Cos’è la realta’, di GLG

gianfranco

COS’E’ LA REALTA’ (E COME CE LA RAPPRESENTIAMO E PERCHE’)

Vediamo di chiarire alcuni punti essenziali, solo provvisori e certo schematici, di una possibile teorizzazione tesa alla rappresentazione di ciò che definiamo “realtà”. Preliminare sempre necessario per poi agire con un minimo di razionalità e anche semplice buon senso. Perché non c’è detto più stupido de “la pratica val più della grammatica”. Oggi vediamo bene come senza grammatica straparlino in una lingua molto approssimativa i nostri politicanti, i “grandi imprenditori”, perfino parte dei sedicenti intellettuali. E senza teoria – senza cioè studio, analisi, ottima riflessione prima di trarre conclusioni; e trarle con buona sistematicità e articolazione consequenziale – si fanno “opere” disastrose.  

Intanto è necessario, quando si fa teoria, porre un postulato, cioè una premessa impossibile a dimostrarsi. Esso assolve una duplice funzione “pratica”: 1) fornire un punto di partenza per una serie di argomentazioni che poi dovranno proseguire fra lorostrettamente concatenate in successione, ma che appunto hanno bisogno di un inizio; 2) esprimere subito la concezione generale che chi lo formula ha della “realtà” in cui si “sente” immerso (o se la trova, cioè immagina, davanti a sé, ecc.). Del resto, siamo sempre condannati a pensare all’esistenza di un “prima” di un qualsiasi “inizio” supposto. Ad esempio, oggi si è convinti che l’Universo (e quindi il tempo che scorre inesorabile e lo spazio che si amplia a dismisura) abbia preso vita dal ben famoso “big bang” (con tutta la materia concentrata in un piccolo puntino, cominciamento appunto del tempo/spazio). Tuttavia, subito viene in testa: e che cosa c’era prima della supposta “esplosione”? E’ meglio lasciar perdere quest’idea e concentrarsi sulle conseguenze a partire dall’ipotesi posta come inizio. Poi, se ad un certo punto la sequenza di eventi e di ragionamenti sugli stessi lo esigerà, cambieremo la supposizione relativa al punto di partenza. Ma il prima di quest’ultimo potrà soltanto essere fonte di elucubrazioni, esattamente come il “dopo” della fine prevista di un dato processo. Il prima e il dopo è meglio affidarli al sentimento religioso e all’“altra esistenza che ci attenderebbe priva di unqualsiasi limite di spazio e di tempo (in detta esistenza nessun senso avrebbero simili concetti legati a “impressioni” umane).

Il postulato fondamentale afferma la nostra esistenza e il nostro movimento in una “realtà” situata all’esterno di noi e con cui entriamo in interazione, non essendone però parte costitutiva. Probabilmente non è così, probabilmente lo siamo invece, siamo strettamente intrecciati e connessi alla “realtà”. Tuttavia, si pensa generalmente in modo diverso perché è ben difficile immaginare un altro modo di muoversi e agire che non implichipreliminarmente la semplice interazione con un “mondo esterno”. Quest’ultimo va a mio avviso considerato in continuo squilibrio, come fosse un fluire disordinato, casuale, indistinto, privo di forma definita e di parti costitutive. Alcuni sono convinti di potersi immergere nel flusso poiché se ne sentono parte, al massimo sfruttando le sue “onde” come fanno i bravi surfisti, maquando i flutti non sono troppo vorticosi. Per cui la cosiddetta conoscenza non sarebbe altro che questa immersione nel flusso del “reale” o il suo percorrerlo aderendo strettamente al suo moto ondoso. Francamente, simile concezione non mi convince. Nemmeno gli animali, penso, sono in grado di aderire a questo tipo di comportamento; se non altro per il sedicente “istinto di sopravvivenza”. Se ogni individualità, che nel flusso può costituirsi, si sentisse invece solo inserita in esso, fosse perfettamente convinta di scorrere con esso, ho la netta sensazione che quest’ultimo la travolgerebbe, la renderebbe consustanziale a se stesso e quindi la annullerebbe in quanto individualità vivente per se stessa. Chi vive cerca perciò, nei limiti del possibile, di sottrarsi a questa fine.

La cosiddetta ragione (umana) rompe ancora più decisamente con questo schema, non ne fa una semplice questione di propria esistenza. Essa spezza il flusso in una serie di segmenti spaziali e temporali e su essi concentra la sua attenzione. Comincia con uno, ci rimugina sopra, non “lo rispecchia” o “riproduce”semplicemente; si concentra invece sull’analisi di quel segmento e lo sviscera per quanto è nelle sue capacità, potenziate via via da varie strumentazioni. Dopo la prima analisi, la ragione consegna (a se stessa) una data rappresentazione della “realtà”, che noi prendiamo come la vera realtà (senza più virgolette); ed essa non è ovviamente un flusso (sostanzialmente indistinto). Abbiamo invece a che fare con una serie successiva di realtà (a noi esterne) di carattere stabile. La loro dinamica (implicante mutamenti successivi) è di fatto una cinematica, una sequenza di differenti “stabilità”; talmente rapida a volte, per “momenti” infinitamente piccoli a piacere – di fatto in(de)finitamente piccoli a piacere e in successione in(de)finita – che mimano egregiamente una continuità del flusso temporale degli eventi, ma la mimano soltanto.

