ALCUNE OSSERVAZIONI SUL “NUOVO ORDINE ECONOMICO”

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Michael Spence (1) è considerato uno dei più importanti e prestigiosi economisti viventi. Naturalmente quando uno di questi “grandi” professori di economia interviene scrivendo un articolo su un giornale quotidiano non lo fa esibendo la sua preparazione tecnica specifica ma cercando di sviluppare un discorso che abbia una valenza “politica”, anche se spesso da intendere in senso lato. Sul Sole 24 ore del 06.12.2016 così scrive il famoso studioso:

<<Dalla fine della seconda guerra mondiale, la gerarchia delle priorità economiche è stata relativamente chiara. In cima c’era la creazione di un’economia globale orientata al mercato aperto, innovativo e dinamico, in cui tutti i Paesi possono (prima di tutto) prosperare e crescere. Venendo al secondo – si potrebbe anche dire un secondo per distacco – c’era la generazione di modelli di crescita nazionale vigorosa, sostenibile e inclusiva. Niente di più.>>

Naturalmente è necessario aggiungere che questo è avvenuto nell’area cosiddetta “occidentale” ad egemonia americana (che comprendeva in termini geoeconomici anche il Giappone)  soprattutto nel periodo che va dal 1945 alla metà degli anni settanta; si parlò in quell’epoca, e anche dopo, di una sorta di “età dell’oro” per lo sviluppo capitalistico in questa parte del mondo. Monocentrismo bipolare potrebbe essere definito l’ordine globale allora vigente, con l’Urss spesso alleata con il cosiddetto Terzo Mondo allo scopo di contrastare la supremazia americana che – nonostante una certa retorica sul presunto declino del modello capitalistico e sull’immancabile avanzata di forme più o meno radicali di “socialismo” – risultava anche in quell’epoca abbastanza netta. Successivamente, prima dell’avvento della “grande depressione” iniziata nel 2008, abbiamo assistito alla svolta cinese in direzione di una economia (capitalistica) di mercato combinata con un autoritarismo e una centralizzazione politica estrema; al crollo dell’Urss e dei paesi satelliti e ad una quindicina di anni in cui è sembrato affermarsi un sistema “mondializzato” governato dagli Usa in direzione del completo dispiegarsi di quell’apertura dei mercati e del flusso dei capitali che doveva realizzare il trionfo della cosiddetta “globalizzazione” su scala planetaria. In questa fase gli altri due “grandi” paesi dell’area occidentale, la Germania e il Giappone,  hanno attraversato importanti trasformazioni – con il secondo che è entrato in un periodo di grave stagnazione (con deflazione) – mentre, oltre alla Cina, nuovi paesi sono emersi come potenze economico-politiche e tra di esse anche la stessa Russia “post-comunista”.  Secondo Spence, comunque, il principale cambiamento ora in atto è quello che subordina gli stessi accordi internazionali potenzialmente vantaggiosi che regolano i flussi di merci, capitali, tecnologie e persone (i quattro flussi chiave dell’economia globale) al

<<raggiungimento di una forte crescita inclusiva a livello nazionale per rianimare una classe media in declino, rilanciare i redditi stagnanti e ridurre la disoccupazione giovanile>>.

A partire dal referendum in Gran Bretagna, poi, avrebbe ripreso nuovo slancio la spinta verso la difesa del  “ principio della sovranità” nazionale con la relativa avanzata di

<<movimenti politici nazionalisti e populisti in tutta Europa, molti dei quali ritengono che gli accordi sovranazionali dovrebbero giungere dopo la prosperità nazionale […e] che dare risalto ai mercati e ai rapporti internazionali può ostacolare la capacità di un Paese di far avanzare i propri interessi>>.

Lo stesso Trump, secondo il professore, “potrebbe perseguire gli accordi bilaterali reciprocamente vantaggiosi” solo in subordine “a priorità nazionali, in particolare gli obiettivi distributivi, e supportarli solo nella misura in cui siano coerenti con queste priorità”. Spence riprende anche un tema a cui ho accennato sopra, quando scrive che grazie all’affermazione del “vecchio ordine”, nato nel 1945, e durato sino all’inizio degli anni settanta, “gli aspetti distributivi dei modelli di crescita globali […] sono stati positivi, sia per i singoli Paesi che per il mondo nel suo complesso”. “Rispetto a tutto ciò che è venuto prima, l’ordine del dopoguerra è stato un vantaggio per l’inclusività”. Ma, aggiungiamo noi, l’ordine esteso di mercato si sviluppa attraverso fasi ricorsive e, come affermava Schumpeter, grazie ad un processo di distruzione creatrice e di innovazione che risulta dolorosa per la maggior parte della popolazione il cui tenore di vita dipende dalla vendita della forza-lavoro propria o dei propri familiari. Così è accaduto che, negli ultimi trent’anni, “la disuguaglianza tra i Paesi è diminuita, la disuguaglianza all’interno dei Paesi è aumentata”. A questo punto l’economista prendendo atto della situazione attuale prevede che le maggiori potenze, e in primis gli Usa, ridimensioneranno la loro “quota” nei “costi di fornitura di beni pubblici globali” come nel caso, ad esempio, delle spese militari in organismi di difesa globale come la Nato. Il “multilateralismo” a cui accenna il professore ha già, difatti, lasciato spazio a un multipolarismo in cui gli interessi nazionali divengono talmente preminenti che persino la tendenza verso gli accordi commerciali e gli investimenti bilaterali e regionali viene subordinata a una politica che, anche per le maggiori potenze, mette in secondo piano le strategie tese a sviluppare alleanze stabili tra paesi nelle varie aree. Come suggerisce anche la scelta di Trump, con la sua opposizione alla ratifica del Partenariato Transpacifico, sembra proprio che gli  accordi “regionali” e “interregionali” risulteranno sempre più legati a interessi che potrebbero, nel medio periodo, essere meglio difesi con esplicite politiche protezionistiche. Alcune scelte, come quella americana nell’area del Pacifico, potrebbero, comunque, implicare conseguenze geopolitiche significative; si apre, infatti,

