Riceviamo e Pubblichiamo:
CORPO SCIOLTO E CORPO-RATIVISMO di Lucio Garofalo

 La stitichezza si accompagna spesso all’avarizia, all’introversione, alla malinconia, alla reticenza. Invece, la scioltezza di corpo si associa più facilmente alla generosità, all’estroversione, all’allegria, alla loquacità. Non a caso, molti anni fa il geniale Roberto Benigni scrisse e dedicò un surreale inno al corpo sciolto intitolato, appunto, “L’inno del corpo sciolto”.

Chi è sciolto di corpo è sciolto anche di mente e di spirito, ma è sciolto anche con il linguaggio. Chi evacua facilmente e frequentemente l’intestino è una persona ironica e spiritosa, che usa con facilità anche le parole ed è in grado di cogliere i concetti più sottili e più raffinati.

A proposito di corpo sciolto vorrei parlarvi del "corpo-rativismo".

Qualcuno, facendo riferimento alla mia posizione nella vertenza sindacale insorta a scuola, mi ha rimproverato di condurre una “battaglia corporativa”. Ebbene, se per costui i diritti sindacali e le regole della democrazia collegiale e partecipativa sono diventate una questione di natura corporativa, è assai probabile che costui abbia un urgente bisogno di un potente lassativo, non tanto per sciogliere e svuotare l’intestino, quanto per liberare la mente dai troppi pregiudizi e luoghi comuni che provocano la stitichezza e l’impaccio del suo pensiero.

E’ alquanto probabile che costui confonda il “corporativismo” con lo “spirito di corpo”, e con ciò intendo dire che il proprio spirito è stitico ed impacciato, ossia è incapace di “andare di corpo”, allo stesso modo in cui il suo corpo è stitico ed impacciato, nel senso che è incapace di spirito, cioè di essere spiritoso, sciolto, ironico ed arguto.

Invece, mi pare che il vero corporativismo corrisponda ad un atteggiamento sistematico volto a conservare e perpetuare i privilegi esclusivi della propria categoria economico-professionale.

Mi chiedo: è “corporativismo” anche l’ostinata lotta di chi vuole salvaguardare la propria salute fisica o tutelare l’integrità del proprio ambiente e del proprio territorio?

Secondo tale logica la dura vertenza condotta dagli abitanti della Val di Susa contro l’alta velocità sarebbe una “battaglia corporativa”? Così pure la lotta, non semplicemente localistica e territoriale, sostenuta dai comitati civici di Vicenza contro la nuova base NATO, sarebbe di ordine corporativistico? E altrettanto corporativi sarebbero gli scioperi e le lotte sostenute dagli operai per difendere e mantenere i propri posti di lavoro? Certamente, lo sono! Mi sembrano tutte battaglie giuste e dignitose, direi sacrosante, necessarie e vitali.

Probabilmente si crede che il “corporativismo” degli insegnanti costituisca una tendenza piccolo-borghese, ossia classista ed opportunista, in quanto finalizzata alla preservazione dei privilegi economico-sociali di una sola categoria professionale, cioè il corpo docente.

Al contrario, il “corporativismo” degli operai avrebbe maggior dignità e maggior valore in quanto potrebbe trasformarsi (ma in virtù di quale meccanismo o processo storico-politico?) nella lotta di classe. Pertanto, il corporativismo operaio equivarrebbe all’operaismo rivoluzionario, ossia alla lotta di classe contro il capitalismo borghese, realizzabile soltanto dalle masse operaie.

Di conseguenza, la lotta di classe sarebbe il risultato di un processo storico-sociale prodotto soltanto dalle tendenze economico-sindacali e politiche di origine operaia? Non mi pare proprio.

Questo modello di analisi semplicistica e quasi manichea (che si basa sulla dicotomia sociale borghesia-proletariato) non regge più nell’epoca contemporanea della globalizzazione, anzi della globo-colonizzazione neocapitalista, che ha generato effetti di precarizzazione materiale e di proletarizzazione di massa (come il genio di Marx aveva intuito e previsto che accadesse) anche nelle condizioni e nei rapporti di lavoro e di vita degli insegnanti e di altre categorie professionali che prima potevano dirsi appartenenti alla piccola e media borghesia, mentre ora tali settori e tali fasce sociali sono state ridotte alla stregua dei produttori salariati, senza tuttavia averne ancora una piena e matura coscienza di classe.

Riassumendo in breve il pensiero stitico del “buon compagnuccio”, questo sarebbe il suo schema di ragionamento di natura "operaista" e non corporativista:

corporativismo degli operai = lotta di classe rivoluzionaria;

corporativismo degli insegnanti = tendenza egoistica e classista in difesa dei propri privilegi economico-professionali = opportunismo piccolo-borghese.

Complimenti, quindi, al “bravo compagnuccio”, il quale dimostra di non possedere idee molto chiare e molto sciolte, ovvero ha poche idee ma confuse. Gli suggerirei di prendere un purgante per sciogliere il suo pensiero dai tanti impacci mentali che ne bloccano le capacità di analisi e di ragionamento. Ovviamente non alludo ai metodi purgativi fascisti e staliniani, in particolare alle soluzioni adottate da quel regime politico che, per 20 anni, ha distribuito “purghe” in tutta Italia, non certo per sciogliere o liberare le menti degli italiani. Anzi!

Concludo affermando che una coscienza di classe si forma anche attraverso battaglie che sorgono in partenza come “corporative”, laddove una mente inizialmente corporativistica e ristretta riesce ad acquisire ed esprimere una crescente capacità di critica totale e radicale della società nel suo insieme. Il salto di qualità politico-intellettuale avviene nel momento in cui da uno stato di mera “autocoscienza individuale” si evolve e si procede verso un superiore livello di “autocoscienza universale”.

Mi accorgo d’essere diventato piuttosto astruso e complicato, per cui il “povero compagnuccio” potrebbe sentirsi ancora più ingolfato nel suo cervello oltremodo stitico ed impacciato.