Il flusso, così pensato dalla ragione, non è più però disordinato, da esso non ci facciamo travolgere (o almeno, detto meglio, crediamo di non esserne più travolti). La sequenza delle “stabilità” diventa ordinata; magari la supponiamo secondo diverse modalità, cui assegniamo in genere dati gradi di probabilità. Il primo risultato – sempre uno schema di successione di eventi che stabilizza il flusso, di conseguenza snaturandolo nella sua “realtà” reale – viene sottoposto a correzioni o (presunti) perfezionamenti tramite reiterate ripetizioni del primo processo di individuazione della realtà (da noi costruita per poter operare su di essa). Il tutto può avvenire in pochi istanti o in tempi molto lunghi a seconda della “sezione di realtà” in cui ci si trova a così operare. Si giunge comunque ad una rappresentazione della realtà (costruita): a volte piuttosto semplice e quasi immediata, altre volte più complessamente elaborata in quella che definiamo una teoria.

Sia la semplice rappresentazione, decisamente elementare e che ci sembra frutto di spontanea osservazione di quanto ci circonda, sia le più elaborate teorie (frutto di varie “andate e ritorni” dal “reale” al nostro cervello che lo costruisce, lo ripeto, per poter agire) vengono sottoposte alla prova dell’uso pratico per appurare quanto realistiche sono. Si può fallire subito e allora quelle rappresentazioni “spontanee” (solo apparentemente tali) o quelle teorie (variamente elaborate) vengono abbandonate. A volte invece si conseguono determinati successi, della cui parzialità non ci accorgiamo subito. Semplici rappresentazioni o complesse teorie vengono allora prese per una effettiva riproduzione nel pensiero di ciò che esiste fuori di noi. In verità, invece, non riproduciamo un bel nulla, ma costruiamo il reale che ci circonda e in cui dobbiamo muoverci con il massimo ordine possibile.

Quando nella “Introduzione del ‘57” (a “Per la critica dell’economia politica”, che uscirà poi nel ’59) Marx parla di “riproduzione del concreto nel cammino del pensiero” forse anche un po’ influenzato dal positivismo dilagante in quel secolo – concezione largamente seguita da gran parte del marxismo – dà vita ad una interpretazione della realtà (al contrario solo costruita) a mio avviso dannosa, che non poteva non avere conseguenze notevoli sulla successiva prassi, anche politica. Sia chiaro però che non è il solo marxismo a commettere quello che è, a mio avviso, un errore. Pensiamo al liberismo con tutti i suoi vaneggiamenti sul “libero mercato” e le sue immense virtù. Tale corrente (deleteria al massimo grado e seguita ancor oggi da schiere di inetti e assai poco intelligenti economisti) si attiene ad una realtà soltanto costruita nel suo più superficiale aspetto. Il marxismo almeno – pur confondendo pur esso la “costruzione” del reale con la sua impossibile “riproduzione” – scende a livelli “più profondi” e dunque svela altri fondamentali aspetti di cui deve tener conto la pratica (politica, ma non solo). La “lotta di classe” – che certamente con la confusione in oggetto si è poitrasformata in semplice corrente ideologica di orientamento di cospicue “masse” – ha svolto per molti e molti decenni una funzione che può essere considerata sostanzialmente “progressiva” (pur con tutte le cautele nell’uso di tale termine). Il liberismo “mercantile” – a parte l’inizio con Adam Smith, che era in antitesi con le resistenze e i residui della vecchia società feudale – ha sempre provocato, appunto restando “in superficie”, un sostanziale stravolgimento della “realtà” in quella forma di società (di rapporti sociali, in specie nella sfera produttiva) definita capitalistica. E oggi, quella “costruzione” della realtà sta provocando un degrado culturale e di civiltà proprio nella nostra parte di mondo, che si crede superiore ad ogni altra: passata, presente e futura.

Oggi, almeno così mi sembra, la concezione della “riproduzione della realtà” è in ribasso. Non mi sembra però di vedere in atto unadeguata presa di coscienza di che cos’è la “costruzione” della realtà per i suoi scopi di azione “efficace” nel tentativo di riprendere in pugno la conduzione di un’attività di trasformazione dei rapporti sociali adeguata ad invertire il processo di accentuatainvoluzione della società detta capitalistica. E il fatto di“costruire” i gradini della realtà secondo un programma di pura “superficialità” del movimento sociale o invece scendendo a datisuoi livelli “più profondi” mi sembra rilevante. Per usare una metafora, se restiamo al puro livello estetico e allo splendore dell’epidermide, diamo un certo giudizio degli esseri umani (o anche di altre specie animali). Se andiamo agli organi interni e a come funzionano, la valutazione di uno stesso “essere” vivente cambia; e di molto.