<<un’opportunità per la Cina a guidare la creazione di un patto commerciale per l’Asia – un’opportunità che i leader cinesi sono già intenzionati a cogliere. In concomitanza con la sua strategia “one belt, one road” e la creazione dell’Asian infrastructure investment bank, l’influenza della Cina nella regione si espanderà di conseguenza in modo significativo.>>

Spence prevede anche maggiori regolamentazioni a livello nazionale in campo tecnologico all’interno del “nuovo ordine”. Si tratta di misure che divengono necessarie a causa delle minacce informatiche e della  necessità, aggiungiamo noi, di gestire in maniera nuova i mass media di fronte a masse scontente che, seppure confusamente, manifestano il loro disagio sputando in faccia al “politicamente corretto”. L’adozione di tecnologie digitali tesa a risparmiare lavoro può, inoltre, secondo il professore, diventare decisiva “in modo che l’aggiustamento strutturale dell’economia possa tenere il passo”. Nella conclusione del suo articolo il noto economista ci pare, infine, manifestare una posizione realistica e sensata:

<< La nuova enfasi sugli interessi nazionali ha chiaramente costi e rischi. Ma può anche portare benefici importanti. Un ordine economico globale situato in cima a una fondazione fatiscente – in termini di supporto democratico e coesione politica e sociale nazionale – non è stabile. Fino a quando le identità delle persone sono per lo più organizzate, come lo sono ora, intorno alla cittadinanza in stati-nazione, un approccio che mette al primo posto il Paese può essere la più efficace. >>

Ovviamente sono pur sempre le parole di un liberale che non può non credere o far finta di credere che l’interesse nazionale debba essere sempre collegato alle procedure della democrazia formale e dello Stato di diritto. Su questo, ovviamente, dissentiamo anche se non siamo in grado di proporre il paradigma di un regime politico alternativo, definito in maniera precisa e adeguato all’epoca attuale. E d’altra parte, come ammette lo stesso L. Canfora, si può ricordare che in Aristotele la democrazia – in quanto forma “degenerata” di governo al pari della tirannide e dell’oligarchia – si contrappone alla politeia (repubblica costituzionale) per il fatto di essere caratterizzata da

<<-la violenza, che è [anche] per Platone condizione necessaria alla nascita della democrazia e sua cifra significativa;

-il prevalere, non sempre legittimato dal principio di maggioranza, di una parte della società sull’altra; tuttavia, anche nel caso in cui il gruppo al comando detenesse la maggioranza numerica, non verrebbe comunque rispettato il principio di maggioranza così come è stato codificato in età contemporanea: sarebbe infatti necessario che chi si trova momentaneamente al potere rispettasse l’avversario sconfitto, consentendogli di stare pacificamente all’opposizione;

-l’intolleranza delle opinioni contrarie a quella dominante: è attraverso l’intolleranza che si svolge la lotta politica, a maggior ragione quando la guerra esterna spinge alla guerra civile all’interno della polis in difficoltà.>>

 

(1)Michael Spence è professore emerito in Management presso la Business School dell’Università di Stanford. Dal Settembre 2010 ricopre l’incarico di professore di Economia alla Stern School of Business della New York University. Nato nel 1943, Michael Spence ha ottenuto il Ph.D. all’Università di Oxford nel 1972. Nel 2001 è stato insignito del Premio Nobel per l’Economia insieme ad Akerlof e Stiglitz per gli studi sui mercati in presenza di asimmetrie informative. È stato presidente della Commissione indipendente per la Crescita e lo Sviluppo (2006-2010). È consigliere dei governi di Cina e India in materia di crescita, sviluppo e cambiamenti strutturali. È senior advisor di Oak Hill Investment Management, una società di consulenza di PIMCO. Presiede inoltre l’Academic Council of the Fung Global Institute ed è membro del consiglio della Stanford Management Company. È, inoltre, membro dei consigli di amministrazione di diverse società private e pubbliche. Dal 2011 insegna economia nella Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi di Milano (SDA Bocconi School of Management). Tra le sue pubblicazioni, La convergenza inevitabile. Una via globale per uscire dalla crisi, Laterza (2012). – Profilo ricavato da varie fonti su Internet.

Mauro Tozzato           19.12.2016