DAL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE AI NUOVI PARADIGMI FINANZIARI: LA GLOBALIZZAZIONE FINANZIARIA
III° PARTE di G. Duchini

 

    Alla fine degli anni ’80, il Fondo Monetario Internazionale (Fmi), era al massimo del suo sviluppo storico finanziario, tanto da comprendere 150 paesi del mondo esclusi i paesi dell’Europa dell’Est, dell’Unione Sovietica e del Sud Est Asiatico. Secondo le necessità della grande finanza Usa,  mancavano ancora i tasselli importanti di quella parte di mondo dove  “Il sole non tramonta mai.” Un disegno di fatto mai raggiunto nella storia dei popoli, ma il cui tentativo doveva essere realizzato dalla voracità del Capitale Finanziario targato Usa: un grande appetito autovalorizzantesi doveva divorare la parte restante di mondo non ancora conchiuso nelle logiche finanziarie dei “pelosi-aiuti” del Fmi. Quest’ultimo, nel momento in cui offre investimenti alle economie in difficoltà, allunga, nel contempo, i tentacoli  paralizzanti e mortali delle grandi piovre bancarie, Banche d’Affari Usa “in primis.” Il passaggio del Fmi dai cambi fissi a quelli flessibili degli anni ’70, si rilevò epocale, difatti la possibilità del Fmi a marchio Usa, di intervenire direttamente  nelle singole economie nazionali, per garantire la libertà di circolazione del Capitale Finanziario condusse alla fine del ruolo di valore delle monete nei loro valori di equivalenti delle economie nazionali. Un disegno, quello Usa, perseguito allargando  lo spazio di manovra finanziaria al fine di creare, nella grande “liquidità internazionale”, un vettore economico a forte composizione finanziaria.

    La caduta del muro di Berlino alla fine degli anni ’80 segnò, nella straordinaria crescita dei mercati finanziari internazionali, l’obiettivo sempre perseguito dal Fmi, quello della “globalizzazione finanziaria”. Sotto molti aspetti ci ricorda la “mondializzazione” del sistema monetario aureo “gold standard” dei primi del Novecento, anche se rispetto al passato, questo risulta essere profondamente diverso. Anzitutto, la deregolamentazione e lo smantellamento delle restrizioni e dei controlli sui movimenti di capitali (zona dell’euro compresa) hanno  favorito l’internazionalizzazione dei movimenti finanziari, nel sacro principio della libera concorrenza. La politica autarchica perseguita dall’Unione Sovietica non era mai stata del tutto isolata dall’occidente; dagli anni ’30 e fino alla seconda guerra mondiale gli scambi  con i paesi dell’Europa Orientale erano intensi. Dopo l’ultima guerra tutti i paesi dell’Est furono riuniti e tenuti in isolamento dall’occidente nel Comecon, come risposta al Gatt occidentale. I tassi di crescita delle economie pianificate dell’Est scesero dal 6% degli anni ’50 al 4% degli anni ’70, al 1,2% degli anni ’80, da questo momento in poi la stagnazione farà da preludio all’implosione dell’URSS. Nel 1992, i quindici paesi dell’ex Urss,  tra cui la Russia, entrarono formalmente nel Fmi che si prodigò in una massiccia opera di sostegno finanziario. I processi di transizione ai mercati, nelle liberalizzazione dei capitali, portarono questi paesi ad una debacle verticale e prolungata della produzione con cadute fino al 70-80%; la conseguente liberalizzazione dei prezzi portò ad una inflazione del 1300% in Russia, 15.600% in Georgia. Gli aiuti del Fmi ai paesi dell’Est furono consistenti ed invasivi, come  altrettanto invasivi furono gli interessi americani in quelle aree, nelle sostituzioni dei governi con quisling favorevoli agli ingressi dei capitali Usa. La stessa Russia non fu esente da questa intrusione finanziaria-politica, il Fmi concesse forti finanziamenti nel periodo di governo di Eltsin; con Putin si cambiò registro e si tornò ad una più marcata autonomia. Nel complesso l’ingresso del Fmi nell’Europa Orientale finì per determinare l’integrazione di quest’ultima nel sistema occidentale, con la liberalizzazione dei mercati finanziari che permise, successivamente, il loro ingresso nella zona euro. Ulteriore conferma  dell’importante strumento del Fmi, quale veicolo del dominio Usa, nell’allargamento delle aree di influenza di integrazione economica finanziaria, insieme all’elemento fondamentale della conquista piena e risolutiva rappresentata dagli ombrelli militari .          