Diciamo che il marxismo (quello che ha realmente compreso Marx nel suo più accurato e “scientifico” dire) si è molto concentrato sullo “scheletro” del corpo (quello sociale: il “modo di produzione” inteso soprattutto quale struttura dei rapporti sociali di produzione), che dà in effetti ad esso una conformazione del tutto particolare ed influenza senz’altro il suo modo d’agire e, in generale, di vivere (e prosperare; e poi decadere e morire). Gli organi e apparati interni, nel loro modo di funzionare e interagire per la vita complessiva dell’“individuo” (ad es. una data formazione sociale “storicamente costituita e operante”), non sonotuttavia interpretabili in modo stringente e obbligato a partire dalla conformazione del corpo (e quindi dallo scheletro). Ed è quindi qui che deve concentrarsi la nostra attenzione e lo studio della società nel suo sviluppo, trasformazione e differenziazione sia temporale che spaziale. Mandando però al diavolo coloro, tipo gli ormai superati e stolti liberal-liberisti, che credono di vedere il “tutto” mentre se ne stanno tranquillamente a osservare la sola epidermide della società, da essi considerata sempre bellissima, estasiante addirittura. Al massimo, questi sciocchi si concentrano su alcuni “sintomi esterni”; ma sempre prendendo magari la tosse come effetto di un raffreddore da curare con modeste medicine, quando è invece un tumore al polmone che richiede ben altri interventi.

Bisognerebbe tornare ad una più “profonda” attività di ricerca all’interno del corpo sociale; e con la consapevolezza della necessitata costruzione della realtà tramite la quale operiamo e cerchiamo dunque di intervenire, nel modo più consono alla nostra vita sociale, sull’effettiva “realtà”. Se abbiamo la consapevolezza della differenza comunque esistente tra realtà (“costruita”) e “realtà” (reale), dobbiamo capire quant’è lungo il percorso della “costruzione”, che esige RIFLESSIONE (lunga e tormentosa, con vari movimenti di “approssimazione”) e non PRONTEZZA DI RIFLESSI”, tipica di certo atteggiamento tecnologico. Quest’ultima ha al massimo importanza per fornire sintomi e risultati da cui prendere le mosse per l’indagine, ma non certo ai fini di quella “conoscenza” che ci spinge invece a formulare teorie costruttive di date realtà, pensate quale successione di tante “stabilità”; teorie adeguate ad operare in modo utile alla nostra sopravvivenza e alla trasformazione delle sue forme d’espressione “storicamente evolutive”.

Se afferriamo bene la differenza tra “costruzione” e la vecchia idea di “riproduzione” del reale, saremo abbastanza consapevolidel fatto che la nostra pratica d’azione avrà diversi gradi di efficacia; dall’errore completo subito, fin dall’inizio, ad una temporanea riuscita nel vivere e prosperare, trasformando le conformazioni dei rapporti sociali con tutto ciò che questo comporta. Comprenderemo meglio le “grandi illusioni”, cheimprimono comunque forte spinta all’avanzata e all’entusiasmo divaste masse sociali nel loro perdurare storico; e comprenderemo poi anche le cosiddette “delusioni” quando ci si accorgerà che non si sono ottenuti proprio i risultati perseguiti e sperati. La smetteremo tuttavia di gridare soltanto all’errore o daggrapparci nostalgicamente al già superato; e ci si rimetterà con lena a “costruire” nuove realtà per dare inizio a nuove epoche storiche, sempre temporanee, mai definitive. Ben capendo, nel contempo, che molti resteranno alla “vecchia epoca” della “costruzione del reale”; e non si deve aver pietà di loro, bisogna combatterli con energia e senza mezzi termini.

Nel contempo, però, si deve tener conto che non si “costruisce” il nuovo in un battibaleno, occorre sempre la RIFLESSIONE”, opera lunga e laboriosa basata sul “sbagliando s’impara”; e non come battuta consolatoria, ma come autentico programma di ricerca della “nuova costruzione”. Mai paura di sbagliare, si sbaglierà più volte, non s’indovina di prim’acchito. Quindiiniziamo con gli sbagli e senza ascoltare chi continua a recitarci le litanie del “passato”. Le “vecchie storielle” erano magaripregevoli una volta; ed infatti non dobbiamo affatto dimenticare la storia. E’ vero che essa può insegnarci a muoverci nel nuovo, questa non è una bugia. La mancanza di conoscenza storica – pur sempre tipica dei “tecnici” di questi tempi grami – è fatto a mio avviso grave. Tuttavia, non bisogna bloccare la “nuova costruzione” della realtà. Avanti dunque.