Da Breviario tedesco di Bertolt Brecht

 

Al momento di marciare molti non sanno

che alla loro testa marcia il nemico.

La voce che li comanda

è la voce del loro nemico.

E chi parla del nemico

è lui stesso il nemico.

 

(dedicata a tutti i coglioni che marciano al comando dei furfanti politici di sinistra, al servizio di sordidi malfattori che devastano l’economia).

 

DOCUMENTAZIONE DI MANOVRE TORBIDE (a cura di G. La Grassa)

 

Quanto tempo è passato dall’indignazione per le indagini di De Magistris e Forleo su Prodi, D’Alema e Fassino, con tanto di intercettazioni telefoniche di cui si riteneva necessario impedire la pubblicazione (ma senza andare al fondo del problema: chi, nelle Procure, fa uscire tali intercettazioni e le fornisce ai giornali “amici”)? Si trattava di attacchi bipartisan ai due magistrati (uno dei giornali che più si è “divertito” a sputtanarli e dileggiarli è stato Libero); ma certamente, all’avanguardia stavano le “corazzate” dei poteri finanziari, essendo questi il vero cancro che attanaglia in tutti i sensi il paese, servendosi in prevalenza del centrosinistra (ma con la sinistra “estrema” in ottimo rilievo) per le loro oscure trame distruttrici di ogni forma democratica.

Adesso, l’atteggiamento antimagistrati è cambiato. Come una perfetta “bomba ad orologeria”, la solita Procura compiacente ha fornito intercettazioni telefoniche a Repubblica, una delle “corazzate” di cui sopra. Non entro nemmeno nel merito dello scandalo che si vorrebbe sollevare; per uno come me, che segue attentamente i TG, sentire parlare di intercettazioni che implicherebbero lo strapotere mediatico di Berlusconi – quando, nell’ultimo anno, TG1 e TG3 sono puro megafono, grigio e burocratico, del governo e della maggioranza; e il TG2, oltre ad esserlo anch’esso all’80-90%, spara servizi di un anticomunismo sfegatato, da tempi delle “Madonne Pellegrine”, delle “cortine di ferro”, dei comunisti che “mangiavano i bambini”, ecc – è pura e semplice mistificazione. Se qualcuno fa ancora finta di non capire a che cosa serve il “lupo” Berlusconi – a nascondere le effettive trame dei veri affossatori della democrazia in Italia – merita solo disprezzo; costui è ormai della stessa pasta di coloro che hanno indubbiamente insozzato il (falso) comunismo creando impresentabili regimi di dirigismo totale e impenetrabile. 

Voglio solo ricordare che non più tardi di lunedì 12 u.s. ho indicato i reali motivi per cui non si poteva far cadere un governo di zombi; e non più tardi di ieri ho scritto che l’ultima mossa berlusconiana scompigliava talmente i giochi, pur nel solito palcoscenico della politica (politicante), da provocare le reazioni di chi si sente disturbato nelle sue mene furfantesche. O sono profeta o vuol dire che sono più semplicemente sincero e non al servizio di poteri oscuri e ormai decisi ad imporre un regime, che non esito a qualificare come mille volte peggiore del fascismo. Quest’ultimo non nascondeva i suoi fini, lo si poteva almeno combattere a viso aperto; qui non abbiamo il “nero” fascista, ma il nero “pretesco”, subdolo, nascosto. Il fascismo dichiarava apertamente il suo disprezzo per la democrazia qual era nell’Italia di Giolitti e nella Repubblica di Weimar; l’odierno tentativo di erigere un regime oppressivo fa appello alle “regole” – anzi fa marcire il paese facendo finta di voler discutere di “giuste” leggi elettorali – ma vuol istituire una vera Inquisizione (che infatti rispettava le leggi e i Tribunali; ma quali?).

