I PRINCIPI CONTABILI INTERNAZIONALI di Gianni Duchini

 

La conquista dell’Europa da parte Capitale Finanziario americano, si è realizzata e consolidata attraverso una modifica (che è poi l’imposizione di un modello) delle formazioni economico-sociali dei capitalismi europei. Questo quadro di progressiva finanziarizzazione americana nei confronti dell’economia europea, ha mostrato i suoi effetti anche in  Italia dove, tale processo finanziario, ha destrutturato e ricomposto, secondo direttive di dominanza del paese centrale, la nostra economia e i suoi principi di fondo. Uno dei tanti  suggelli posti dal dominio Usa nei confronti dell’Europa, sta nell’adozione obbligatoria dei Principi Contabili Internazionali (IAS) nei Bilanci d’esercizio delle Società quotate in Borsa, delle Banche e delle Imprese Finanziarie Vigilate (in Italia una disposizione legislativa prevede l’adozione dei principi anche per le società non quotate), dunque in tutta l’economia che conta. Gli Usa dopo avere conquistato l’Europa senza spargimenti di sangue, hanno imposto la propria Contabilità (in accordo con la CEE) come metro di giudizio e di valutazione, al fine di rafforzare il proprio predominio economico nel vecchio continente. Una lettura di questi principi ci porta ad ulteriori considerazioni, non senza aver dato un  primo sguardo al nostro paese. L’Italia, paese della “Ragioneria”, disciplina economica aziendale elaborata dalla seconda metà dell’800, ha salvaguardato in modo quasi sacrale, il valore del Patrimonio Aziendale delle imprese con il “principio della valutazione del costo storico (valore al momento dell’acquisto), con i corollari giuridici sui principi contabili quali quello della “correttezza, diligenza, verità, prudenza” nella iscrizione del valore di tutti i beni da classificare nel bilancio patrimoniale ed economico, con riguardo alle aspettative future di profitti.  L’adeguamento di tali criteri contabili nel 1994, all’applicazione della ” IV direttiva CEE “,  ha portato all’unificazione contabile dei bilanci europei, come  parametro di valutazione dei patrimoni  delle società e come premessa all’unificazione nel mercato monetario europeo; l’unificazione monetaria ha rappresentato un vincolo di coartazione tra le imprese secondo logiche  tese a difendere l’esistente, con lo strumento di valutazione dell’azienda nei principi contabili di ciascuna impresa.

    L’irrompere in Europa del Capitalismo Finanziario ha sconvolto, nel breve volgere di tempo,  dal dopo “ caduta del muro di Berlino” ad oggi, l’intero quadro idilliaco dell’unificazione monetaria europea, con l’aggiunta della recente adozione dei Principi Contabili Internazionali (IAS) del 2006 (l’accordo Cee del 2001) e pubblicati dal “Sole 24 Ore” : ” l’obbiettivo dei principi IAS è in primis quello della convergenza e della trasparenza dell’informativa finanziaria a livello internazionale, cosicché i bilanci siano strumenti di informativa finanziaria utili a tutti gli “stakeholders” (azionisti) per prendere decisioni economiche e non siano più solamente rappresentazioni veritiere e corrette della situazione di un impresa o di un gruppo a una certa data. Per raggiungere tale obiettivo, al modello del costo storico, che rimane in vigore per talune poste di bilancio, si affiancano i modelli del “fair value”soprattutto per gli strumenti finanziari e del  “present value”  per le poste a medio-lungo termine, ….  Come si può dedurre i nuovi principi di valutazione dei Bilanci rappresentati dal “fair value” e “present value,” sostituiscono quelli veritieri e corretti della valutazione a “costo storico” (posti a difesa dell’integrità del patrimonio aziendale) con nuovi parametri astratti e convenzionali basati su valori ideali cui mirano le potenziali controparti in un’operazione di scambio tra contraenti, in quanto atto a soddisfare le rispettive attese economiche. Il velo calato con questi valori astratti, necessita ulteriori considerazioni; lo scenario economico e sociale che abbiamo davanti è un teatro vero e proprio, con tanto di  recitazione  su un copione già scritto, dove le “potenziali controparti” sono gli attori della recita di scambio tra imprese che, devono raggiungere un alto grado di drammaticità negli equivoci posti dai valori astratti; in questo modo il pubblico viene coinvolto nel dramma che si svolge sul palcoscenico mass-mediatico che avrà un finale sorprendente e inaspettato, anche questo già scritto come da copione; le parti troveranno l’accordo sul valore astratto annunciando ad un pubblico sbigottito la lieta notizia. Una riflessione si impone e riguarda la motivazione di fondo sul perché si sono adottati da parte europea tali criteri. Una prima risposta potrebbe essere cercata nel sommovimento di fondo prodotto dalla centralizzazione dei capitali americani: il Capitale Finanziario americano (con l’aiuto delle Banche d’affari) svuota i patrimoni aziendali delle società, annullando importanti settori aziendali e sostituisce il loro valore in bilancio con l’equivalente di valori finanziari spazzatura (come gli edge fund ed altri simili); i bilanci  delle aziende imbellettate con valori fasulli e gonfiati da valori convenzionali e astratti, vengono  rimessi nel mercato per essere venduti come se fossero valori reali, in modo similare al conio impresso nelle monete. Prendiamo come esempio emblematico, l’applicazione degli IAS nei confronti della Banca di Lodi, nel tentativo fallito di Fiorani (amministratore) in combutta con Fazio (governatore di Bankitalia) per la conquista di Antonveneta. Si ricorda che in questa vicenda intervenne la magistratura con le dimissioni di Fazio e la sua sostituzione con Draghi già ex Vicepresidente della nota banca d’affari Goldmann Sachs. Ci fu un grosso intreccio nella scalata ad Antonveneta, (in qualche modo legata anche a quella Unipol-Bnl); Fiorani rastrellò capitali, concedendo fidi (prestiti), presso il proprio gruppo (nelle fondazioni delle casse di risparmio toscane) per 1,3 miliardi. Secondo una norma degli  IAS, le “put” cioè le somme complessive derivanti dagli obblighi di riacquisti di azioni del gruppo Bpl raccolti, dovevano essere portati in detrazione del patrimonio, contrariamente ad una norma della BCE (Banca Centrale Europea) che vuole lo stesso valore in “conto d’ordine,” cioè ininfluente rispetto al valore del patrimonio della Bpl. Provo ancora a riassumere: Fiorani vuole scalare (impossessarsi) tramite la propria (Bpl)  una banca (Antonveneta) con un patrimonio quattro volte più grande e con soldi prestati da piccole banche toscane che si aspettano una restituzione del prestito concesso maggiore (“put”) di quello prestato. Tale importo prestato Fiorani può iscriverlo come valore ininfluente (conto d’ordine) nei confronti del patrimonio della propria banca e quindi con valore patrimoniale integro, seguendo l’applicazione delle norme della Banca Centrale Europea con l’autorizzazione di Bankitalia, oppure portando tutto il valore (delle “put” obblighi di riacquisto) in detrazione, seguendo le indicazioni degli IAS e svuotando così il valore del patrimonio di Bpl. L’intervento della procura e della Consob, impose le norme IAS anticipando la loro applicazione al Bilancio 2005 con l’effetto di svuotare il valore del Patrimonio e determinando un crac finanziario; l’autorizzazione di Fazio (Bankitalia), di concerto alle norme Cee, voleva invece ripartire le detrazioni patrimoniali per più anni, cercando  di salvaguardare la scalata bancaria, in ragione della difesa dell’Italianità (poi annullata con l’intervento della magistratura). C’è uno stretto legame politico-finanziario negli intrecci creatisi tra Antoveneta e  Unipol (su Bnl) (e rastrellamento azioni di Rcs). Due contraltari politici si confrontarono  con accordi per le rispettive scalate finanziarie: da una parte Lega e Forza Italia, dall’altro Ds (nella scalata fatta da Unipol a Bnl),  Tuttavia entrambi trovarono gli stessi impedimenti posti  dalle norme IAS, a riprova che le scalate bancarie si possono fare seguendo  regole Usa e non più quelle europee.

