VICENZA E MOLTO DI PIU’ di G. La Grassa

 

Sono del tutto contento che la manifestazione di Vicenza sia riuscita, prescindendo dal numero dei partecipanti che, com’è ben noto, viene diviso per due dagli organi ufficiali e moltiplicato per tre dagli organizzatori. Ero convinto (al 99%) che non ci sarebbero stati incidenti e sono lieto che così sia stato. Vi era “l’ignobile” (secondo i nostri benpensanti governativi e di opposizione) scritta a favore delle BR. In TV ho visto solo delle parole di “solidarietà con gli arrestati”; a me sembra che solo due di questi si sono dichiarati “prigionieri politici”, per gli altri dovrebbe vigere ancora il principio della semplice presunzione di colpa fino al processo ed eventuale condanna. Faccio il facile profeta: almeno i 2/3 degli arrestati e indagati saranno alla fine prosciolti e lasciati in pace (solo fino alla prossima occasione utile per creare tensione).

Non sono rimasto invece per nulla soddisfatto delle immagini da “sagra paesana” trasmesse dalla TV; mi auguro che esse svisassero il vero senso della manifestazione. Va bene essere pacifisti e non violenti, ma cantare, ridere, far rullare tamburi, vestirsi e truccarsi in modo variopinto e arlecchinesco, non dà il senso della serietà degli intenti. C’è un tempo per la festa e un altro per gli impegni veri e soprattutto consapevoli. Mi piacerebbe sapere se, a parte i dirigenti di una sinistra che cerca un po’ di consenso per meglio mantenere i propri cadreghini (governativi e sottogovernativi), ci fosse tra “i 100.000” (o più) almeno una decina di persone consapevoli di chi “mena la mastella” nel mondo, ma anche qui in Italia (sia pure da subdominanti). Ho letto che erano vendute magliette con la scritta (in 10 lingue): “io non ho votato Berlusconi”. Ho l’impressione che la stragrande maggioranza dei partecipanti (credo la totalità, salvo i fottuti dirigenti di cui sopra) non abbia nemmeno il minimo sentore che tutte le battaglie di potere (quello reale e pesante come l’intero Mondo) sono combattute nel nostro paese – al seguito degli interessi predominanti statunitensi – da grandi concentrazioni finanziarie (e industriali; quelle “pubblicamente”, cioè statalmente, assistite), i cui giochi contrapposti si svolgono tutti, senza eccezione, con la rappresentanza politica delle varie fazioni del centrosinistra; con semmai qualche puntata verso l’UDC di Casini.

 No, non lo sa nessuno del “popolo di sinistra”, il prodotto di una degradazione culturale verificatasi nell’ultimo trentennio ad un livello tale da dare il capogiro. Una manifestazione, cui partecipasse anche mezzo milione di appartenenti a questo “popolo” di inconsistenti, non muterebbe nemmeno dello 0,000000……1% i “destini del mondo”. Per fortuna, in altre parti del globo c’è qualcuno con un poco più di testa sulle spalle. Questa nostra sinistra ignorante e senza voglia di pensare (ma solo di “partecipare”) finirà, non dico in tempi brevi ma nemmeno eterni, in un “gran falò”; e sarà un gran giorno, il giorno della rinascita di una prospettiva, dell’inversione di tendenza.

 

Il Congresso americano ha votato contro l’invio di nuove truppe in Irak voluto da Bush; al Senato ci sono stati 56 voti a favore su 100, ma ne occorrevano 60 per dichiarare approvata la stessa mozione. Non si tratta di votazioni vincolanti per il Presidente, ma è un ulteriore indizio che sono in corso discussioni per un mutamento di strategia; pur sempre imperiale. Tali discussioni investono perfino il Pentagono. Alcuni importanti uomini politici, non “colombe”, hanno dichiarato recentemente la loro contrarietà ad un attacco all’Iran. Insomma, i sintomi di possibile revisione strategica non mancano. Sarebbero sciocchi quelli che pensassero ad una svolta pacifista degli USA. Nessun paese di quella forza, oggi unica al mondo dopo il crollo dell’URSS, rinuncerà mai ai propositi di mantenere una supremazia globale; oggi contestata, ma ben lungi ancora dall’essere seriamente intaccata, soprattutto perché il vantaggio americano, non solo in campo militare ma in tutti i settori d’avanguardia della scienza e della tecnica, è assai considerevole.

