C'EST TOUJOURS LA MÊME MERDE

Nell’epoca bipolare, quando USA ed URSS rappresentavano le due indiscusse superpotenze mondiali, (sebbene la seconda fosse sempre un gradino e qualcosa in più sotto la prima), le singole scelte dei paesi che gravitavano nell’orbita di tali giganti subivano pesanti condizionamenti dettati dagli equilibri della geopolitica dei blocchi contrapposti. Nel campo capitalistico esisteva un frame ideologico e materiale non oltrepassabile entro il quale, tuttavia, ciascuna nazione aveva dei margini per giostrare a vantaggio dei propri interessi tattici interni. Strategicamente tutto era invece più o meno fissato, le divisioni dicotomiche e sedimentate della disputa capitalismo-socialismo non dovevano essere messe in causa dagli Stati subdominanti che potevano provare con circospezione ad allargarsi nelle zone d’ombra della scacchiera mondiale, quelle lasciate semi-incustodite dai titanici concorrenti dell’ovest e dell’est.  Fu sostanzialmente in quel clima che l’Italia poté elaborare, grazie ad una classe dirigente filo-occidentale ma consapevole del proprio ruolo storico, una politica estera autonoma benché obliterata dal suo controllore atlantico. In questo contesto, il gruppo dirigente democristiano-socialista si orientò verso quegli spazi considerati congiunturalmente secondari o non principali nell’ottica della Guerra Fredda dai padroni d’oltreoceano, vedi il Mediterraneo ed il versante arabo. La stessa penetrazione internazionale della Penisola veniva invece ostacolata o bloccata se diventava eccessivamente contigua col mondo al di là del Muro. Qualcosa era permesso anche qui, soprattutto in campo economico e industriale, si pensi agli affari della Fiat agnelliana o a quelli di De Benedetti, ma in quanto si trattava di esportare meramente tecnologia non avanzata o dei settori maturi e, in ogni caso, non direttamente convertibile in utilizzi militari. Allorché, invece si toccavano settori di punta come quello energetico arrivava lo stop di Washington che non intendeva dare vantaggi al proprio nemico epocale. Chi non ascoltava o si discostava dai dettami della Casa Bianca riceveva sonore lezioni e poteva anche pagare con la vita la sua visione non allineata allo scenario costituito. La vicenda tragica del Presidente dell’Eni Enrico Mattei ci offre un saggio dello spirito di quei tempi. Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica l’Impero americano è diventato l’unico gendarme del pianeta ed ha tentato di allargare la sua egemonia anche in quelle aree antecedentemente preclusegli dalla presenza del regime sovietico. Questo cambiamento è stato espresso nella letteratura politica americana con le teoresi sulla fine della storia, della globalizzazione, dell'unificazione culturale o con i vaneggiamenti neocon sul nuovo secolo americano (e ben sintetizzata in quelle parole riportate in un mio precedente articolo, apparso su questo sito, proferite da un analista politico dell’entourage di Bush jr. “. Noi siamo un impero. E mentre agiamo, creiamo la nostra realtà. E mentre voi giudiziosamente studiate quella realtà, noi agiamo di nuovo, producendo nuove realtà, che voi potrete studiare. Noi siamo gli attori della storia. E a voi, a tutti voi, resta di studiarla”). Ciò è stato concretamente possibile finché gli Stati Uniti hanno rappresentato il centro regolatore e creatore delle politiche planetarie ma questo stato di esclusività è durato relativamente poco. Dalle macerie del socialismo reale è riemersa la Potenza russa liberatasi del fardello ideologico comunistico e riorganizzatasi in una formazione sociale di tipo capitalistico anche se non assimilabile al modello occidentale dei funzionari del capitale. Ma dalle apparenti secche del panorama di fine novecento sono affiorati anche altri Stati come la Cina, l’India o il Brasile, i quali pur prefigurandosi come poli egemonici regionali, hanno posto gli Usa di fronte ad una realtà ben diversa da quella percepita fino a quel momento. I mutamenti di cui stiamo parlando sono in corso ed anzi ci troviamo in una fase di lenta transizione che sarà ancora lunga e che sicuramente sfocerà in un’epoca policentrica di grandi conflitti tra formazioni particolari (nazioni) rientranti nella formazione globale mondiale. Gli sprovveduti decisori nostrani, tanto di destra che di sinistra, sembrano non avvedersi dell’aria che tira e continuano a segare le scarne fortune sulle quali sono seduti. L’Italia dispone di pochi gioielli sui quali contare per veicolare i suoi interessi strategici, e penso all’Eni, a Finmeccanica, all’Enel e qualcos’altro di meno rilevante, ma sta facendo di tutto per depotenziare le sue aziende all’avanguardia togliendo a queste il terreno da