QUELL’ITALIANITA’ DIFESA DALLE BANCHE

 

E’ davvero curioso come l’italianità delle nostre aziende strategiche risulti pienamente salvaguardata solo se negli affari più importanti entrano certi gruppi di potere e certi personaggi, i quali operano sì prevalentemente in Italia ma ricercando sempre l’imprimatur della Grande Finanza americana.

Durante la ormai dimenticata stagione dei furbetti del quartierino, l’allora governatore Fazio, in nome della conservazione nazionalistica di alcune banche, cercò di favorire il duo Consorte-Fiorani. Contro di lui si scatenò la rappresaglia dei nostri finti liberisti (politici e giornalisti, in primis) che si stracciarono capelli e vesti per il reato di lesa maestà contro le sacre leggi del laisser-faire, tanto da riuscire ad ottenere la defenestrazione del governatore sotto forma di dimissioni volontarie. Oggi, quelle stesse persone esultano per l’accordo tra i maggiori gruppi bancari italiani e la Telefonica spagnola che, dando vita alla Telco avrebbe, a loro dire, garantito la preservazione di un bene strategico per i futuri assetti del nostro paese.

Ma ci sono alcune cose che non convincono affatto dell’accordo concluso tra i principali gruppi nostrani e la Telefonica spagnola, tanto che persino la Consob ha chiesto dei chiarimenti sui diritti vantati da quest’ultima. La Commissione Nazionale per le Società e la Borsa ha rilevato una strana discrepanza nei distinti comunicati rilasciati al mercato da Telefonica e dalla cordata bancaria italiana; manca chiarezza su alcuni punti fondamentali e vengono evidenziate delle contraddizioni sulle quali le banche saranno chiamate a rispondere. Insomma, i nuovi paladini dell’italianità non ci hanno detto ancora tutto

Per esempio, la cordata italiana composta da Mediobanca, Generali, SanIntesa e Benetton non parla di alcun diritto di veto o diritto di prelazione a favore di Telefonica sull’eventuale entrata di altri soci. Telefonica, invece, ha fatto sapere al mercato di avere un diritto di prelazione sulla vendita di nuove azioni della Telco, così come la possibilità di disporre di un diritto di veto sulla modifica dell’azionariato, sui dividendi e su eventuali disinvestimenti. Non dovrebbe essere difficile intuire che tale situazione è stata concertata ad arte dalle banche per impedire che altri gruppi, non in linea con l’entourage bancario attualmente costituito (già riottoso di per sè), possano chiedere di entrare nell’azionariato di Telco (così come era stato invece paventato prima che l’operazione andasse in porto).

Esiste, su questo, un accordo tacito di natura politico-finanziaria tra Banche italiane, impresa spagnola di tlc, Governo Italiano e Governo Spagnolo. L’ovvio fine perseguito da Bazoli & soci (soci di centro-sinistra, ça va sans dire) è stato quello di acquietare momentaneamente chi, come Berlusconi, avrebbe potuto mettere il bastone tra le ruote all’operazione acquisitiva. Dapprima gli hanno fatto credere, con un’acciughina “differita”, che lui sarebbe stato della partita anche se solo in momento successivo, poi hanno architettato un “macchiavello” con il quale scaricheranno la responsabilità di un eventuale veto opposto al suo gruppo direttamente su Telefonica. Del resto, così come appaiono, le condizioni con le quali l’azienda di tlc spagnola è entrata nell’affare non sono affatto “di mercato” e solo con una ricompensa a venire (e grazie anche alla mediazione del governo spagnolo) si poteva convincere Alierta ad accettare di sborsare 3 euro ad azione, contro i 2,62 scuciti delle banche italiane. Inoltre, se è vero che Telefonica ha il diritto di uscire dalla Telco qualora si decidesse per un aumento di capitale, certo non rivenderà le azioni quanto le ha pagate oggi. Di questo si tratta: orditura politica da un lato e plusvalenza monetaria, dall’altro. Gli spagnoli non sono ancora completamente rimbecilliti come qualcuno vuol farci credere.

In secondo luogo, vorremmo capire come mai quando Tronchetti-Provera ha tentato di fare lo stesso accordo in febbraio, sempre con Telefonica protagonista, fu alzato un polverone tale che Guido Rossi e Alierta fecero un repentino (troppo repentino!) dietrofront. Oggi quello stesso accordo viene benedetto dal Governo in nome della preservazione dell’italianità.

Un ultimo punto. Stranamente i Benetton hanno accettato di restare in Olimpia con un bassissimo profilo e praticamente sotto l’egida di SanIntesa, Mediobanca e Generali. Stranamente un corno! Il Ministro delle infrastrutture Di Pietro è diventato all’improvviso malleabile come un budino; il Tonino nazionale ha già fatto sapere che la fusione Abertis-Autostrade torna all’ordine del giorno ma nel rispetto delle leggi dello Stato italiano. Non sarà che nell’idillio sbocciato tra il governo italiano e quello spagnolo (dopo l’ingresso di Telefonica in Telco e l’acquisizione di Endesa da parte di Enel) c’è spazio anche per la fusione, in passato tanto osteggiata, tra Abertis e Autostrade?