Dazi amari

Mr. Trump- Yellow Tie

 

L’Europa si lamenta dei dazi che Trump sta progressivamente imponendo sui beni di altri Paesi, inclusa l’Unione Europea. Sono lacrime di coccodrillo versate da politici incapaci, che dovrebbero almeno avere la compiacenza di tacere, viste le loro condotte caratterizzate da doppiezza e pressapochismo. Si appellano a un principio astratto, ma dimenticano che il libero scambio è sempre stato la voce del più forte: di chi, già in vantaggio sui mercati internazionali, vuole evitare la concorrenza di quei Paesi che ne minacciano il primato.
Non vorremmo essere costretti a rispolverare Ricardo per ricordare come funzionano davvero certe dinamiche, immancabilmente accompagnate dalle lamentele dei padroni. Quando l’Unione Europea impone dazi sui prodotti cinesi ( si pensi alle auto elettriche, migliori, più efficienti e meno costose delle nostre ) nessuno a Bruxelles sembra farsi problemi di coscienza. Ma quando gli Stati Uniti fanno altrettanto, ecco partire i piagnistei.
Insomma: fate come dico io, non come faccio io. Quando l’Europa non sa giustificare i propri comportamenti, accusa gli altri di pratiche commerciali scorrette, imponendo balzelli per impedire l’invasione di prodotti stranieri. Sono le solite scuse, utili a fare agli altri ciò che non vogliamo venga fatto a noi.
Così svaniscono tutti quei principi mercatisti, liberisti e liberali con cui amiamo riempirci la bocca. Si dice: “Dove passano le merci non passano gli eserciti” (Bastiat). Sì, ma solo se quelle merci sono le nostre. Va bene se si tratta di lasciare gli altri indietro, ma se sono loro a superare noi, partono rimproveri e ritorsioni.
Ogni nazione ha invece il diritto di proteggere la propria industria, soprattutto nei settori avanzati che necessitano di uno sviluppo autonomo. Certo, non diamo credito a certe campagne propagandistiche ridicole, come quella di Salvini, che voleva tassare il riso cambogiano per “difendere” la produzione nazionale. Ma non c’è nulla di sbagliato nel voler tutelare settori strategici, capaci di rafforzarsi prima nei mercati interni e poi di competere in quelli internazionali a più alto valore aggiunto. Senza tutele statali, finiremmo per soccombere di fronte alla concorrenza globale. È esattamente ciò che è accaduto all’Italia dagli anni ‘90, vittima di un servilismo sciocco verso un’UE e una potenza statunitense che hanno tutto l’interesse a relegarci in comparti in cui non possiamo competere con loro. I Fratellini d’Italia probabilmente non sanno nemmeno di cosa stiamo parlando, essendo per loro la patria uno slogan che soddisfa un post-fascismo persino rinnegato.
La lezione resta quella di metà Ottocento, contenuta nell’opera Das nationale System der politischen Ökonomie. E List non era certo un protofascista, autarchico o corporativista, ma un esponente della scuola liberale, dotato però di una concreta intelligenza nazionale.
È tempo di capire che non esistono principi economici validi in eterno: ogni epoca impone la prevalenza dei propri, in un contesto sempre storico e politico. L’atteggiamento ipocrita dell’Europa è lo specchio dell’inutilità politica della sua attuale classe dirigente.
La triste scienza, ogni volta, vuol far credere ai suoi proseliti di essere giunta al suo stadio finale, quello in cui esistono regole generali e universali valide per l’eternità. Puntualmente, invece, l’alternanza di dogmi e precetti muta le credenze, tanto che è possibile immaginare che nel prossimo futuro torneranno in auge statalizzazioni, interventismo pubblico in economia, politiche monetarie gestite dai centri decisionali politici. L’economia è un pendolo che oscilla, non una freccia che punta sempre in avanti. A breve, perfino lo scavo delle buche con il solo obiettivo di riempirle non sarà più sinonimo di spreco e ingerenza.
Tutti i mantra precedenti prenderanno la via della dissolvenza, e gli equilibri finanziari, pubblici e privati, finiranno nel dimenticatoio. Questo perché non si vuole capire, o si preferisce dissimulare, un concetto alla lunga molto più resistente: è la politica, in particolare quella di potenza e delle potenze, che stabilisce ciò che occorre fare per primeggiare.
Prepariamoci alle prossime giravolte accademiche e ministeriali.