CRIMINALI E PAGLIACCI

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Cesare Battisti era un delinquente comune che, come tanti altri, si politicizzò solo per il clima che c’era in quegli anni di massificazione ideologica e di barricate tra opposte “tifoserie”. Sulle sue idee, che non erano nemmeno sue ma di tutta una generazione di pseudo rivoluzionari (anche se in “buona fede”; di sinistra e di destra) c’è poco da dire se non che fossero sbagliate e ampiamente strumentalizzate (tanto dall’interno, da parte di capetti finto rossi, laidi e furbacchioni, che dall’esterno, servizi nostri e stranieri). Lessi un suo romanzo autobiografico, tanti anni fa, e la parte più interessante era quella sul bandito e, non di certo, quella sul rivoluzionario. Gli sbandati, anche se si mettono a discettare di Marx, non incantano. Ora, dopo 40 anni, il suo inseguimento e la sua cattura non danno nessuna soddisfazione, sanno piuttosto di sceneggiata. Peraltro, lo Stato che lo ha acciuffato e che ora si vendica è fatto di apparati screditati e di uomini miseri che in questi decenni non hanno mosso un dito contro la scarnificazione nazionale (o hanno persino approfittato, per interessi egoistici e corporativi della predazione del Belpaese). Non è mica lo Stato di quel regime politico che sviluppava la sua azione nel pieno della guerra fredda, con obiettivi e intenti di un certo livello, sebbene con violenza e sotterfugio addicentesi alla sua “ragione politica” in un contesto di divisioni bipolari. Infatti, non dimentichiamo che certi crimini e criminali sono sempre utili a chi criminalizza, soprattutto da parte istituzionale. Senza una buona dose di teste calde in giro lo Stato non potrebbe affermare il suo ruolo securitario e nemmeno delegare determinati “lavoretti” o fare in modo che qualcuno ci caschi e li faccia quasi spontaneamente, permettendo ad esso di mantenere le “mani pulite”. Ma lasciamo perdere dette questioni “di principio” che quasi nessuno vuol capire, accontentandosi di credere alla narrazione secondo la quale lo Stato siamo noi.
In ogni caso, chi definisce oggi Battisti assassino comunista vuole solo perpetrare, ad usum proprium, un certo schematismo d’antan per mancanza di progettualità e di concreta propensione al cambiamento. Vuole distrarre e farsi la fama dello sceriffo indefesso ed integerrimo perché non è in grado di assolvere a compiti più seri ed urgenti. Troppa canea per un brigante che viene da un passato così remoto e che non era più un pericolo per nessuno. Poi si dice, sempre con gran retorica, che il carcere dovrebbe riabilitare. Battisti non commetteva più reati, viveva della sua scrittura e degli aiuti di “qualcuno”. Non delinqueva e si era “inserito” fin troppo egregiamente, tanto in Francia che in Brasile.
Ci fosse stato ancora un Cossiga in questa Italia poveretta…a Battisti avrebbe detto io sono per la violenza, io sono un rivoluzionario, non voi. Detto senza rancore. Ognuno fa il suo. È quello che infatti confermò alla Faranda che aveva rimorsi di coscienza mentre lui ribadiva di essere per la violenza.
Cossiga non avrebbe fatto come i nostri leoni da ministero, avrebbe ferito a morte senza urlare, come con la postina del sequestro Moro. È questo il “senso” (di un uomo) di Stato.
Quelli erano altri tempi, questi sono altri circhi.