LA FURBATA DELLE LIBERALIZZAZIONI (di G. La Grassa)

Quello che segue è un piccolo brano delle conclusioni di un libretto che sto facendo sulla fase (ed epoca) attuale, soprattutto con riferimento all’Italia e, in subordine, all’Europa (titolo provvisorio: IL GIOCO DEGLI SPECCHI; destra e sinistra: un’alternativa illusoria).  Si legga oggi il Corriere con l’entusiastica approvazione alle “liberalizzazioni” dell’ex Ministro Martino (il più liberista, e filoamericano, fra i liberisti e i filoamericani) che annuncia il suo voto favorevole al provvedimento. Ci stanno prendendo per i c…. Manca totalmente una reale politica di sviluppo e di cambiamento sociale reale. Il pericolo è proprio questo: notai, farmacisti, taxisti ecc. non sono simpatici (e poi non sono di “sinistra”); nessuno di quelli che la pensano come me ha alcuna voglia di difenderli. Tuttavia, si dà così sfogo all’antipatia dei dominati distogliendola dai veri nemici: il grande capitale finanziario-industriale parassitario e decotto, il ceto politico e intellettuale corrotto e funzionale al dominio del predetto grande capitale, i mascalzoni dei vertici sindacali, assolutamente partecipi del saccheggio di questo paese per miliardi e miliardi di euro, di sicuro almeno 100 volte superiore all’arricchimento indebito dei “ceti medi antipatici” colpiti.

 

“Un esempio da manuale è l’ultima furbata dell’attuale Governo in merito alla liberalizzazione delle licenze con riferimento alle lobbies dei notai, dei farmacisti, dei taxisti, dei panettieri, ecc. Su questo punto si sono riscoperti (quasi) tutti liberali e liberisti. E’ ovvio che queste categorie non hanno alcuna caratteristica per risultare simpatiche alla stragrande maggioranza della popolazione; e che abbiano goduto di privilegi, che si siano arricchite più o meno debitamente o indebitamente, è senz’altro innegabile; per cui non meritano alcuna preconcetta difesa come si trattasse di gruppi sociali benemeriti per lo sviluppo e il benessere del paese. Questo deve in ogni caso essere premesso, a scanso di equivoci. Ciò chiarito, dovrebbe lasciare perplessi il coro di approvazione del tutto trasversale, cioè da destra e da sinistra; con qualche disapprovazione, anch’essa del tutto ben distribuita nei due schieramenti politici. Dovrebbe lasciare perplessi che i giornali dell’establishment si siano profusi in lodi sperticate verso il vero liberista che risponde al nome di Bersani; mentre i giornali dell’altra parte innalzavano un kilometrico piagnisteo lastricato di “dovevamo farlo noi”, “non abbiamo avuto il coraggio”, ecc. Dovrebbe lasciare perplessi che la sinistra inneggi alla deregulation dopo averla tanto criticata all’epoca di Reagan-Thatcher.

In effetti, qui sembra proprio di essere in presenza, almeno nei primi passi, ad un liberismo che potrebbe condurre ad una moltiplicazione disordinata dei servizi spesso capace solo di provocare “rumore” con crescita del disservizio e dei suoi disagi. Non sempre la concorrenza è a vantaggio dei “consumatori”, le cui organizzazioni, a me sembra in modo del tutto miope e immediatistico, hanno manifestato entusiasmo. Del resto, un simile liberismo potrebbe poi portare al suo opposto. Tanto per fare un esempio, le maggiori organizzazioni di taxi avrebbero modo di fare incetta delle licenze date in appalto, con costituzione di veri cartelli e tanti saluti alla “libera concorrenza”. Del resto cos’è mai stato il liberismo, fin dal suo sorgere, fin dalla “mano invisibile” di Smith e dalla teoria dei costi comparati di Ricardo (commercio internazionale)? Solo l’ideologia del predominio dei più forti e della centralizzazione monopolistica dei capitali.

Tuttavia, questi sono solo problemini del tutto secondari. Che simili liberalizzazioni vadano pure approvate, senza una discussione accesa, né di esaltazione né di denigrazione. Sono state fatte, e che restino! Quel che fa paura è la totale mancanza di qualsiasi discussione sui veri termini di una strategia per lo sviluppo del paese. Ci si limita a ciò che fa “immagine”, a ciò che solletica i pruriti dei vari ceti sociali dominati o comunque non dominanti, che si guardano in cagnesco fra loro favorendo gli effettivi agenti del predominio in Italia, che sono quelli di un capitalismo arretrato, predatore, non innovativo, tutto proteso a proteggere le sue reali “rendite di posizione” (sociale e politica) con atteggiamento, più o meno ipocrita e mascherato, di subordinazione di fronte al complesso finanziario-politico statunitense. Qui sta il punto cruciale di tutta la questione.”