 

Qualcuno sta tentando di rinnovare il 1993, ma non so se ci riuscirà veramente; magari, si arrivasse ai ferri corti con una generale resa dei conti! Almeno sapremmo con chi si ha a che fare. In ogni caso, con gente della peggiore specie; e per l’ennesima volta riporto il giudizio di qualche mese fa di Guido Rossi (uno che se ne intende) sul capitalismo italiano: “come nella Chicago anni ‘20” (si sarà almeno visto il film Gli Intoccabili e si capirà dunque il senso di tale affermazione). Desidero riportare qui di seguito, senza tanti commenti, una impressionante documentazione dei giochi di cui parlavo nei due articoli poco più sopra citati. E’ documentazione ufficiale, per cui mi esimo dal fare commenti. Prego di leggere con attenzione soprattutto l’intervista a Cirino Pomicino, poiché non è altro che una illustrazione, molto più ricca di particolari, di quanto affermato sinteticamente dal sopra citato Rossi. Concentratevi soprattutto sui passaggi in cui delinea il personaggio Bernabé, il ruolo della Telecom in questa fase (uno dei centri nevralgici delle torbide manovre illiberali), gli obiettivi di coloro che si apprestano ad impadronirsene, sicuramente devastandola in modo definitivo dal punto di vista aziendale; con tanti bei saluti ai mentitori che ci hanno rotto le scatole sulle privatizzazioni, sulla libertà di mercato, sulla sana competitività nella meravigliosa globalizzazione, ecc. Il capitalismo italiano è senz’altro il peggiore, quello particolarmente verminoso per la sua specifica e parassitaria “mafiosità”, ma comunque segnala i caratteri generali della competizione capitalistica, mai fatta di semplici costi e prezzi, di produttività del lavoro, di efficienza, ecc. Tutte balle!

So che la documentazione è lunga, ma le persone con un minimo di coscienza dei pericoli antidemocratici che corriamo la leggeranno. Lasciatemi ancora dire che avevo appena sostenuto due giorni fa che i dati ufficiali, indicanti stagnazione, erano probabilmente pure manipolati. Nuovi segnali, sempre ufficiali, stanno a dimostrare che la crisi è più grave di quanto ci dicono. Dopo la Citigroup, altri due importanti gruppi americani (Fannie Mae e Freddie Mac) hanno accusato miliardi di dollari di perdite nell’ultimo trimestre; e la Northern Rock – la banca che qualche tempo fa aveva chiuso gli sportelli per l’affollarsi di depositanti e correntisti – è sempre più in crisi. Almunia ha lanciato l’allarme, perché la situazione è di quelle peggiori per il capitalismo: la stagflazione (inflazione e stagnazione insieme, per cui non si sa più come manovrare i tassi ufficiali di sconto). Egli afferma che dovranno essere ulteriormente rivisti al ribasso i già esigui saggi di crescita del Pil nei paesi europei, con l’Italia, come al solito, nelle condizioni peggiori. L’affermazione di Almunia riportata tra virgolette è stata: “Ora rischiamo la crisi”. E’ ormai “ufficiale” che anche gli USA stanno peggio di come detto finora (parlo dell’economia reale, non dei crediti subprime). E adesso leggete attentamente (buona parte dei documenti sono tratti da Dagospia del 20 e 21 novembre).

 

Cosa Bianca/ Mario Baccini (Udc) ad Affari: obiettivo superare il 20%. Montezemolo ha le carte in regola per fare il premier…

Mercoledí 21.11.2007 12:55

"La Cosa Bianca è una forza politica che sta nascendo e al cui interno ci sono costituenti importanti. E’ un centro riformista-temperato, che ha come scopo principale le riforme necessarie per il Paese, che da quindici anni sono bloccate. Ma soprattutto intende realizzare anche questa nuova stagione della buona politica, evitando in modo accurato di far riaprire il tavolo a chi per quindici anni ha affossato le riforme". Mario Baccini (Udc), vicepresidente del Senato, spiega ad Affari gli obiettivi della nascente Cosa Bianca. E lancia Luca Cordero di Montezemolo come futuro premier.
 
