Dalli al “tudesc” (3)di Piergiorgio Rosso

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Il successo elettorale della lista Syriza in Grecia e quello personale di A.Tsipras ha rilanciato l’assalto alle posizioni tedesche finora dominanti all’interno della UE e della BCE, riassunte attorno alla categoria di “austerity”. Dai due poli antitetico-polari di destra e sinistra, degli europeisti e degli euro-scettici sono stati rispolverati i peggiori luoghi comuni antitedeschi (fino all’equiparazione fra mercantilismo e sterminio cui forse allude anche il primo atto ufficiale del neo-eletto PresdelRep) per battere il ferro caldo di una politica economica più flessibile a favore dei paesi indebitati e della crescita del PIL in tutta l’eurozona oppure l’uscita tout-court dall’euro.

Pochi, tra cui questo blog, hanno rimarcato alcune connessioni politiche e culturali fondamentali, del tutto trascurate dalla stragrande maggioranza degli analisti dei due fronti sopra citati, fra Tsipras, la tradizionale sinistra europeista – anche quella auto-denominatasi radicale – e l’Amministrazione Obama, connessioni sufficienti a definire poco rilevante la “primavera” greca ai fini del conflitto per una maggiore autonomia delle nazioni europee o almeno alcune di esse rispetto al giogo statunitense.

Eppure a noi sembra che non basti svelare che Tsipras è filo-obamiano e non mette in discussione l’euro, cioè uno strumento fondamentale del vincolo esterno che costringe l’eurozona a politiche economiche deflattive riproducendo per questa stessa via la loro necessità. E non basta affermare che, invece, il posizionamento corretto è quello dei partiti sovranisti alla FN di M.Le Pen. Serve per posizionarsi appunto nella polemica del momento – cosa necessaria ed utile – ma serve poco per capire quale sia il motore del mutamento in corso in Europa e le spinte contrastanti cui le nazioni europee – e quindi anche i partiti sovranisti – saranno soggette nel breve-medio termine.

Nell’aprile 2012 in Dalli al tudesc (2) concludevamo: “Propendiamo pertanto verso una conclusione provvisoria, relativamente al contesto europeo, che rappresenti A.Merkel e l’attuale gruppo dirigente tedesco impegnati alla ricerca della possibilità di giocare un ruolo più complesso del semplice (e tradizionale) Cerbero a guardia dell’inflazione, memore (e memento al tempo stesso) del destino disastroso della Repubblica di Weimar, prodromo dell’avvento del “male assoluto” del periodo nazista”. Ci sembra chiaro che a due anni di distanza e dopo il colpo di stato in Ucraina, si possa trarre un conclusione definitiva: l’amministrazione di A.Merkel lungi dal cercare una possibilità per “giocare un ruolo più complesso” si è allineata completamente ai diktat USA, abbandonando ogni velleità di autonoma ostpolitik. In questo modo condannandosi a recitare proprio quel ruolo di guardiano dell’inflazione dell’eurozona insensibile a qualsiasi grido di dolore della periferia europea eurista, che chiede solo un po’ più di flessibilità.

Flessibilità che è stata del resto sanzionata come necessaria dalla BCE dell’ex Goldmann Sachs Mario Draghi, nello svolgimento della sua funzione “autonoma” di politica monetaria, che ha lanciato il suo programma di acquisto di titoli sovrani (il QE europeo, tanto atteso dalla finanza internazionale). Lasciandosi la più assoluta libertà di decidere quando sospenderlo e caricando comunque le banche centrali nazionali di più dell’80% del rischio paese (in caso di default o euro-exit, la BCE non rischia il suo budget). Attenzione, questa scelta, frutto della mediazione fra Draghi e la banca centrale tedesca, è gravida di conseguenze politiche. Infatti non solo permetterà a gran parte della nuova liquidità di affluire preferenzialmente in Germania, paese più affidabile finanziariamente, ma dà un colpo forse decisivo all’idea che la UE debba continuare nel suo percorso verso una sovra-nazione unita o una federazione che contrasti i nazionalismi, cioè l’idea dei padri fondatori: se ogni nazione resta responsabile dei suoi conti allora significa che la moneta è “unica” solo di facciata (cosa del resto ormai percepita anche a livello di massa da tempo).

La Germania in questo modo rischia di perdere non solo i vantaggi di una moneta “unica” che esalta le sue possibilità mercantili, ma anche i suoi mercati di sbocco il che la metterebbe in forte crisi se è vero che il 50% del suo PIL è fondato sulle esportazioni.

Dall’altra parte dell’oceano gli USA hanno deciso che non possono continuare a dominare il mondo facendo gli importatori di “ultima istanza” a favore soprattutto di Cina e Germania; hanno necessità di esportare la loro potenza soprattutto nei settori dell’energia e dei servizi bancari ed assicurativi. Per questa ragione attinente alla politica di supremazia USA crediamo che dollaro forte, petrolio a basso prezzo e deflazione non potranno durare a lungo. Gli USA hanno necessità, non solo economico-finanziaria, che la Germania diventi una nazione consumatrice e non risparmiatrice e cercano questo obiettivo con le buone e con le cattive. Non è mai solo il mercantilismo che genera sterminio …

Pertanto in attesa che la trattativa sul TTIP trovi una conclusione – probabilmente nella seconda metà dell’anno – e che la Corte di Giustizia UE e poi quella tedesca definiscano il quadro giuridico entro cui il QE di Draghi potrà muoversi – di fatto limitandone le potenzialità – il conflitto strategico nel campo europeo vedrà ancora impegnati principalmente USA e Germania, nomi che rappresentano – nel contesto di questa analisi – gruppi di strateghi del capitale che lottano per la supremazia, a loro volta divisi all’interno dei rispettivi Paesi. Come osserva Gianfranco la Grassa: “Serpeggia qua e là, anche se a mio avviso con scarsa determinazione e poca lucidità, qualche anelito indipendentista. Gli Stati Uniti hanno ancora una buona supremazia, ma non dormono comunque sugli allori.”

E’ ovvio – e l’abbiamo già rimarcato – che anche la guerra civile ucraina serve a regolare i conti fra i due contendenti nella misura in cui restringe lo spazio di manovra della Germania – di una parte della sua elite, spero che si sia capito – nei confronti della Russia, cercando di creare al contempo una nuova cortina di ferro costituita dagli interessi (sub)dominanti nei Paesi dell’Europa Centro Orientale (fa eccezione l’Ungheria che si candida per questa ragione a subire una molto prossima “rivoluzione colorata” a casa sua) riesumando l’Intermarium di J.Pilsudki.

Ed è altrettanto ovvio che l’euro potrà rimanere, sparire o sdoppiarsi – tutti tecnicismi – in funzione degli interessi di chi prevarrà nel conflitto di medio periodo per il comando sui Paesi dell’Europa Centro-Orientale e per il coordinamento – in senso egemonico – dei Paesi dell’Europa Occidentale.

Questa volta un’”8 settembre” potrebbe accadere in Germania: per evitarlo cominciamo con lo smascherare il vecchio giochino del dalli al tudesc.