ALTERNATIVE, UNA PEGGIORE DELL´ALTRA di G. La Grassa

 Personalmente pubblicherei nel blog anche l´odierno editoriale di Nicola Porro sul Giornale. Solo il cretino e fazioso di (finta) sinistra si scandalizzerà nel constatare che noi prendiamo sul serio certi articolisti di destra. Le persone con cervello noteranno nell´editoriale in questione una implicita critica (e aspra) anche nei confronti del finanziatore del quotidiano. La frase chiave dello scritto, che chiarisce tutto il resto, è: "In questo senso il ramoscello d´ulivo offerto alla Fininvest-Mediaset di Berlusconi rischia di essere una trappola micidiale". Tutto il testo va letto alla luce di queste pochissime parole. Non ci si aspetti certo che si sparga apertamente veleno su Berlusconi, che si dica senza giri di parole che l´attuale affievolirsi della sua opposizione, quasi bonaria e comprensiva, è dovuto all´"acciughina" che i governativi gli sventolano sotto il naso, dopo aver ottenuto la rinuncia della AT&T all´affare Telecom e nel mentre si agitano disperatamente nel tentativo di preparare di soppiatto qualche bel piatto "pubblico" al servizio della Intesa-San Paolo e dei peggiori tra i capitalisti della GFeID (quella che, nell´articolo di Festa riportato nel blog un paio di giorni fa, era indicata quale "piccolo establishment").

I sinistri sono bugiardi nati, agiscono di soppiatto come tutti i mestatori e maneggioni di professione, sono il personale politico più lurido e ingannatore che si trovi in campo. I destri berlusconiani si prestano alle giravolte del loro leader che è in politica solo per gli affaracci propri. L´alternativa tra questa maggioranza e questa opposizione è ormai uno sporco gioco di parassiti, accettato di fatto da una popolazione composta in larga maggioranza da quel tipo umano genialmente rappresentato da Alberto Sordi, vera maschera dell´italica commedia dell´arte (di arrangiarsi). Prestandoci ancora a questo gioco, andremo a fondo in pochi anni (e potrei perfino essere ottimista). Eppure quale altra alternativa vorrebbe offrirci la GFeID? Quella che si legge – per meglio dire: si capisce con facilità leggendo tra le righe – nell´editoriale di Mieli sul Corriere di ieri. Una bella futura alleanza tra il nascendo partito democratico e un raggruppamento centrista cattolico in cui confluirebbe innanzitutto Casini. All´inizio, il "meglio" (per i fetenti capitalisti nostrani, sui quali Bertinotti ha detto l´unica cosa giusta dell´intera sua vita di politico) sarebbe rappresentato da un bel "veltroncasinismo" benedetto da imprenditori "d´avanguardia", immobiliari, del tipo di Caltagirone (con dietro i finanzieri alla Geronzi, apparenti antagonisti di quelli alla Bazoli, ma portatori dello stesso ruolo di mignatte). Alla lunga (non tanto) viene però auspicato, e "santificato", l´ingresso in politica di Luca di Montezemolo – "figlio spirituale", diciamo così, di Gianni Agnelli – quale leader di questo nuovo centro, con vaghe aperture a sinistra per garantirsi la banditesca complicità degli apparati sindacali; verrebbe così a compimento il vero e finale "sacco d´Italia" (dopo quello di Roma già perfezionato dagli immobiliari di cui sopra).

E intanto, la sinistra detta radicale – nei suoi settori che vogliamo, malgrado tutto, considerare in perfetta buona fede – resta a balbettare i soliti tic di sempre: l´egualitarismo antimeritocratico, l´ambientalismo antisviluppo, il "razzismo alla rovescia" degli extracomunitari sempre incensati come a noi "superiori", l´assistenzialismo che crea solo anarchia, irresponsabilità nel lavoro e nell´assolvimento dei propri compiti, il menefreghismo assoluto, nel mentre divora risorse senza alcuna prospettiva di qualche miglioramento per questo paese alla deriva. E via dicendo. E´ ora di dire basta a tutte le alternative disastrose che ci suggerisce la GFeID o piccolo establishment; ma è ora di dire basta anche ad una politica di sinistra di melenso buonismo e di resa alla situazione di caos e di disgregazione della società italiana. Noi rivendichiamo una politica di organizzazione, di lotta all´anarchia movimentista, di premio al merito, del rimboccarsi le maniche; nel contempo denunciando e perseguendo (non giudiziariamente bensì politicamente!) tutti i parassiti che accumulano ricchezze – e le portano poi al sicuro nei paradisi fiscali – nel mentre pestano sui ceti che la ricchezza sarebbero in grado di produrla, e di distribuirla con giudizi di merito e con un costante miglioramento dei servizi prestati alla "collettività".