      E’ vero che sarete un movimento che si collocherà tra il partito democratico e il nuovo soggetto politico Berlusconi, alleandovi una volta con uno e una volta con l’altro?




"L’unica analisi vera è quella degli obiettivi da raggiungere. Che sono in linea con gli interessi generali del Paese. Il nostro programma prevede: primo – la buona politica; secondo – le riforme sia costituzionali sia elettorale; terzo – dobbiamo ricostruire il ceto medio e quella borghesia nel Paese che è stata penalizzata e soffocata. Ovviamente tutti quelli rappresentano innovazione e radicamento con i valori tradizionali del Paese sono i nostri potenziali alleati. Non ci faremo incartare dalle logiche delle alleanze. Perché la vera alleanza la faremo al nostro interno con il nostro programma".

 

Tutto l’Udc, compreso quindi anche Casini, potrebbe entrare nella Cosa Bianca?



"Casini potrebbe essere un elemento importante di questa operazione. Potrebbe giocare un ruolo significativo sulle linee che io, Tabacci e Pezzotta abbiamo già solcato, noi con il manifesto di Subiaco e Pezzotta con l’Officina".
 
      Che ruolo potrebbe avere Montezemolo in quest’operazione?

"Primario. E’ tra le persone che potrebbero giocare un ruolo importante".
 
      Ci sono già stati contatti con Montezemolo?

"Io personalmente no. Sicuramente Tabacci lo avrà sentito".
 
      In futuro Montezemolo potrebbe anche ambire al ruolo di presidente del Consiglio?
"Secondo me ha tutte le carte in regola".
 
      Il vostro obiettivo in termini di consensi elettorali?

"E’ quello di andare oltre il venti per cento, considerando tutte le persone che abbiamo citato. Poi se riusciremo anche a rendere forte questa nostra alleanza sulle riforme, i programmi, la sicurezza del Paese etc… non escludo che potremmo trovare terreno comune con Gianfranco Fini e anche con Antonio Di Pietro".
 
      Mastella no?

"Credo che dovrà prima chiarire la sua posizione nel governo. Mi sembra che sia rimasto ancora nel guado".

 

Fine del primo documento

 

VELTRONI E BERLUSCONI DEVONO FARE I CONTI CON IL TERZO INCOMODO
IL PROGETTO DEL "GRANDE CENTRO" PASSA ATTRAVERSO IL MONTEZEMOLONE
LUCHINO’S PARTY: CASINI E MASTELLA, TABACCI E PEZZOTTA (MAGARI ANCHE RUTELLI)

 

Claudio Tito per “la Repubblica”

«Il partito di Montezemolo». Iniziano a chiamarlo semplicemente così. Pier Ferdinando Casini e Clemente Mastella, Bruno Tabacci e Savino Pezzotta. Il progetto del "grande centro" passa attraverso la discesa in campo dell´attuale presidente di Confindustria. I contatti sono tanti. Continui. Il leader degli industriali italiani ne ha parlato pure l´altro ieri a margine della presentazione della mostra sui "Capolavori della città proibita" (era presenta anche Francesco Rutelli). Il probabile approdo ad un sistema proporzionale, del resto, apre delle nuove prospettive per i centristi dei due schieramenti. Alla ricerca di un volto nuovo da schierare alle prossime elezioni. E Montezemolo non nasconde il suo interesse. «Io ci sono», ha ripetuto a tutti i suoi interlocutori. In pubblico non si trincera più dietro un fermo no all´eventualità di un suo impegno politico. Adesso, usa un più disponibile «mai dire mai».