     Qualche riflessione sulle applicazioni  forzate  delle IAS si dovrà pur fare, se non altro per gli effetti che ha prodotto: anzitutto, il cambio del Governatore Fazio con Draghi (già ex VicePresidente della banca d’affari americana Goldman Sachs). Come dire, uno stop posto a tutte le concentrazioni e le fusioni bancarie italiane che ora possono essere condotte soltanto con la supervisione Usa.  C’è in questa storia qualcosa di ancora più complesso che sfugge  ad un comune osservatore: la periferia si tiene con il Centro (Usa) che garantisce l’esistenza e la sopravvivenza di tutta l’economia e ciò richiede un complesso sistema di regole e di mediazioni per tenere l’insieme del  campo di conflittualità tra le imprese. Mi sembra che la complessità delle norme poste dal  Centro (inteso come l’insieme di molteplicità conflittuali tra imprese dominanti) caratterizzi il sistema di gestione di quella che, eufemisticamente, viene definita “democrazia economica” dei risparmiatori azionisti, i quali interagiscono con il gruppo politico-manageriale dell’impresa dominante per il tramite del sistema della “governance” delle imprese stesse; quest’ultime agiscono come una sorta di filtro per una complessa mediazione politica, con pesi e contrappesi, svolta nel sistema “duale di governance”. Prendiamo il recente caso dei “corteggiamenti”, volti alla fusione, tra la grande banca americana Barclays e l’olandese Abn Amro. Il valore complessivo della banca olandese era da tempo nettamente inferiore alla somma delle sue parti; un terzo del capitale aveva cambiato mano mentre i prezzi salivano (ciò significa che una quota elevata di azionisti che avevano comprato a prezzi elevati, si attendevano guadagni a breve termine)  inducendo un consistente pacchetto di possessori di hedge fund, per un valore complessivo del 2% di capitale sociale ( in rappresentanza del fondo di investimento dal titolo ironico “The Children’s Investment Fund”), ad una ingiunzione nei confronti del management bancario olandese al fine della vendita di tutti i rami aziendali ormai fuori mercato, facilitando così la possibile fusione con la Barclays.

    La storia della Abn Amro sottolinea che i piccoli azionisti dei Fondi di investimento possono imprimere forti accelerazioni agli scorpori ed alle vendite di banche e imprese; ciò nel rispetto di una “democrazia economica” attenta all’azionariato diffuso, un specie di base di massa della politica, senza però alcun interesse alla destinazione finale delle strutture aziendali delle imprese e delle  banche, con buona probabilità di mandare tutto al macero e, con esse, anche i risparmi dei piccoli azionisti medesimi. Vedremo cosa succederà a Capitalia ed alle molte banche ed imprese che si trovano nella stessa situazione della spagnola Abno Amro.       

 

GD   marzo 2007