SIAMO ALLA FRUTTA? di G. La Grassa

 

O forse invece al liquorino finale? Come al solito, i sintomi della malattia che ci attanaglia non indicano i tempi e il decorso precisi della stessa. In ogni caso, quel che so è che quando, ormai due-tre anni fa, rilevavo con chiarezza come la “sinistra” (nelle sue varie sfumature) fosse il cancro di questa italietta, mi si accusava di esagerare, di non capire il “terribile” pericolo rappresentato dal “fascista” Berlusconi. Sapevo benissimo che la “destra” è squallida, culturalmente rozza e arretrata, con un personale politico raffazzonato e del tutto approssimativo. Ero però perfettamente consapevole che la sinistra è qualcosa di molto peggiore; ormai rappresenta la “morte” di questo organismo che è il paese Italia. Ovviamente, non lo è in se stessa, bensì come personale di servizio di precisi gruppi “affettuosamente” indicati come “poteri forti” o “piccolo establishment”, ecc. Sono le classi dirigenti economiche attuali – a partire dalle due grosse concentrazioni finanziarie formatesi negli ultimi mesi e giorni (Intesa-San Paolo e nuovo Unicredit), con l’aggiunta di settori industriali ultramaturi e certo non funzionali allo sviluppo e alla potenza futuri di un qualsiasi sistema-paese – a rappresentare la più estesa devastazione, e il sostanziale impoverimento, della nostra società (impoverimento non solo materiale, ma soprattutto culturale e in quanto disfacimento progressivo del suo tessuto civile). Tuttavia, nella sfera politica, le cellule cancerogene, che si infiltrano in ogni dove nel corpo della nostra popolazione provocando la metastasi, sono prodotte proprio dal “ceto professionale” di sinistra, da queste persone totalmente incapaci di un qualsiasi lavoro utile e per di più meschine, vili, senza scrupoli né valori, membri di vere gang in lotta sorda fra loro.

 

Basta adesso con il pericolo Berlusconi; questo è solo il prodotto, non la causa del degrado italiano. Se il popolo italiano è rimbecillito, frastornato, intaccato da questo cancro prodotto dalla sinistra, è logico che la risposta è altrettanto degenerata e povera di contenuti culturali e ideali. Berlusconi è questa risposta meschina e tipica di “uomini medi” cioè mediocri, di cui è per la massima parte costituito (per il momento) il popolo italiano. Tale produzione di mediocrità è stata ampiamente favorita proprio dall’inutile, e anzi dannosa, attività dei fannulloni e viscidi politici di sinistra. Questo è il “corpo estraneo” che deve intanto essere estirpato; basta “pannicelli caldi”, occorre il bisturi. Prima di ulteriori rigurgiti cancerogeni come la famosa operazione “mani pulite”, che ha posto le premesse di tutto il peggio avvenuto in Italia dal 1945 – predominio del capitale finanziario e industriale più arretrato e parassitario, che si è servito del ceto professionale di sinistra per i suoi sporchissimi affari in grado di affondare il paese – sarebbe intanto necessario ripulire l’organismo dalla metastasi, inoculando alte dosi di curativi chemioterapici. Visto il disastro procurato da questo Governo, gli ambienti cancerogeni sono all’opera – coadiuvati dai suddetti “poteri forti” che puntano a “un nuovo centrismo”, con l’aggiunta di tecnici (vedi Mario Monti) e aiutati dai settori della destra antiberlusconiana (tipo Casini e quei forti interessi immobiliari che vi stanno dietro) – per fregare una volta di più il popolo italiano degli “uomini medi”.

 

Una volta tanto debbo dare ragione, non in tutto sia chiaro, a quel tontolone del leghista Castelli. L’intervista al Corriere di D’Alema – questo individuo sopravvalutato, di intelligenza “a bassa intensità”, che fin dai suoi vent’anni (a Pisa) non ha svolto altro che mene politiche con grande sprezzo per ogni valore e ideale – non rappresenta affatto una lucida presa d’atto della situazione attuale, che non è per nulla simile a quella del 1992-93, pur se per certi versi è perfino peggiore a causa proprio di quelle vicende giudiziarie che alimentarono il suddetto cancro di “sinistra”. L’intervista in questione è un avvertimento minaccioso (“mafioso”) a chi non vuol piegarsi alle nuove manovre dei “poteri forti”, pronte ad abbandonare, se necessario, anche Prodi, ma senza consentire un ritorno di Berlusconi che è in gran parte disomogeneo – fin da quel lontano 1993 – rispetto ai loro progetti di predominio assoluto atto a succhiare, a loro favore, ogni risorsa del paese. Egli non lo è non certamente per motivi ideali, ma solo per i suoi personali affaracci; tuttavia è, oggettivamente, una trave messa di traverso sul cammino delle “cavallette” che vogliono divorare tutto il possibile (come si vede dagli incredibili balletti intorno allo striminzito “tesoretto”; nonché dalle ancora più incredibili “liberalizzazioni” di Bersani che colpiscono i piccoli per favorire i grandi: concentrazioni finanziarie e sistema della cooperative, asse portante del cancro in atto).