Tra i moderati del centrosinistra e del centrodestra è scattata allora la corsa a coinvolgerlo nella nuova tessitura. Una trama che negli ultimi giorni è diventata più fitta. Il capo dell´Udc ha raccontato ai suoi di aver approfondito la questione con "l´amico Luca" solo pochi giorni fa. «Noi – è il ragionamento dell´ex presidente della Camera – dobbiamo creare una forza alternativa alla sinistra, imperniata sul Ppe, organizzata in modo democratico e soprattutto lontana da ogni estremismo. E per questo dobbiamo incontrare tutti coloro che hanno uguali propositi». Il volto del presidente di Confindustria viene dunque considerato ideale per la prossima competizione. Una gara in cui Walter Veltroni e Silvio Berlusconi potrebbero fare i conti con il terzo incomodo. «Perché con una legge proporzionale – è la convinzione di Casini – il centro può arrivare al 10%». E a quel punto determinare la maggioranza. O almeno «avere la libertà di dar vita alle larghe intese senza il guinzaglio di Berlusconi».

Soprattutto avere la possibilità di dialogare da vicino con il Partito democratico. Che, non a caso, dalla sua nascita ha catturato le attenzioni e i giudizi più che positivi dello stesso Montezemolo. Carinerie sufficienti a far girare anche dalle parti del Pd l´ipotesi per il futuro di un governo VeltroniMontezemolo. A convincere "Mister Ferrari" a non scartare la politica tra i suoi orizzonti, è in primo luogo Pezzotta. Con l´ex segretario della Cisl i colloqui sono frequentissimi. Ed è sempre il coordinatore del "family day" ad avergli suggerito un percorso morbido. Fino a maggio prossimo, infatti, quando cioè concluderà il suo mandato in Confindustria, non compirà nessun passo ufficiale. Ma si limiterà a ripetere frasi che in qualche modo alludono ad una svolta personale: «Il Paese da 12 anni non è governato».

«È evidente che c´è un discorso comune – dice un altro centrista come Bruno Tabacci – i moderati si possono ritrovare mettendo insieme personaggi autorevoli come lui e Mario Monti». Un´area che già in occasione dell´ultima assemblea di Confindustria, il capo degli industriali aveva definito come la sua area di riferimento: «Nel capitalismo italiano sta crescendo una nuova borghesia che ha coscienza di sé». E che quella di Montezemolo non sia solo un´ipotesi, lo si capisce anche dalle preoccupazioni di Silvio Berlusconi. Il Cavaliere lo segue con attenzione. Ricorda che «doveva essere un mio ministro». Ma soprattutto teme l´abbraccio tra il Pd e un centro "montezemoliano". Che farebbe nascere un nuovo blocco sociale contando sull´appoggio di molti dei "poteri forti" dell´industria e della finanza.

Fine del secondo documento

 

Telecom finale di partita I veri vincitori sono Romano Prodi e Giovanni Bazoli, mentre i perdenti sono Vincent Bolloré, Antoine Bernheim e Tarak Ben Ammar

Edizione 253 del 20-11-2007

      In pole position stanno Gabriele Galateri di Genola e Franco Bernabé

di Biagio Marzo

 