sotto i piedi al fine di assecondare sedicenti alleati e falsi amici. L’attuale governo, sostenuto dai drappelli dirigenziali di tali società e da spezzoni responsabili degli apparati di Stato, aveva indirizzato favorevolmente la politica estera nazionale stringendo accordi con i regimi dell’Africa del Nord e con la Russia. Questo patrimonio è stato praticamente disperso in poco tempo e alle prime avvisaglie revansciste degli statunitensi, i quali hanno sempre temuto un avvicinamento del Belpaese alla Russia, i buoi sono tornati nella stalla. Ancora ieri La Repubblica stigmatizzava l'operato del governo Berlusconi reo di aver fatto infuriare Washington sull’agenda energetica e sulla diplomazia aperta ai regimi canaglia invisi alla Comunità Internazionale. Il giornale di De Benedetti rivela anche che in seno al PDL molti uomini di cui B. si fidava (vedi Tremonti) manifestavano agli ambasciatori stellestrisce apprensioni per l’appiattimento del Premier su posizioni acriticamente filo-russe, condividendo con gli americani opinioni su questioni delicate e fondamentali per la nostra sicurezza nazionale. Il pomo della discordia tra noi e l’Amministrazione USA, come rivelato da molti cables resi noti da Wikileaks, era il gasdotto South-Stream. Gli statunitensi consideravano e considerano questo progetto come un colpo assestato all’Europa e alla sua speranza di affrancarsi dal giogo russo. Per fermare questa intesa Washington fece giungere i suoi malumori a Palazzo Chigi già nel 2008 chiedendo un cambio ai vertici dell’Azienda di San Donato. Siffatto change pare sia arrivato in questi giorni con la nomina di Recchi (ex dirigente della General Eletric) a presidente dell'ente. Adesso, il fatto che un governo straniero faccia pressioni su un altro esecutivo sovrano per ottenere ragione dei suoi interessi e delle sue inquietudini come andrebbe considerato? Perché un accordo liberamente firmato tra due aziende energetiche come Gazprom ed ENI dovrebbe costituire un vulnus alla civiltà e alla democrazia mentre un’ingerenza bella e buona può passare per una legittima apprensione di un popolo amico sul nostro destino? Gli unici a doversi inquietare per i fatti di casa dovremmo essere noi e non i feluchei, i Segretari e Sottosegretari di Stato che parlano male o non parlano per niente l'italiano. I managers delle nostre società a partecipazione statale vengono convocati da governi stranieri, sono costretti a cambiare strategie industriali, partners commerciali e persino luoghi di espansione mercantile ma, secondo La Repubblica, un rischio potenziale di dipendenza vale molto di più di una subordinazione conclamata ed imposta con le minacce e i complotti. Dall’articolo in questione di Andrea Greco riapprendiamo per
tanto, dopo averlo denunciato qualche mese fa, che il Sottosegretario R. Jeffrey ha ordinato a Scaroni, Ad di Eni, di smarcarsi da Mosca, lasciare l’Iran e ridurre le iniziative non concordate con i colleghi occidentali. Inoltre, tanto a quest’ultimo che a Frattini o al medesimo Tremonti i rappresentanti statunitensi facevano intendere di gradire un controaltare a B., esageratamente autoreferenziale, poco controllabile, nonchè eccessivamente amico di Putin e del circolo di dittatori che ruotavano intorno alla leadership dello Zar di Leningrado. Costoro anziché declinare l'invito assecondavano le suggestioni dei loro interlocutori lasciandosi andare a giudizi negativi sull’operato del gabinetto di cui erano e sono parte integrante. Da queste bassezze si comprende la maggiore miseria di questi governanti che, contrariamente ai loro predecessori DC-PSI operanti in un quadro di relazioni internazionali ben più angusto, rinunciano a pensare il futuro, a tracciare le possibili  traiettorie geopolitiche dell’Italia nel policentrismo a venire, predisponendosi al vile tradimento al primo accenno di rampogna transatlantica rovesciatagli in faccia dallo Zio Sam. Quanto agli altri, quelli di sinistra, portatori insani della fiaccola della libertà a spese del loro popolo, cavalcano ancora  i mugugni della Casa Bianca con le stesse intenzioni di ieri allorchè contribuirono alla caduta degli "Dei" della I Repubblica, assecondando un golpe giudiziario eterodiretto dall'esterno. Da costoro non c’era da aspettarsi di più. Come ha scritto G. la Grassa in un saggio inedito che sarà a breve pubblicato “I rinnegati, una volta preso l’aire, non si arrestano, non svoltano, procedono imperterriti con progressione esponenziale. Ogni traditore non può più tradire il suo tradimento; può attenuarlo, mascherarsi, fingere, ma sempre rinnegato e traditore è obbligato a restare (per motivi politici e forse anche psicologici)”. Nient’altro da aggiungere alla solita merda.