ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE PROPOSTE ISTITUZIONALI (PER LA UE) DEL PROF. FABBRINI

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In un articolo, del 30.04.2017, che parla delle prospettive politiche europee Sergio Fabbrini introduce alcune considerazioni sull’assetto istituzionale della Ue. Mi pare che riassuma abbastanza bene le obiezioni che vengono portate avanti da quei liberali che, preoccupati per la deriva identitaria e nazionalistica che ha portato alla crescita di forze politiche dette populiste, pensano sia necessario intervenire in senso riformista. Soprattutto se, magari non subito ma in prospettiva, si realizzasse una situazione in cui la maggioranza dei governi Ue fosse orientata in senso nazionalista e sostanzialmente anti-europeista. Tenendo conto anche del fatto che, secondo il professore, già ora esiste un gruppo consistente di primi ministri (come Viktor Orban e Beata Szydlo) che “criticano e sfidano l’Ue (di cui peraltro sono beneficiari netti)”. Fabbrini così espone, poi, in maniera sintetica la problematica relativa alla questione istituzionale:
<<Con il Trattato di Lisbona del 2009, il Consiglio europeo è diventato l’esecutivo politico (collegiale) dell’Ue, in particolare nei settori di policy tradizionalmente al cuore della sovranità nazionale (come la politica di difesa e di sicurezza, la politica dell’ordine interno, la politica fiscale). Tuttavia il Consiglio europeo è un’istituzione auto-referenziale, in quanto non ha alcun bilanciamento istituzionale (in particolare dal Parlamento europeo). Quest’ultimo potrà essere informato circa le decisioni prese dal Consiglio europeo, ma non dispone di alcun potere di sanzione nei loro confronti. La Commissione e il suo presidente (che partecipa alle riunioni del Consiglio europeo) dovranno quindi supervisionare l’applicazione, volontaria, di quelle decisioni da parte degli stati membri. Sembra di essere ritornati alla monarchia assoluta (seppure collegiale), la quale informava gli stati generali sulle sue intenzioni, ma questi ultimi avevano solamente il potere di ascoltare, eventualmente domandare, ma non di approvare. Non pochi capi di governo sostengono che essi, dopo tutto, sono responsabili verso i loro parlamenti nazionali, dimenticando però di aggiungere che, quando decidono a Bruxelles, lo fanno come un organo collegiale e non già come una somma di individui. Occorrerebbe che 27 parlamenti nazionali (e le migliaia e migliaia di membri che li costituiscono) si riunissero insieme regolarmente per controllare il Consiglio europeo. Una possibilità impossibile. L’esito è un Consiglio europeo privo di bilanciamenti esterni, ma con idiosincrasie nazionali all’interno. Come si possono mettere al riparo le decisioni europee da quelle idiosincrasie?>>
Le due opzioni alternative che Fabbrini tiene immediatamente in considerazione per modificare, in qualche modo, questo quadro istituzionale incoerente appaiono, però, poco praticabili nelle condizioni attuali. La prima porterebbe a trasferire tutto il potere decisionale nella Commissione, facendo del Consiglio europeo la camera legislativa più alta di rappresentanza degli stati, portando così però ad una sorta di “declassamento del ruolo dei capi dei governi nazionali. La seconda consisterebbe nell’eleggere direttamente il presidente del Consiglio europeo. Una scelta del tutto incompatibile con un’unione asimmetrica di stati, che non solo favorirebbe gli stati più popolosi a danno di quelli più piccoli ma all’interno dei primi potrebbe addirittura mettere in questione la consolidata leadership franco-tedesca. Ma il politologo della LUISS non può evitare di accennare anche ai motivi per cui la metà degli elettorati nazionali è (divenuta) anti-europeista. La sua risposta è che, anche ammettendo che in quella metà dell’elettorato ci sono forze sociali e culturali che si riconoscono esclusivamente nello stato nazionale, l’anti-europeismo di quell’elettorato è stato alimentato anche dagli insuccessi delle politiche perseguite dall’Ue negli anni delle crisi:
<<Nel sud dell’Europa, lanti-europeismo è il risultato degli effetti sociali della crisi dell’euro e della incontrollata crisi migratoria. Nel nord, è stata la seconda crisi, più che la prima, a favorire l’anti-europeismo. In paesi come la Francia, si è aggiunta anche l’insicurezza generata dagli attacchi terroristici. A queste specifiche crisi, l’Ue ha risposto in modo debole e incerto>>.
Ma il professore liberale di fronte a questi problemi è incapace di dare una risposta adeguata quando ritiene realistica, in queste condizioni, la federalizzazione delle politiche della sicurezza, di quella migratoria e di quella fiscale. Un bilancio e una spesa pubblica unificata anche per la sola zona euro è pura fantascienza. Caro Fabbrini, anche tu in realtà ne sei consapevole, c:è sempre la politica al posto di comando, soprattutto in questa fase in cui la dinamica del multipolarismo è in pieno sviluppo. Credo poi, ma non con assoluta certezza, che con l’espressione crisi dell’euro il docente faccia riferimento alla consueta analisi della situazione che vede, a partire dall’esplosione della crisi economica globale nel 2008, la creazione di un forte aggravamento dei debiti sovrani, dovuti alla combinazione delle misure straordinarie prese per sorreggere il sistema finanziario e ai i forti squilibri, presenti già da tempo nelle finanze pubbliche di molti Paesi del mondo occidentale. E molti Paesi europei presentavano già conti pubblici in passivo ed una scarsa competitività dell’economia nazionale, fattori che renderebbero particolarmente incerta la loro capacità di ripagare il debito pubblico accumulato. In realtà, più sobriamente, la grande depressione (o stagnazione secolare) del XXI secolo è stata caratterizzata da una bassa crescita nei paesi di più lunga industrializzazione e di un rallentamento, spesso anche consistente, negli emergenti meno competitivi a livello globale a cui ha fatto seguito l’introduzione di politiche monetarie che hanno portato a forti immissione di liquidità tese a scongiurare la deflazione e a stimolare la ripresa in presenza di margini di manovra quasi inesistenti riguardo alla leva fiscale. Ma anche tutte queste considerazioni “economicistiche” vanno, naturalmente, sempre inquadrate nelle visione più generale che questo blog ha sempre proposto riguardo alle relazioni internazionali e alla dialettica amico-nemico della guerra politica su scala nazionale e globale.
Mauro Tozzato 01.05.2017