AUTOSTRADE DEL GAS IN EUROPA

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L’Europa, tetragona sui bilanci dei singoli paesi membri, tiene male la propria contabilità generale. Business is not business se intacca gli interessi americani e la mano invisibile del libero mercato diventa sovente un pugno sbattuto sul tavolo per far saltare gli affari sgraditi ai nostri partner d’oltreoceano.
Per noi europei, ed italiani in particolare, l’approvvigionamento energetico dai russi, la cui materia prima è a portata di mano e a costi ragionevoli, resta l’opzione più razionale sul piatto.
Il gasdotto South Stream, pensato da Roma e Mosca nel 2006 e formalizzato da un memorandum d’intesa nel 2007, aveva l’obiettivo di rifornirci adeguatamente di oro blu, aggirando l’instabile Ucraina. La Casa Bianca però non gradiva l’iniziativa e l’Ue, per non indispettire il prepotente alleato, iniziò a cavillare con leggi e pacchetti di norme per far naufragare il consorzio.
Per contrastare la pipeline di Putin gli statunitensi s’inventarono persino un dotto alternativo chiamato Nabucco che aveva il solo pregio di essere sponsorizzato da loro. Il progetto, tecnicamente irrealizzabile, era più che altro un “tubo a vuoto”, infatti anche detto catodico, con il quale gli Usa spettacolarizzavano la scena per distrarci dalle mosse successive. Quando finalmente si abbassò il sipario sull’improbabile opera, gli yankee smisero d’interpretare la commedia e iniziarono a minacciare la tragedia. I paesi interessati dall’attraversamento del gasdotto furono intimoriti dalle visite del senatore repubblicano McCain che paventava sfracelli a danno dei governi non allineati. Iniziò la ritirata, prima dei bulgari e poi dei serbi.
Gli italiani, che sono bravi a fare ma non a difendere, come diceva il mitico Alberto Sordi, cedettero a loro volta. Matteo Renzi si è recentemente espresso con parole tombali: “Non perdo la faccia per due tubi”. E ciò mentre la Germania dimostrava di impiparsene di tutto e di tutti realizzando coi russi un progetto speculare al nostro chiamato North Stream e addirittura raddoppiandolo per non sottostare ai capricci dei baltici.
Il nostro premier più che la faccia però ha perso proprio la testa. La resa sul South Stream è costata alla Saipem 2,4 miliardi di dollari di commesse, per non parlare dei mancati profitti futuri di Eni e degli incalcolabili danni d’immagine al nostro Stato, incapace di far valere la sua sovranità su temi così cruciali. In questi tempi di crisi bisognerebbe sfruttare ogni occasione per risalire la china anziché continuare a farsi del male. Invece, smarriamo per strada soldi e credibilità per assecondare alleati che hanno smesso di esserci amici. L’Italia ha già perso contratti per svariati miliardi di Libia, altro nostro fornitore di petrolio, inappropriatamente gettato nel caos nel 2011 dalla Nato (ed anche da noi che abbiamo bombardato Tripoli, nonostante il trattato di amicizia del 2008) ed altrettanti a causa delle sanzioni alla Russia dopo l’annessione della Crimea. Ora ci rifacciamo col canone Rai in bolletta? Sicuramente, a causa di questi passi falsi dovremo sfruttare fino all’osso le riserve interne andando a cercare nuovi pozzi in Basilicata o davanti alle nostre coste. Non sarà facile con gli ambientalisti e le comunità locali già sul piede di guerra.
Il dramma italiano ha molte cause. La responsabilità principale è delle nostre classi dirigenti che non sanno farsi rispettare nella situazione internazionale. Queste non vogliono prendere coscienza che i tempi sono cambiati e che siamo nel bel mezzo di una partita mondiale in cui alleanze e amicizie sono solo di facciata. In questo contesto di rimescolamento geopolitico persino i nemici sono considerati interlocutori più affidabili, mentre i servi sciocchi vengono percossi e gli arrendevoli castigati. Per tali motivazioni gli americani ci disprezzano e gli europei ci deprezzano. Siamo inutili a noi stessi figuriamoci a loro. Del resto, quando occorre ci mettono a cuccia e la faccenda si chiude lì.

Ps. Una delle ragioni addotte dall’Ue per mandare in frantumi il South Stream era legata al ruolo di Gazprom nel consorzio. Per l’Ue il colosso energetico russo avrebbe goduto di una posizione dominante nel progetto, in violazione del terzo pacchetto energia approvato nel 2009. L’Unione ha però dato il via libera al Tap (Trans-Adriatic pipeline) che porterà gas dall’Azerbaijan in Europa, con la Socar azera che, come scrive la rivista Limes è “azionista del consorzio Tap – che fornisce gas alla Grecia – e operatore della rete di distribuzione ellenica”. Inoltre, Socar potrà riempire il dotto esclusivamente col suo gas (mentre Gazprom nel North Stream può farlo solo fino al 50%,), in deroga alle norme del citato pacchetto.
Due pesi e due misure. La Russia è sistemata ma anche l’Italia che se la prende in saccoccia. Come al solito.