Come i liberali piagnucolano sulla storia della rivoluzione russa

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La Rivoluzione sovietica del 1917 agita ancora gli spiriti liberali di tutto il mondo. Spiriti che continuano ad aver paura di quello spettro che non si aggira più per l’Europa ma che si materializza ancora nei loro incubi, sotto forma di cattivo precedente di resistenza al capitalismo e di tentativo d’instaurare un diverso rapporto sociale, da scacciare come un fantasma.
Quest’anno, che ricorre il centenario del “colpo di stato”, come lo chiamano loro, sono particolarmente impegnati a sputare veleno contro l’affermazione storica del socialismo “irrealizzato”.
I punti principali dei loro attacchi agli eventi rivoluzionari del ’17 sono sempre gli stessi:

– senza il golpe leniniano si sarebbe concretizzato uno sbocco liberal-democratico dei rivolgimenti russi e la Russia si sarebbe incamminata sulla via del progresso capitalistico

– la Rivoluzione russa fu la levatrice involontaria dei regimi fascisti in Europa, le cui borghesie per timore della bolscevizzazione della società si buttarono tra le braccia di movimenti reazionari (tali solo in parte)

– il comunismo ideologico aveva insite nelle premesse i suoi esiti totalitari
– Quella sovietica fu una distopia che produsse dittatori tra i più sanguinari ed eccidi imparagonabili.

Iniziamo dal primo punto. La Russia zarista era sicuramente arretrata ed aveva un’economia scarsamente industrializzata. I tentativi della Corona di espandere il rinnovamento tecnico e tecnologico furono fallimentari e produssero sperequazioni sociali odiose che esacerbarono il clima sia negli agglomerati urbani che nelle campagne sovrappopolate, dove i contadini vivevano una condizione semi-feudale.
La I Guerra mondiale non fece che inasprire le circostanze ma i liberali russi, anziché preoccuparsi del peggioramento delle condizioni della popolazione, si esercitavano in quell’inutile sport di cui sono primatisti assoluti, le chiacchiere costituzionali.
Inoltre, mentre piagnucolavano per la mancanza delle libertà parlamentari e di espressione, si giravano costantemente dall’altra parte quando la polizia zarista sterminava operai e contadini in sciopero (come nel 1905, domenica di sangue, e ancora nel 1912, strage degli innocenti).
Ugualmente, non prestavano attenzione alle lamentele dei soldati in prima linea, stanchi di essere trucidati nelle trincee, e proseguivano imperterriti a propagandare la continuazione dello sforzo bellico per la grandezza della Patria (l’ultimo rifugio di queste canaglie).
Dall’altro lato i bolscevichi avevano tutt’altre parole d’ordine: pane, pace e terra. Preso il potere Lenin fu di parola, che è cosa ben diversa dalle parole, parole, parole dei parolai liberali. Assicurò il controllo operaio delle fabbriche, diede la terra ai contadini e si ritirò dalla guerra.
Se i comunisti non l’avessero spuntata ed al potere fossero arrivati i liberali le purghe sarebbero avvenute al contrario, c’è da giurarci. Del resto, di episodi simili, con i pogrom contro i comunisti, sono piene le vicende europee. Inoltre, la Russia democratica sarebbe finita alle dipendenze delle più grandi potenze continentali ed extra-continentali, anziché divenire un colosso geopolitico autonomo.
La ventata liberale e liberista dei primi anni ’90, all’indomani del crollo dell’Urss, ha provato storicamente quello di cui sono capaci i liberali quando viene data loro carta bianca. Sono stati in grado di fare rovine delle macerie dell’Unione Sovietica depredando e razziando quello che era rimasto in piedi e spingendo la gente alla disperazione.

Punto due. Il comunismo sovietico come culla del fascismo e del nazismo. E’ ovviamente un’assurdità senza fondamento. Anzi, è vero il contrario. E mi spiego. Quelle fascista e nazista furono effettivamente due rivoluzioni, ma “dentro il Capitale” (per usare l’espressione di Gianfranco La Grassa). Le élite che presero il governo in Italia ed in Germania determinarono un rinnovamento politico ma non avevano intenzione di mutare i rapporti sociali capitalistici. Cosa che, invece, si fece in Russia (con tutti i limiti che sappiamo). La Germania, particolarmente, puntava ad accreditarsi come nuova nazione predominante in Europa, a scapito dell’Inghilterra, ma non aveva fatto i conti con la forza nascente oltreoceano, portatrice di un modello di sviluppo e di capacità militare prorompente. In termini storici, possiamo addirittura affermare che nazismo e fascismo furono forme di reazione generate dalle consunte borghesie europee per fermare l’avanzata di un tipo diverso capitalismo, molto più aggressivo (quello dei funzionari del Capitale), di matrice statunitense che si affacciava sul Vecchio Continente. Altro, dunque, che nazi-fascismo partorito dal bolscevismo! E’ tutto l’opposto.

Punto tre. Marx sarebbe il padre del gulag per aver teorizzato la fine della società capitalistica e la nascita del comunismo dalle viscere stesse del modo di produzione capitalistico per l’esplodere delle sue contraddizioni intrinseche. Dove siano gli esiti totalitari di questa previsione non è dato sapere. E’ come dire che nel viaggio di Colombo verso l’India, nell’anno 1492, esistessero già le premesse dello sterminio degli indiani. I liberali si espongono al ridicolo con queste ipotesi eppure non se ne preoccupano poiché il loro compito è propagandistico e non scientifico. Il povero Marx è colpevole, se così si può dire, di avere frainteso la vera dinamica del Capitale che non era quella di autodistruggersi ma di superarsi in altre forme e formazioni sociali (dal modello inglese a quello americano), in quanto perpetuum mobile di conflitti e squilibri, caratteristica delle creazioni umane, soprattutto di quelle più efficienti.

Infine, quarto punto. L’Urss come regno di despoti assetati di sangue e affamati di carne umana. Pure narrazioni dei vincitori sugli sconfitti. Se paragoniamo i “crimini” di Stalin (o di Hitler) a quelli di altri imperi (e condottieri) del passato o del presente noteremo più che altro che l’uomo è sempre una bestiaccia e fa a gara di crudeltà per “gestire” i suoi simili.
Che questi narratori siano in malafede lo dimostrano i loro stessi giudizi di valore, più che parziali. Per citarne uno, Richard Pipes che nel suo “I tre perché della Rivoluzione Russa” parla di Lenin come “ un codardo incurabile che si nascose ogni qual volta ci fosse qualche rischio per lui personalmente, anche quando esortava i suoi seguaci a combattere” e di un traditore foraggiato dalla Germania. Con Kerensky, invece, Pipes dimostra comprensione trattandolo come uno sfortunato personaggio “andato al fronte a cercare aiuto (in una macchina americana presa a prestito)”. In fuga su una macchina diplomatica presa in prestito! E questi qui passano per fini storici ed intellettuali. Vergogna!