BISOGNA ESSERE ESPERTI PER NON CAPIRE NULLA DI ECONOMIA E DI POLITICA

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Bisogna essere grandi esperti per spararle grosse. Esperti di qualcosa che parlano di tutto senza saperne niente o sapendo benissimo di mistificare gli accadimenti.

Quel che conta non è il valore delle affermazioni o la coerenza dei giudizi su eventi, circostanze, contingenze ma il fatto di mantenersi costantemente nel perimetro della presunta oggettività, consolidata e riconosciuta nei circoli à la page, cioè in quegli ambienti culturali costruiti apposta per confondere le menti e depistare la pubblica opinione.

Sei bravo perché sei iscritto al Partito preso dell’esperto, al movimento immobile dello specialista, alla corrente continua del professionista, col marchio di qualità cattedratico, e non perché fornisci una corretta interpretazione delle traiettorie storiche, politiche, sociali, ecc. ecc.

Per questi soggetti la verità non è l’indirizzo di un serio lavoro di ricerca ma un ostacolo ingombrante lungo l’acquisizione della fama e del successo… Quando il colto viene colto di sorpresa dal mondo, che va in direzione opposta ai suoi convincimenti, fa il distratto e prosegue tetragono contro la realtà, questa ottusa, che non ha seguito le sue mirabili intuizioni.

L’esperto ha frequentato le Università più rinomate (soprattutto americane, un passaggio obbligato per diventare qualcuno anche se sei nato idiota, anzi, a maggior ragione) o è stato almeno direttore di un istituto, dirigente di una commissione, membro di un comitato scientifico,  esponente di un consiglio accademico, presidente o vice-presidente di una banca, di una multinazionale, di un organismo mondiale. Non importa come ci è arrivato, per merito o per cooptazione, carta canta ed esperto sbanca.

Tali saccenti, associati ad élite indiscutibili,  suonano le loro illuminate opinioni sul mondo, al pari di pifferai magici, senza timore di smentita, certi che in pochi avranno il coraggio di mettere in dubbio i loro postulati, in quanto hanno alle spalle le cerchie più forti ed influenti.

Ricordate quanto avvenuto agli inizi della crisi economica mondiale? Si sprecavano le rassicurazioni sulla situazione da parte degli economisti più quotati, i quali, senza dati alla mano, ma confidando esclusivamente sul loro buon senso e sul curriculum ineguagliabile, ne avevano decretato la transitorietà e la brevità. Piccole perturbazioni nel cielo della prosperità generale. I fondamentali del sistema sono saldi, ripetevano. In saldo, piuttosto, erano le loro previsioni, roba da quattro soldi veduta a peso d’oro sui giornali e sulle riviste specializzate che si bevono tutto per darla a bere a tutti.

Anche in Italia abbondano queste colonie di oracoli viventi, di commentatori santificati dal tempio mediatico che, pur non avendone azzeccata una, proseguono nella diffusione del loro verbo a pensiero-zero e immodestia molta. Prendiamone due dei più famosi, gli economisti Alesina e Giavazzi. Intendiamoci, tecnicamente sono dei geni ma, in pratica, sono un disastro. Ecco cosa sostenevano i due professori agli albori della tempesta finanziaria che ci ha travolto: Alberto Alesina sul Sole 24 Ore del 27/9/2007, “Non ci sarà nessuna crisi”, Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera del 4/8/2007, “La crisi del mercato ipotecario americano è grave ma difficilmente si trasformerà in una crisi finanziaria generalizzata”. Complimenti agli esperti provenienti dalla Bocconi, dalla Harvard, dal Carnegie e chi più ne ha più ne MIT

Tuttavia, è stato solo recentemente che ho dovuto rendere ancora più caustico il mio giudizio sugli espertoni dei nostri tempi. Dopo il caso di corruzione internazionale che ha coinvolto Finmeccanica ne  ho sentite di tutti colori. Molti sedicenti intenditori si sono tramutati in preti e predicatori itineranti, per chiosare, sui mezzi di comunicazione, che le tangenti in questi affari sono l’eccezione e, comunque, una degenerazione da combattere. Trattandosi di uno scandalo italiano hanno abbondato con l’indignazione; del resto siamo noi stessi a non amarci troppo e a portare all’estero i nostri difetti affinché ricevano quell’amplificazione denigratoria di cui poi servirci ad uso interno, magari per screditare in mondovisione l’avversario politico di turno.

Dunque, tornando ai fatti odierni e ai nostri sapientoni insipienti, riportiamo l’opinione di Loren Thompson analista del Lexington Institute, il quale afferma che a New York l’etica negli affari è più importante degli affari e dei prodotti stessi. Finmeccanica, avendo tradito  i principi della sana concorrenza, perderà importanti commesse negli States, anche sei i suoi ritrovati tecnologici sono migliori di quelli dei concorrenti. Capite bene che se gli Usa avessero davvero aderito a tali ciance sarebbero ancora una colonia divisa del Nuovo Mondo e non la prima potenza mondiale. Meno male che è intervenuto Jagdish Bhagwati, anche lui del giro dei competenti, professore della Columbia, il quale però, essendo onesto intellettualmentea, pur non del tutto alieno a cadute ideologiche, ha smorzato il coro mistico delle anime pie con una frase fulminea e rischiarante: “Quando la praticano gli americani si chiama lobby; quando la fanno gli altri si chiama corruzione”.

C’è altro da aggiungere?