    Le grandi manovre finanziarie, realizzate dai vari presidi di occupazione del neocolonialismo finanziario Usa, garantiscono attraverso la liquidità, gli obbiettivi strategici della  centralità  e del controllo permanente “a stelle e strisce”. L’aspetto più importante del Fmi è stato quello di concentrare maggiormente l’attenzione sui sistemi finanziari interni, attraverso “standard internazionali”, nelle aree ritenute più importanti per la stabilità finanziaria. Gli standard maggiormente tenuti sotto controllo riguardano in particolare, le politiche monetarie e fiscali, i sistemi bancari, la struttura proprietaria delle imprese, i sistemi contabili. Lo sviluppo ed il controllo degli standard  affidato al Fmi è coadiuvato dagli organismi internazionali che pubblicano i vari indici “Moody, Dow Jones..,” per le verifiche dei codici di comportamento. Se i paesi componenti del Fmi non ottemperano alle regole predisposte al fine di prevenire le crisi finanziarie vengono fatte sottoscrivere, a questi paesi “in osservazione”, lettere di intenti allo scopo di perseguire un programma di risanamento. L’economia del paese in esame, viene “messa in quarantena” entro i vincoli delle misure  di compatibilità alle “strategie preventive” del Fmi. Per rendere tali azioni più efficaci, si attivano le truppe coloniali della finanza, le Banche d’Affari private Usa che accompagnano gli interventi di indirizzo strategico del Fmi. Queste Banche queste concedono  linee di credito al “paese in crisi” per farlo rientrare entro le maglie strette dei vincoli internazionali. Affinché possano sempre più affermarsi le ragioni del dominio Usa e per agire sempre più in profondità entrando direttamente nei gangli vitali delle economie poste sotto tutela, è anche mutata la natura dei debiti: i debiti esteri dei paesi in crisi non sono più di natura  bancaria  ma in forma obbligazionaria. Le grandi  fusioni bancarie in atto sono soltanto l’aspetto visibile e superficiale di un lungo sommovimento di concentrazioni finanziarie che stanno spazzando via, in questi ultimi anni, la funzione principale delle banche, ovvero l’intermediazione creditizia tra il deposito dei piccoli risparmiatori e le necessità di finanziamento delle imprese. In particolare, la gestione clientelare “del porta a porta” della piccola banca italiana è ormai un relitto del passato.

    L’ingresso del Capitale Finanziario Usa, per il tramite delle grandi Banche d’Affari, ha eliminato in Europa, ed in modo particolare in Italia, un modo di gestire il finanziamento alle imprese per il tramite delle banche. Nell’esempio italiano, le due grandi concentrazioni bancarie di “SanIntesa” ed “Unicredit” hanno ormai rivolto all’estero la ricerca di liquidità, facendo venir meno la funzione intermediatrice delle banche nel proprio territorio. La conseguenza fondamentale di questi grandi processi finanziari va cercata nella modifica sostanziale del Capitale Bancario e in particolare,  nel cambio di natura del debito (o prestito): si è trasformata la forma del Capitale Finanziario passando dal  controllo diretto delle imprese a quello indiretto per il tramite della liquidità. Al fine di rendere più efficace l’azione di controllo nei confronti dei debiti dei paesi sotto osservazione, la pervasività finanziaria agisce più in profondità se “nel mutamento di forma la sostanza del controllo si ordina e si articola, attraverso una molteplicità sensibile che, passando attraverso ogni diversità, si afferma in essa come caratteristica permanente”.  Il controllo del grande Centro Finanziario Usa  si è consolidato nella moltiplicazione dei prodotti finanziari formando una grande liquidità internazionale (in sostituzione della moneta). Del resto, è impossibile riunire e difendere i milioni di piccoli risparmiatori che hanno acquistato titoli di credito, nelle forme di obbligazioni, fondi comuni di investimento, assicurativi, pensionistici, e di tutti i prodotti finanziari, dei derivati, fund edge; riunire ed aggregare in tutti i paesi indebitati (e controllati) interessi dei piccoli risparmiatori, così estremamente frazionati, può diventare un’impresa titanica; altrettanto risibili possono diventare le difese poste dalle associazioni dei consumatori nelle ipocrite denunce fatte nei confronti delle banche coinvolte negli scandali dei Bonds Argentini (vedi la Parmalat…)

    Una prima conclusione si può porre: la crescita esponenziale della liquidità internazionale è posta in relazione alle capacità di indebitamento dei paesi debitori. Gli strumenti essenziali  per creare il serbatoio finanziario nazionale, da cui attingere per mantenere il flusso della liquidità internazionale, sono  quelli classici delle politiche fiscali, delle politiche salariali e della riduzione delle politiche sociali. Il “lavoro sporco” di asporto e di trasferimento di liquidità ai mercati internazionali viene effettuata dalle Banche d’Affari Usa, per il tramite delle imprese e delle Banche nazionali; più grande è la capacità di indebitamento di un paese più elevata diventa la liquidità internazionale. Per certi aspetti si vive in un grande paradosso economico: il debito di ciascun paese mantiene con il proprio deficit di crescita, l’intero apparato finanziario internazionale, un paradosso che spinto all’estremo porta alle conclusioni che le crisi economiche garantiscono la crescita del grande Centro Finanziario Usa. Questa è la grande ragione per cui le capacità di indebitamento dei paesi diventano speculari alla crescita della liquidità internazionale; facile conseguenza di un sistema che si alimenta su se stesso. Gli investimenti di portafoglio (proprietà) delle grandi Banche d’Affari e di tutti gli altri Investitori Istituzionali sono mossi, in prevalenza, da intenti meramente speculativi, in quanto mirano a realizzare rendimenti elevati in un breve arco di tempo, prediligendo attività finanziarie altamente liquide ed a breve termine. Quando questo tipo di investimento non è più remunerativo o è diventato troppo rischioso per le capacità di indebitamento del paese in oggetto (non per l’impresa emittente!), questi flussi di capitale si volatilizzano, vanno via dal paese per raggiungere altre mete più redditizie. E’ la cosiddetta moneta calda tenuta presente dai padri fondatori di Bretton Woods e, in particolare, da Keynes che ne auspicava  una regolamentazione mai realizzata.     

 

G.D  29/05/07