Aspettando Godot, però, a parti invertite. Mentre nella commedia di Samuel Beckett Vladimiro ed Estragone aspettavano Godot, che non arrivava mai, nella vicenda Telecom Italia si aspetta, da mesi oramai, il prossimo arrivo del presidente e dell’amministratore delegato. Un fatto inaudito, per la perdita di tanto tempo prezioso, a cui la stampa specializzata internazionale ha dedicato pagine e pagine di commenti oltremodo critici al vetriolo. Vero è che il titolo dell’azienda tlc è sotto pressione, e non da ora, e vero è anche che gli spagnoli di Telefonica stanno recitando la parte dei parenti poveri. Una parte, a ben vedere, che non sopportano per l’investimento fatto, – peraltro criticato in Spagna per essere stato parecchio oneroso – e, per di più, avendo in mano notevoli e decisivi pacchetti azionari di Telco – la finanziaria dell’azienda telefonica italiana che controlla Telecom Italia – e di Telecom Italia, si trovano nell’imbarazzante situazione che non possono proferire verbo sulle nomine. Ciò spetterebbe agli italiani per accordi presi, allorquando Cesar Alierta ha stipulato con i soci l’atto di acquisto delle quote di Olimpia,la holding che è stata sostituita da Telco. Si dà per certo che le tanto attese nomine si farebbero in questa settimana.
     Da oggi, intanto, parte la corsa in cui in pole position stanno Gabriele Galateri di Genola, presidente, Franco Bernabé, amministratore delegato. Due nomi, a dire il vero, che circolano da mesi, ma le banche azioniste di Telco (Mediobanca e Intesa; invece Generali è stata più defilata in proposito) su Galateri e Bernabè non hanno trovato finora l’accordo. Proprio oggi, martedì 20 novembre, potrebbe essere il giorno fatale, dato che il comitato nomine si riunisce per discutere il nuovo assetto di comando, in vista della riunione dell’assemblea convocata per il giorno successivo, mercoledì 21 pv. I due nomi in ballo per la stanza dei bottoni sono: Gabriele Galateri di Genola che è uomo Fiat a tutto tondo e proviene dalla presidenza di Mediobanca. Inoltre, ha un rapporto con Alierta, essendo stato compagno di università negli Usa. Franco Bernabé, invece, ricopre, attualmente, la vice presidenza di Rothschild Europe. È un veterano di Telecom, avendo ricoperto la carica di amministratore delegato, dal 1998 al 1999, e, in precedenza, quella di amministratore delegato di Eni, dal 1992 al 1998, dove ha condotto un programma di ristrutturazione e privatizzazione.
      Nel corso dei suoi due mandati alla guida della società, l’Eni è stata trasformata da ente di stato nella più grande società per capitalizzazione in Italia , restando così una delle compagnie petrolifere più importanti al mondo. Per taluni Bernabé, nel corso delle inchieste giudiziarie, all’inizio degli anni Novanta, sul cane a sei zampe, ebbe, diciamo così, un atteggiamento a favore di Mani pulite mettendo, a torto e a ragione, nei guai parecchi manager. Entrò all’Eni nel 1983 come assistente del presidente Franco Reviglio, in seguito Bernabè divenne direttore centrale per la pianificazione, controllo e sviluppo. Prima di passare all’Eni aveva lavorato presso il dipartimento di pianificazione della Fiat come chief economist, dopo un’esperienza come senior economist presso il dipartimento di Economia e Statistica dell’Ocse a Parigi. Questo è quanto. Come visto, Bernabé è una vecchia conoscenza di Telecom Italia dalla quale si dimise allorché la coppia Colaninno e Gnutti lanciarono la maxi Opa. In quel periodo travagliato, Bernabé guardava all’alleanza tra il gigante tlc italiano e il colosso Deutsche Telekom. Peraltro, i rapporti con il presidente del consiglio di allora, Massimo D’Alema, non furono idilliaci e non sono migliorati per nulla di recente.
     Di questa complessa partita, i veri vincitori sono Romano Prodi e Giovanni Bazoli, mentre i perdenti sono Vincent Bolloré, Antoine Bernheim e Tarak Ben Ammar. Già nell’intervista di quest’ultimo sulla Repubblica aveva detto chiaramente che i francesi vista la malaparata avrebbero potuto decidere se restare o no in Mediobanca. Tra l’altro, le Generali hanno avuto un atteggiamento pilatesco, preoccupate come sono dell’attacco di Algebris direttamente su Bernheim e i capi azienda. E Cesare Geronzi? Ha fatto di tutto per non essere spiazzato e alla fine ha ceduto, suo malgrado. Su di lui pesa in generale il caso giudiziario, per questo non ha potuto tirare troppo la corda. La sua maggiore preoccupazione, in verità, è che Bankitalia e via XX Settembre facciano una mossa ad hoc, senza colpo ferire, per estrometterlo dalla presidenza del consiglio di sorveglianza di Piazzetta Cuccia per via giudiziaria. Resta il fatto che è in gioco il 9,4% di Mediobanca che Unciredit deve mettere sul mercato e tra gli altri Fininvest e gli stessi Benetton si sono candidati come nuovi azionisti nonché pattisti. Poi toccherà alle Generali, la cui “governance” – la presidenza e il doppio incarico di ad – è sotto tiro degli hedge fund e, per di più, ha la vice presidenza vacante, dopo il veto di Bankitalia nei confronti di coloro che rientrerebbero in situazioni anomale,- Geronzi in questo caso – per essere nel ruolo di governante e governato nei cda.
     E poi, ci sarà, prossimamente, il problema Rcs Media Group, la holding del Corriere della Sera, il cui attuale management è frutto di accordi fatti negli anni passati, quando i rapporti di forza dentro il salotto buono erano ben diversi. Non è tutto. Le varie poste in palio nel settore privato sono molto alte, per non parlare di quelle ancora pubbliche per le quali Palazzo Chigi dovrà dire l’ultima: come nei casi: Finmeccanica, Eni, Enel… Per un verso con Bazoli, per l’altro con il potere che gli compete come presidente del consiglio, Prodi farà scacco matto e farà il pieno di nomine e, quindi, di potere. Sta di fatto che conquistata Telecom Italia, le altre seguono a ruota.

