Professore patavino aveva intitolato così un suo volume.Per usare un’altra sintesi invece noi ci riteniamo "comunisti oltre Marx" (lo "slogan" non è perfetto ma speriamo non sia malinterpretato perchè potremmo anche dire con Rubel che ci riteniamo "anarchici con Marx!").
E veniamo a a Badiale.
Egli sostiene che il comunismo sia un mezzo e non un fine. E che il vero fine debba essere "la giustizia". Ci scusi l’amico Badiale ma la sua tesi è troppo rozza! Poteva tenersela per sè!
Aderendo alle tesi di Preve egli segnala l’esistenza di diversi tipi di comunismo (da Platone a Marx). Si dimentica di segnalare che gran parte degli antropologi sono concordi nel ritenere che sia ESISTITO anche un comunismo REALE, ovvero quello che volgarmente viene chiamato il comunsimo primitivo. Naturalmente non abbiamo un idea romantica o apologetica di queste forme di comunismo (ma per ragioni diverse da quelle sintetizzate da Engels nell’Antiduhring). Ci preme però segnalare che queste società sono realmente esistite. Ci preme sottolinearlo perchè questo ci permette di affermare che per noi il comunismo non è UN MEZZO e neppure UN FINE, non è un organizzazione sociale ma… un’attività.
Badiale può abbandonare il comunismo perchè per sia stessa ammissione lo ha ritenuto un fine. (Anche noi, lo confessiamo da ragazzini l’abbiamo pensata così). Ma il comunismo non è un fine. La palingenesi comunista appartiene a una visione teleologica e lineare della storia. Avesse considerato più attentamente quanto riflettuto da Walter Benjamin, Badiale si sarebbe potuto evitare un inglorioso abbandono del comunismo per delle sciocchezze. Il comunismo cristiano ereticale non poteva che essere avventista, e il secondo internazionalismo per molte ragioni non potè che essere palingetico proprio perchè doveva separare l’emancipazione proletaria NEL CAPITALE da quella DAL capitale, ma Badiale, nel XXI secolo poteva restarsene comunista anche lasciando il finalismo comunista…alla critica roditrice dei topi! Ci perdonerà ma in questo senso siamo più postmodernisti di lui: le grandi narrazioni le abbiamo già tutte digerite.
Se la storia umana non ha come fine il comunismo come conclusione inevitabile dello sviluppo delle forze produttive capitalistiche, non capiamo come possa invece averlo in quanto, astratta (molto astratta!) giustizia. La tesi è così povera che ci ha ricordato – la similitudine è impressionante! – quanto affermava Occhetto ai tempi della svolta della Bolognina. Non abbiamo sottomano il testo (ma lo si potrebbe recuperare facilmente), ma ricordo nitidamente che egli sostenne in qualche importante intervento a giustificazione dello sciogimento del PCI che comunque egli era stato orgoglioso di essere stato comunista "italiano" (sic!) perchè i comunisti avevano insegnato ai contadini meridionali a non alzare il cappello quando il padrone passava per il paese. Oggi nessun operaio Fiat alza il cappello quando passa Montezemolo e quindi potremmo dire che il comunismo, in qualche senso, si è realizzato. L’operaio oggi ha realizzato, dal quel punto di vista,un comunismo molto più concreto, una emancipazione dentro la società del capitale assai più MATERIALE: ha lo stesso immaginario e purtroppo gli stessi sogni di Montezemolo. Ma la profezia integrazionista di Marcuse si è realizzata e già sbiadisce e si eclissa di fronte alla deintegrazione che avanza: dalle banlieau parigine, passando per le rive del Mississipi e giungendo a sconosciute cittadine cinesi un proletariato universale pretende l’abolizione dello stato di cose esistenti.