 20 aprile

Figuraccia di Palazzo Chigi
di Nicola Porro (fonte il giornale)

C’è un’ondata di protezionismo europeo preoccupante. Gli olandesi stanno alzando le barricate perché la loro Abn Amro bank è contesa da molti pretendenti stranieri. E l’ipotesi del suo spezzatino (le partecipazioni divise tra diversi acquirenti) spaventa il governatore della Banca centrale che si muove secondo il copione che aveva recitato anche Antonio Fazio. L’Authority per l’energia spagnola chiede che una finanziaria pubblica aumenti il suo peso in Endesa così da controbilanciare gli italiani di Enel, che stanno per arrivare con un’offerta da 40 miliardi.
E infine l’affare nostro: Telecom Italia. Pur di non venderla agli americani, Palazzo Chigi sta facendo una figuraccia dietro l’altra. L’ultima con Ronald Spogli, l’ambasciatore americano in Italia. Romano Prodi prima si prende le critiche di Spogli sull’interventismo della politica, poi dice che è tutto chiarito e si è trattato di un malinteso, e poi legge sul Corriere della Sera una lettera infuocata dello stesso ambasciatore che ricorda i rischi di un’Italia con «investimenti che non arrivano». «L’Italia – ha scritto Spogli – ha perso l’interesse da parte di un’azienda di altissimo livello, capace di migliorare i servizi di telecomunicazioni, ridurre i costi per gli utenti e aumentare il valore di un’azienda nazionale».
Gli affari, in un’economia più o meno libera, si possono fare essenzialmente in due modi. Per la qualità della propria merce o per le buone relazioni che il venditore vanta con l’acquirente. Il modello anglosassone prova a seguire la prima strada, quello latino, di cui noi siamo maestri, preferisce la seconda. Il nostro governo sta diventando il cinico campione delle relazioni. E lo stop agli americani temporaneamente lo rafforza: chiunque voglia fare affari in Italia, è ormai chiaro, deve passare per Palazzo Chigi. È lì che ci sono le chiavi di ingresso per l’azienda Italia.
Il punto è che un’economia «irizzata» non ha una chance di successo nel mondo globalizzato: il rischio è di rendere la nostra impresa una piccola bottega senza finestre. La scelta del migliore in funzione di una «buona relazione politica» non regge più alla sfida di un mercato che semplicemente dell’Italia non si occupa. Lo 0,3 per cento delle nostre imprese è controllato, secondo l’Istat, da capitali stranieri. Ebbene questo zero virgola spende in ricerca e sviluppo un quarto del totale delle imprese italiane. Verrebbe voglia di prendere il muso di coloro che propagandano la strategicità, l’italianità e bla e bla e bla e sbatterlo contro questo freddo dato statistico. Il protezionismo ai nostri tempi ha un solo significato: mantenere la presa dell’economia non più attraverso la proprietà pubblica, ma con gli strumenti più forti e meno trasparenti delle relazioni. In questo senso il ramoscello d’ulivo offerto alla Fininvest-Mediaset di Berlusconi rischia di essere una trappola micidiale. Aprire una relazione (dall’innegabile senso industriale) sulle macerie di un intervento protezionistico andato a buon fine, potrebbe danneggiare la credibilità di un gruppo che ha l’ambizione e lo stile per essere globale. Con l’aggravante di dare un’aria bipartisan alla costruzione di un mercato di relazioni per le quali vince chi sta dalla parte giusta e non chi ha la merce migliore.