Resta il fatto che la politica aggressiva condotta per oltre dieci anni dagli USA, e particolarmente accentuatasi dopo l’11 settembre 2001, non ha conseguito quei successi che gli ambienti più “focosi” speravano. Se non erro, manca un anno e mezzo alle nuove elezioni presidenziali. Questi ambienti tentano il tutto per tutto alla guisa di un pokerista che gioca al rialzo. Vogliono accentuare lo sforzo bellico in Irak, scatenare l’offensiva di primavera in Afghanistan, hanno una voglia matta di almeno bombardare i siti atomici in Iran (non abbandonando nemmeno i tentativi di alimentare “quinte colonne” interne a questo paese). Nel contempo – in quest’area brandendo già ora bastone e carota, e sfruttando la presenza di forti correnti opportuniste – accelerano la pressione in Palestina per sistemare gli affari in quella zona a completo favore di Israele. Il tempo a disposizione è poco, non so francamente quante probabilità esistano di modificare radicalmente situazioni non brillanti; comunque è chiara l’intenzione di provarci.

Se però, come penso e spero, i risultati saranno assai parziali per non dire addirittura scarsi, una qualche revisione strategica si imporrà; non credo ad una vera ritirata, ma comunque a “correzioni di tiro” non marginali. Ci si dovrà rassegnare, da parte statunitense, all’affermazione di un minimo di policentrismo: contrattare quindi di più con Russia e Cina, fare maggiori concessioni alla possibile alleanza con l’India e stringere patti più stringenti con il Giappone. Critica sarà la situazione in Pakistan, dove le varie spinte e controspinte saranno forti e produrranno nuovi equilibri complessivi, difficili da prevedere nei loro esatti contorni. Ci si potrebbe attendere una maggiore spigolosità in Sud America, forse in Africa, ma pur sempre con cautela; in Europa, si produrranno nuove spinte per un rafforzamento della Nato, magari con una accentuazione del lato “economico” (dove le politiche dei predominanti hanno maggiori possibilità di affermarsi in modo più nascosto e sotterraneo; si pensi alle manovre finanziarie già in pieno svolgimento) rispetto al lato più scopertamente militare (anche se non credo che questo verrà realmente depotenziato, al massimo solo “riqualificato” e reso un po’ meno scoperto e ingombrante). Si potranno perciò manifestare concessioni di pura forma ai “fedeli alleati” al fine di non farli sentire troppo sudditi, quali invece sono (e continueranno ad essere pur se in forme diverse). In fondo, il nostro centrosinistra si sta preparando a questa eventualità, mentre il centrodestra continua stupidamente, e perché non sa come differenziarsi altrimenti, a puntare sulla politica “bushiana” al tramonto.

Sono dunque possibili revisioni anche riguardo alla politica delle basi militari americane in Europa; rendendole ad es. meno visibili, apparentemente ristrette perché più agili e flessibili, non meno minacciose ma meno appariscenti. Del resto, perfino nella immediatamente prossima fase, di bushiano “gioco al rialzo”, si potrebbero fare concessioni su questioni attinenti alle basi in cambio di più sostanziosi apporti nelle varie aree di crisi (come in Afghanistan). E se ciò dovesse per caso verificarsi, è facile prevedere che i pacifisti, le “anime belle”, ecc. grideranno di aver compiuto il miracolo; crederanno di aver rinnovato le “gesta” di Gandhi, che del resto “vinse” quando ormai l’Inghilterra era una potenza coloniale in rovinosa decadenza e sostituita in toto dagli USA; i quali, certamente, ancora per molti decenni non si troveranno nella stessa condizione inglese di declino, per cui gli imbecilli avranno in tempi brevi risvegli comunque poco piacevoli. L’unica “speranza” – e non è certo una bella prospettiva – va riposta nella crescente potenza di Russia e Cina, cioè nell’effettivo perfezionarsi di una nuova fase di policentrismo. A meno che…..; a meno che non sorga in alcuni paesi europei una forza politica estremamente dura contro destra e sinistra, contro gli imbelli pacifisti; una forza che rimetta questa parte del mondo in gioco nella nuova epoca in via di divenire, entro i “giusti tempi storici”,  policentrica (o imperialistica).

Diceva Mao: “O la rivoluzione metterà termine alla guerra o nascerà dalla guerra”. A occhio e croce, non credo si verificheranno nuovi scontri mondiali dello stesso genere degli eventi bellici della prima epoca dell’imperialismo. Tuttavia, la conflittualità sarà aspra come sempre avviene quando si apre in modo radicale la resa dei conti tra le diverse frazioni capitalistiche – in quanto siano anche partizioni (finora sempre paesi) della formazione capitalistica mondiale – nella loro lotta per la supremazia. Allora mutiamo adeguatamente la frase di Mao: “O la rivoluzione metterà termine alla lotta per la supremazia [cioè muterà la struttura dei rapporti sociali secondo forme che, sconfiggendo l’oppressione, depotenzieranno anche il conflitto tra oppressori] o nascerà da tale lotta”. Considerando che le vecchie cariatidi del comunismo sono interamente confluite nella sinistra, e che quest’ultima è la cloaca massima di tutte le cloache, mi permetto la convinzione che la seconda opportunità sia l’unica realistica. La prima fa parte delle “belle favole”, che ci raccontiamo per restare aperti a tutte le possibilità (e ai “sogni”); ma credo resterà solo tale. I “grandi movimenti” di questi ultimi anni non fanno che confermare questa certo sconsolante conclusione.