D’Alema minaccia; tutto rincuorato dalla nascita del nuovo Unicredit che fa da contrappeso a Intesa-San Paolo, il “potere forte” che finora si è politicamente basato su Prodi. Non si fidi troppo, quest’ultimo, dell’“amico” Bazoli. Sappiamo bene come sono gli “uomini d’affari”: possono mollare il loro servitore attuale se ciò è reso necessario da nuovi equilibri di potere, se cioè avvertono di non possedere le forze sufficienti ad imporre i loro diktat e si rendono conto che è dunque meglio giungere ad un compromesso. Quest’ultimo è ora perseguito lungo la linea fissata dai recenti quattro giorni di seminario, organizzati a Milano dalla Rcs e dalla Bocconi: neocentrismo, appunto, nuovo leaderato tecnico a Monti e “gara” (im)politica tra Rutelli, Veltroni, D’Alema e qualche altro “galletto”, messi alla frusta per dimostrare chi è il migliore. D’Alema ci prova con la minaccia di ri-scatenare la magistratura amica in un “rodeo” giudiziario che rinnovi i nefasti del 1992-93. Non sarà tanto facile, perché il giochetto rischia di essere scoperto e stucchevole – e “il nostro” ha molti nemici all’interno della sua stessa gang – ma intanto prova a minacciare, perché è l’unica risorsa che ha assieme alla sua arroganza da uomo mediocrissimo qual è, e tuttavia scambiato per un genio, per il successore di Togliatti (siamo veramente in una indicibile situazione di imbecillità, incultura, totale assenza di memoria storica, che lascia senza fiato).

Per fregare meglio i sinistri, magari quelli in buona fede, fa finta di essere anche un po’ autonomo rispetto agli americani (e agli israeliani). In realtà, tenta di resistere al governo (che sia Prodi o un altro, purché manovrato sempre dalle stesse bande) fino all’autunno del 2008, fino alle nuove elezioni presidenziali negli USA; e poi spera che vinca un tipo alla “Clinton”, di cui poter essere nuovamente “fedele” sicario come nel 1999 con l’aggressione alla Jugoslavia.

    

Per capire come mai questa Italia sia la cenerentola di una Europa, pur essa in pappe, bisogna rifarsi alla storia del secondo dopoguerra, in particolare dagli anni ’70 in poi. E’ necessario afferrare che cos’è stata la tanto decantata diversità del PCI; in un certo senso, già dalla segreteria di Togliatti, ma con uno scatto decisivo con quella Berlinguer, che si spostò nettamente verso l’occidente capitalistico avanzato. E’ da lì che comincia a prendere forma il cancro in questione. Prima o poi non sarà inutile ripercorrere la storia dei “tradimenti” del PCI, della sua degenerazione da comunismo a piciismo e infine a “sinistra”, la forza politica che, nella storia del ‘900, è stata sinonimo di abiura, di rinnegamento di ogni valore, pur di assicurarsi il potere derivante dall’essere una importante “carta di ricambio” del predominio capitalistico, che si muove “abilmente” tra reazione e presunto riformismo, tra conservazione e “progresso”, in ultima analisi ove occorra: tra fascismo e socialdemocrazia (la “sinistra”). In Italia, nemmeno quest’ultima abbiamo avuto, bensì – essendo un paese ultracattolico (nella sola forma) e papista – quel terribile impasto politico-ideologico detto “cattocomunismo”; e che non è né l’una cosa né l’altra, ma soltanto il cancro, ormai in metastasi, di cui ho qui parlato. O si ricorre presto alla sua asportazione chirurgica, o morremo fra non moltissimo.

Si tenga però conto di un ulteriore problema. Come sopra rilevato, Berlusconi ha a lungo rappresentato – proprio perseguendo i suoi personali interessi – un ostacolo oggettivo alle mene della GFeID e della sua rappresentanza politica di sinistra. Oggi non è più così. D’Alema prevede, come minaccia, una nuova possibile ondata giudiziaria. Tuttavia, è difficile adesso dire se questa “pistola puntata” non sia scarica, almeno a metà. L’intenzione dei “poteri forti” – anche guardando alle ultime manovre finanziarie che vedono in pista, sia pura in secondaria posizione, ambienti francesi e altri “non nemici” di Berlusconi che, con la sua Mediolanum e il Giornale, non manifesta d’altronde al momento troppa contrarietà rispetto alla nascita del nuovo Unicredit – sembra essere quella di favorire una “dolce uscita” del leader di Forza Italia. E’ troppo presto per trarre conclusioni definitive, ma comunque “in campana”; le gang (economiche e politiche) sono all’opera!

 

23 maggio