 

Fine terzo documento

 

[…..] Il progetto berlusconiano è inevitabilmente destinato a mettere nell’angolo Fini e Casini. I quali sono costretti a reagire. E la loro risposta al Partito delle libertà non dovrebbe tardare: presto, l’annuncio della nascita di un nuovo Partito cattolico moderato in cui chiamare a raccolta il popolo del family day con il suo profeta Savino Pezzotta. Il progetto, sponsorizzato da Vaticano e Confindustria, ha però bisogno di tempi di maturazione più lunghi del partito berlusconiano. Perciò Fini e Casini devono far di tutto per allontanare il più possibile la data delle prossime elezioni. Per questo, prima hanno contrastato la strategia berlusconiana della "spallata" ed ora sono attratti dalla proposta veltroniana. Il tempo gioca a loro favore.

Se Walter la spunta, che caratteristiche avrà il governo per le "grandi riforme"? E chi potrebbe guidarlo? L’opzione principale resta al momento un Prodi-bis, più snello nella sua struttura ministeriale e, se possibile, con una maggioranza parlamentare più ampia. In caso contrario, l’alternativa a Prodi sarebbe inevitabilmente da pescare in quel poco che resta nel mazzo Pd: Veltroni stesso o D’Alema. Sono gli unici su cui, alla fine, potrebbe arrivare anche il consenso di Berlusconi. Il quale, visto il precedente al Senato e previdente com’è, non vuole precludersi soluzioni di ripiego. Ed ha già messo al lavoro il suo plenipotenziario Gianni Letta. Non è escluso che sia proprio a Letta ad affiancare Veltroni o D’Alema alla guida del governo per le "grandi riforme".

Fine quarto documento

 

A questo punto si legga (in appendice) il “pezzo forte”: l’intervista di Cirino Pomicino (anche Geronimo a volte) su Liberomercato del 21 novembre.*

Dopo riprendete da questo punto: riporterò alcuni brani, sempre dal giornale finanziario appena citato, di certo Gambarotta, che dà consigli a Bernabé; il giornalista afferma di stimarlo al di sopra di tanti altri manager, con sviolinate che mi sembrano un po’ eccessive. Egli si “permette sommessamente e spassionatamente” di consigliarlo di “lasciar perdere” e di non infilarsi “in una simile impresa folle….perché Telecom non sarà più un’azienda, ma un centro di potere politico e di affari. E neppure un manager di eccellenza potrà cambiare questa realtà”. Il giornalista ripercorre poi, in sintesi, le vicende Telecom di questi ultimi anni fino all’attuale composizione azionaria di Telco (proprietaria di Telecom): 42% alla spagnola Telefonica, 28% alle Generali, 10% l’una a Mediobanca e Intesa-San Paolo, 8% a Benetton (ricordo, a questo punto io, che quest’ultimo è stato “ammorbidito” dal governo con tutta la sfibrante vicenda della fusione della sua Autostrade con la spagnola Abertis, cui è stato dato semaforo verde, da Di Pietro, dopo lunghissimo penare).