 

PS Di questi tempi, uno deve veder sollecitati continuamente i suoi peggiori istinti. E’ impossibile non aggiungere qualche rigo su questa sinistra (soprattutto quella “estrema”), che ogni 24 ore supera in “puzza e nausea” il pur orrendo odore che già emanava. Li ho sentiti ai TG di questa sera; fra gli altri l’“esimio” Ministro Ferrero e il “segretario” Giordano. Il leitmotiv era: dopo la manifestazione, il Governo non può non ripensarci. Ma in che modo? Deve quanto meno indire un referendum (non in Italia ma a Vicenza) e ridiscutere il progetto di ampliamento con la popolazione (locale). Un problema di politica estera, riguardante l’atteggiamento generale da tenere nei confronti della strategia militare e geopolitica statunitense (e della NATO), viene ridotto a problema di edilizia e aree urbane comunali. L’ineffabile sottosegretario (all’economia, figuratevi!) Cento – verde (anche di testa) – metteva avanti il solito ambientalismo (che solo per questo uno ha in antipatia, perché è stato consegnato a dei deboli di mente, a dei mediocrissimi “conformisti dell’anticonformismo”, a uomini “medi” come li intendeva Pasolini ne La ricotta) e la possibilità di rivedere le modalità dell’ampliamento. Sembra infatti che il Governo si appresti ad una mediazione (sulla quale gli USA sono pronti a discutere): sviluppare le nuove costruzioni non verso l’aeroporto civile (cioè verso la città) ma “dalla parte opposta”, quella dell’aeroporto militare. Uno resta allibito: “ma ci sono o ci fanno?”.

Ricordo i coglioni – anche alcuni miei conoscenti purtroppo – che inorridivano di fronte a certe ridicole affermazioni di Berlusconi e, nascondendosi il viso tra le mani con gesto teatrale, dicevano: “Ma cosa mai diranno all’estero, come mi vergogno di essere italiano(a)”. Beh, io mi vergogno di appartenere al loro stesso genere homo; avendo nella scatola cranica un cervello con encefalogramma piatto, hanno votato questi bricconi che ci s-governano; da noi si dice: “i g’ha ‘na testa che non ‘a magna neanche i porsei”. Qui è necessario che qualcuno pensi ad eliminare questi irresponsabili deficienti, perché non si può tirare avanti a lungo con gente che affida le sorti di un paese, già sufficientemente disastrato, ad una simile genia di arruffoni e arraffoni. D’altronde, sono anche d’accordo che non debbano tornare “gli altri”; basta dover scegliere tra le teste “di minchia” e quelle “da mona”! Occorre aria nuova e fresca. Non un “venticello de Roma”, ma un uragano come quello che colpì New Orleans; spazzare via finalmente questa accolita di decerebrati e malandrini: una accoppiata ben difficile a prodursi, la sinistra (con l’estrema in testa) è proprio speciale in tutto!

 

19 febbraio 

 

UNA REPUBBLICA DI "SOGNATORI" di G. La Grassa

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La Repubblica – parlo dei suoi lettori – è lo specchio della sinistra diessina, semicolta, intellettualoide, un po’ chic e con la puzza sotto il naso di fronte alla “cattiva estetica” dei “berluscones”; mentre i lettori del Corriere sono più ferrati in affari e finanza, sono commercialisti, avvocati, consulenti, manager, ecc. Una quota di entrambe queste “cordate di lettori” compra anche Il Sole24ore, perché gioca in borsa e con la sua compravendita di titoli sente di essere la vera “struttura portante” dell’Italia “che fa ricchezza” (non producendo che chiacchiere, imbrogli, raggiri vari con carta straccia). Complessivamente, i lettori di cui si tratta sono una buona rappresentazione del cancro – in via di metastasi – che sta distruggendo il paese. Per loro occorrerebbe una punizione esemplare e non indolore; ogni angolino della società andrebbe ripulito da queste cellule ormai putride, fonte di sempre nuove infezioni.

