LA REALTA’ ETICA di M. Tozzato

Sono cresciuto in una famiglia cattolica e anche quando sono diventato non credente non ho smesso di leggere testi religiosi di svariato genere e di apprezzare il contenuto morale e filosofico che si può ritrovare  nei libri sacri abramitici e nella “sapienza orientale”. D’altra parte in una società come la nostra, che si avvia a diventare multietnica e multiculturale in maniera sempre più accentuata, appare doveroso non soltanto che il principio della laicità dello Stato venga ribadito ma che lo stesso ruolo, tuttora istituzionalmente predominante, rivestito dalla Chiesa cattolica romana, in relazione e in rispetto dei diritti religiosi universali, venga criticato e messo in discussione anche a livello giuridico-sociale. Per fare un esempio, mi pare che gli articoli 7 ed 8 della Costituzione della Repubblica Italiana appaiano inadeguati allo sviluppo e all’evoluzione sociale degli ultimi decenni.

Più precisamente e in maniera più concisa, ma sufficiente per li riconoscimento giuridico della libertà religiosa, sarebbe possibile ridurre il testo eliminando integralmente l’articolo 7 e togliendo le parole “diverse dalla cattolica” dall’articolo 8. Ne risulterebbe un più equo ed equilibrato riconoscimento della “democrazia religiosa” in un paese in cui la tradizione cristiano-cattolica deve ormai far leva sulla sua capacità di orientare le coscienze in un confronto aperto e leale con le altre concezioni del mondo, religiose e non.

Le polemiche, anche piuttosto aspre, sulle unioni di fatto mettono in gioco problemi che non riguardano ovviamente soltanto  questioni morali e modi di concepire la vita perché rimandano comunque ad una rielaborazione di alcuni punti cruciali delle dottrine di diritto privato (civile) anche se mi pare che proprio da questo punto di vista, rispetto al  quale sono comunque del tutto  incompetente, il dibattito si sia presentato in toni blandi e dimessi. Ci si è, infatti, quasi esclusivamente, soffermati  sulla questione se per la Chiesa sia da considerarsi  lecito o meno interferire in maniera “forte” su tematiche che dovrebbero essere di  esclusiva competenza di un Parlamento libero e sovrano. Benedetto XVI nell’ultimo periodo ha fatto ampio uso della sua autorità spirituale e i suoi messaggi pur caratterizzati da una forma filosofica e teologica e quindi non immediatamente politica, sono stati recepiti, tradotti e amplificati  dai mass media in maniera che potremmo definire piuttosto efficace. Nell’introduzione all’Angelus del 28 gennaio, commemorando Tommaso d’Aquino, il papa afferma: <<Secondo il pensiero di San Tommaso, la ragione umana, per così dire, “respira”: si muove, cioè, in un orizzonte ampio, aperto, dove può esprimere il meglio di sé. Quando invece l’uomo si riduce a pensare soltanto ad oggetti materiali e sperimentabili e si chiude ai grandi interrogativi sulla vita, su se stesso e su Dio, si impoverisce.>>

Queste parole sono già sufficientemente significative per comprendere l’opposizione da lui presupposta: da una parte abbiamo la scienza pura e applicata a cui l’ umanità (presa in blocco) si affiderebbero indiscriminatamente, dall’altra una “Vita” ipostatizzata, “sacra”, astratta e metafisica, priva di spessore naturale, sociale e culturale assieme ad un essere umano chiuso nell’isolamento della sua coscienza di fronte a Dio. Effettivamente coloro che vedono in Ratzinger un avversario del Concilio Vaticano II° probabilmente non hanno tutti i torti; nonostante l’ abilità dialettica del papa-filosofo a volte lo nasconda, non ci può sfuggire, credo, la comprensione che qui è presente  una regressione rispetto alla forte apertura alla dimensione sociale della religiosità che aveva caratterizzato il Concilio. Per quanto riguarda il problema del matrimonio Benedetto XVI, nel suo discorso al Tribunale della Rota Romana del 27 gennaio, puntualizza che la<<”verità del matrimonio” perde però rilevanza esistenziale in un contesto culturale segnato dal relativismo e dal positivismo giuridico, che considerano il matrimonio come una mera formalizzazione sociale dei legami affettivi. Di conseguenza, esso non solo diventa contingente come lo possono essere i sentimenti umani, ma si presenta come una sovrastruttura legale che la volontà umana potrebbe manipolare a piacimento, privandola perfino della sua indole eterosessuale.>> E’ evidente che il cattolicesimo conosce, hegelianamente, solo il momento della moralità e non quello dell’eticità (nella storicità): le forme sociali, infatti, conoscono uno sviluppo storico in cui si intrecciano natura e cultura, nelle loro specificità e nelle loro differenze. La Chiesa dimentica che una forma che perda il proprio   contenuto deve modificarsi perché diventa “irreale e irrazionale”. Ma l’intreccio di natura, cultura e società non deve necessariamente , nel suo sviluppo, terminare in un “relativismo assoluto” che realizzi una completa manipolabilità degli enti. Difatti omosessualità ed eterosessualità coesistono dall’inizio dei tempi, che piaccia o non piaccia, e prima dell’avvento del Cristianesimo le grandi civiltà dell’antichità, greca e romana,  ammettevano la liceità di entrambe, eppure l’istituto familiare non avrebbe potuto comunque essere fondato altrimenti che su una unione eterosessuale. La natura e la cultura nell’umana socialità devono poter avanzare i loro diritti ma non prevaricare totalmente l’altra sino ad annullarla e la procreazione (la potenzialità procreativa) che determina la famiglia in senso proprio richiede la differenza biologica tra maschile e femminile. Ma l’”intima communitas vitae et amoris” (Cost. past. Gaudium e Spes) non si esaurisce necessariamente nelle forma del matrimonio e della famiglia e può dar luogo a diversificate tipologie di relazioni sociali ed affettive che meritano un riconoscimento giuridico nella misura in cui l’evoluzione socioculturale ne riconosce ( ancora hegelianamente) la razionalità e quindi la “realtà etica”.

 

 

Mauro Tozzato                        15.02.2007