La maggioranza, dunque, spetta agli azionisti “italiani” (con Benetton, lo ripeto, reso alleato degli “amici” del governo: leggi Intesa). Gambarotta rileva però che “si sono subito formate due parrocchie in competizione fra loro con rispettivi santi protettori. La prima è capeggiata dal presidente del Consiglio di sorveglianza di Intesa San Paolo, Giovanni Bazoli, con l’autorevole benedizione del Presidente del Consiglio Romano Prodi; l’altra ha invece il suo punto di riferimento nell’omologo di Bazoli in Mediobanca, Cesare Geronzi. Per quasi otto mesi da entrambe le parti è stato un continuo proporre e bocciare candidati con l’azienda che stava a guardare i due litiganti, costretta ad occuparsi solo dell’ordinaria amministrazione perché priva di un management nella pienezza dei suoi poteri” (chi è stato “torturato” dalla Telecom, come me, sa che tale pienezza di poteri, per la verità, ormai mancava da anni; tale azienda è un “casino” indescrivibile!).

L’articolo continua: “grazie anche alla tenuta in sella di Prodi, alla fine la soluzione Bernabé caldeggiata da Intesa quasi certamente prevarrà…..Si tratta di un manager di prim’ordine con un curriculum che pochi possono vantare [circa i meriti e la carriera del manager si veda Cirino Pomicino. Io ricordo bene l’epoca di “mani pulite”, quando costui era vicepresidente di Eni con presidente Cagliari; quest’ultimo si suicidò (con il sacchetto di plastica sulla testa) e il vice, che collaborò con i magistrati, ascese al “soglio”. Niente di male in questo (salvo una imprevista morte in mezzo), solo che la faccenda sapeva di abile capacità manovriera più che aziendale; naturalmente faccio il finto tonto, seguendo i mentitori che ci raccontano fregnacce sulle aziende quali “regno dell’efficienza” e della competitività nel “mercato globale”, e altre menate varie]…..Poi, dopo un’esperienza imprenditoriale in proprio, è diventato vicepresidente della Rothschild, una delle più note banche d’affari del mondo [ne dirigeva la sezione europea, come Draghi quando era alla Goldman Sachs. Sempre in Cirino Pomicino, si vedano gli accenni alle pressioni di ambienti internazionali; vogliamo essere precisi e dire chiaramente americani?]. Eppure neanche un manager con una simile esperienza sarà in grado di gestire Telecom come un’azienda normale……Il copione messo in scena per le nomine, si ripeterà per ogni scelta importante, per ogni decisione strategica. Ognuno degli azionisti vorrà imporre la sua soluzione e cercherà sponde politiche per farla prevalere….ecc. ecc.”

 

Mi sembra sufficiente; c’è molto materiale su cui il lettore può meditare. I commenti, ad un successivo inserimento, perché questo è già troppo corposo. Dico solo che chi prenderà atto, e solo un minorato potrebbe non prenderne atto, di quanto sopra riportato non può più sostenere in buona fede che Berlusconi è il nemico principale, non può affermare che il governo di queste coperte e torbide manovre capitalistiche (subordinate a pressioni straniere) è il “meno peggio”. Chi continua sulla vecchia strada dell’opportunismo è a questo punto un complice di trame a dir poco banditesche (“chicaghesi”); niente più scuse, siamo di fronte a politici (e anche intellettuali) che sono autentici sicari e manovali delle operazioni poco pulite di centri finanziari-industriali (italiani con dietro quelli americani). Per quanto si sia anticapitalisti – e noi lo restiamo – sarebbe da dementi fare di tutta un’erba un fascio; ci sono capitalismi peggiori e l’italiano è il peggiore. La sinistra italiana – rinnovando i “fasti” di tutte le “migliori” sinistre di ogni tempo e luogo – è al servizio di questo peggiore!

Intervista a Pomicinointervista_cirino_pomicino_21_nov.