Un piccolo sintomo di quanto si sta dicendo lo si riscontra nello scontro che oppone da mesi i redattori di Repubblica all’editore (che più “progressista” non si può). A dicembre, la redazione inviò un comunicato al “padrone”, in cui lo definiva “delle ferriere” (dal titolo di un vecchio romanzo di fine ottocento, un feuilleton ma significativo dello spirito dei capitalisti del tempo, sfruttatori nel senso letterale e peggiore del termine); e affermava “che si professa liberal, pretende di avere come ragione sociale la difesa dei diritti delle persone e della dignità del lavoro”, ma in realtà “disprezza la redazione”.

Altrettanto duro e articolato il comunicato di questi ultimi giorni. In esso si afferma che l’editore “a parole smentisce di essere uno dei ‘falchi’ ma poi non fa nulla di concreto per sbloccare la situazione” mentre “un quarto dei colleghi….fa letteralmente fatica ad arrivare alla fine del mese”. “Nonostante quasi ogni giorno le testate del gruppo raccontino quale impatto abbia avuto l’arrivo dell’euro sui prezzi e denuncino la perdita del potere d’acquisto dei salari, il nostro editore trova il tempo e il denaro per tentare la conquista di Alitalia, dimenticando che i suoi dipendenti devono far quadrare il loro bilancio con gli stessi salari di sette anni fa. Bella coerenza. Un gran brutto segnale da parte di chi aspira a sottoscrivere la tessera n. 1 del Partito democratico”. In conclusione, la redazione invita i “lettori ad aprire gli occhi su una realtà, quella del Gruppo Espresso, che a parole promuove la concertazione, il dialogo, il rapporto costruttivo e negoziale con tutte le componenti del mondo del lavoro e che invece, al suo interno, mantiene retribuzioni, sistemi normativi e rapporti di lavoro del tutto incoerenti con questi ‘buoni’ propositi”.

Per carità, ai redattori, in quanto lavoratori salariati, vada tutta la nostra solidarietà. Ci consentiamo solo di ricordare loro sommessamente che i lettori di Repubblica sono quei semicolti intellettualoidi già sopra ricordati. Gente dai lavori più improbabili e improduttivi, nei settori del turismo e dello spettacolo, dell’informazione soprattutto pubblicitaria, dell’organizzazione di kermesse similculturali e di viaggi, dell’apparato sanitario semipubblico e semiprivato, del volontariato e del sedicente no profit, del multi e interculturalismo, delle scuole di specializzazione e formazione (di perfetti incapaci nei più vari lavori inutili, e nella scuola anch’essa ormai inutile, anzi dannosa), delle organizzazioni non governative, degli aiuti ai diseredati di mezzo mondo, insomma  del “magna-magna” foraggiato da pezzi importanti dell’apparato pubblico (centrale e locale); quello controllato dai marpioni di sinistra, che succhiano risorse a non finire, nel mentre i Prodi e TPS e Visco e Bersani d’occasione pestano sui ceti produttivi per estorcere tutto il possibile e anche di più.

I lettori di Repubblica sono quelle persone di “raffinata” cultura – e che odiano i bottegai così ignoranti – che non hanno mai letto (o quasi) i grandi classici della letteratura; si sbronzano con gli autorucoli di quest’epoca di nani, trovandoli sempre “bellissimi”, girano l’Italia e l’estero per “consumare” mostre d’arte (anch’esse sempre “bellissime”, originalissime, perché “timbrate” dalla loro presenza onnivora e superficiale), fanno viaggi “esotici” e ne ritornano con orripilanti filmini con cui torturano gli “amici non colti” che non viaggiano, si recano sempre in spiagge esotiche dove, purtroppo, solo rarissimamente sono organizzati attentati “islamici” e si sollevano Tsunami (che risparmiano sempre i peggiori, quelli veramente “di sinistra”).

Chi scrive critica da tempo l’idea di tempi preistorici secondo cui esisterebbe la Classe Universale, quella del “levarsi del Sol dell’avvenire”. Tuttavia, sia chiaro che stimo pienamente sia i veri e propri operai sia, in generale, i lavoratori salariati dei settori produttivi e dei servizi effettivamente utili; si tratta di persone estremamente serie, la reale parte sana che ancora manda avanti questa povera Italia. Se rientrasse nella mia possibilità, mi si perdoni questo insano desiderio, sterminerei invece – magari con qualche gas esilarante, così questi buffoni morirebbero nel modo più adatto alla loro assoluta superfluità – una buona parte dei lettori di Repubblica (e del Corriere pure), in specie la quota diessina e margheritina, la più ghiotta da “servire” secondo queste “dolci” modalità. In fondo, non è che un innocuo sogno, ma fa sentire un certo calorino in tutto il corpo. Solidarietà convinta dunque ai redattori di cui abbiamo parlato, ma perché non imparano anch’essi a coltivare questi sogni innocui? Una Repubblica di “sognatori”, il che non nuoce alla energica richiesta di “non sognati” aumenti salariali.

 

19 febbraio

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