Discorso sul bene e sul male

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Non parlo qui delle piccole azioni quotidiane dove distinguere tra bene e male può sembrare più facile. Eppure non lo è per niente perché chi vuol fare il bene, almeno nei proponimenti, può ugualmente fare danno, soprattutto quando la sua bontà non è richiesta. Un bene eccessivo ed ossessivo verso qualcuno può diventare una sottile, e neanche tanto, forma di oppressione. In ogni caso, questa interpretazione del “far del bene” resta frutto di una visione soggettiva e individuale, di una situazione di altruismo verso qualcuno che può non sortire i risvolti postivi effettivi che certe azioni vorrebbero avere. Anzi, il bene fa spesso il male inconsapevolmente, quando non vuole, quando parte con i migliori propositi e si conclude con i peggiori delitti. La frase “lo faccio per il tuo bene”, per esempio, nasconde molte cose ma non il bene tanto invocato, potrebbe essere sincera ma tante volte non lo è ed è solo una maniera subdola per esprimere un (pre)giudizio o una critica che non si vuol fare apertamente. In sostanza, bene e male sono sempre intrecciati ed è difficile capire dove si arresta uno e inizia l’altro. Qui siamo appena in una microfisica del bene e del male e già non ci raccapezziamo. In ogni caso, io non conosco molta gente che faccia il male volontariamente, conosco molti che si scapicollano per fare il bene (facendolo pure pesare), con esiti incerti od ostentati, che se costoro facessero, a volte, direttamente il male riuscirebbero a qualificarsi più buoni o meno cattivi di quanto realizzano inseguendo le migliori intenzioni. Infatti, si dice che la via dell’inferno è lastricata da queste. Bene e male non sono nemmeno in contraddizione, esagerando, parrebbe siano uno la degenerazione dell’altro o uno l’errore dell’altro. Appunto, sto enfatizzando perché anche a me la questione non è così chiara e definita, almeno a livello del privato sociale. A livello del sociale pubblico, quello più politico, le mie valutazioni si fanno meno ingarbugliate. Il male ed il nemico sono elementi necessari del discorso del potere, per affermarsi e concentrare le proprie forze verso sforzi condivisi occorre un pericolo epocale da indicare. Il bene deve volentieri creare il male per combatterlo e sentirsi bene. Il bene non è assenza di male (ed il male non è assenza di bene), ma è predominanza di un bene in presenza di un male (o predominanza di un male percepito così da un bene che attecchirà forse domani ma che oggi è descritto come male dal bene imperante, il quale però se sconfitto retrocederà a male dopodomani). Chi si definisce rappresentante del bene, come un Paese (o un’area di paesi), deve avere immancabilmente un male da perseguire per combatterlo come tale. Qui siamo nella macrofisica del bene e del male e, come spesso accade, le cose grandi si vedono meglio o apparentemente meglio di quelle troppo piccole. Riporto un pensiero di La Grassa che è molto calzante in questo nostro ragionamento:

“E questo apre il discorso a che cos’è la politica e perché è essa a sempre guidare tutte le fondamentali mosse dei diversi contendenti. Questo sarà sempre il contenzioso aperto con tutti i sostenitori della prevalenza dell’economia (e della finanza in specie); mentre altri si gettano sulla rilevanza preminente di fattori ideologico-culturali. Si tratta di uno scontro che non cesserà mai;perché i gruppi dominanti in ogni data epoca storica si sforzano di impedire alle forze contrapposte,in nascita per scalzarli, di afferrare dove sta l’“essenza” del problema. Tutto questo però solo ritarda la fine di questi dominanti ormai putridi, che non hanno più futuro; anche perché, utilizzando ceti intellettuali privi di intelletto per diffondere “la Menzogna”, alla fine ingannano loro stessi e non sanno più come ben agire. Ritengo in effetti particolarmente fastidiosa la retorica di gran parte dei sedicenti pensatori che – alcuni senz’altro in buona fede, i più però con ipocrisia e perfetta malafede – ci stonano la testa con le possibilità di addivenire a forme di convivenza pacifiche, di comunità di intenti e altre speranze di vario genere. A mio avviso si tratta appunto o di bugie o di ingenua tendenza all’eliminazione (o decisiva attenuazione) di ciò che noi uomini, e solo noi fra tutti gli esseri viventi, definiamo “male”; in contrapposizione appunto al “bene”, che ci si affanna continuamente a predicare. Ritengo del tutto utile, anzi necessario, che ci si sforzi in definitiva in direzione del bene. Così come sono convinto sia del tutto ragionevole e vantaggioso cercare di evitare gli scontri bellici di primaria grandezza, senza dubbio eminentemente micidiali.Sono queste tendenze a condurre spesso alle maggiori trasformazioni legate al nostro specifico modo di “nutrirci” utilizzando il pensiero, la ragione o come la si voglia definire. Tuttavia, è bene essere anche consapevoli che alla fine queste tendenze – nell’ambito di una realtà non mai adeguatamente, e meno che mai esaustivamente, conosciuta e squilibrante in massimo grado – condurranno allo scontro tra gruppi sociali variamente strutturati (ivi comprese le nazioni dell’epoca moderna con quella “mitica realtà” da noi elevata a rappresentazione del “tutto” che chiamiamo Stato). Tendenzialmente, ogni gruppo è convinto d’essere “il bene”, contrastato da altri, i nemici, che sono “il male”. Di conseguenza vi è la spinta accelerata a fornirsi degli strumenti atti a far prevalere “il bene”; e si ha il cosiddetto “progresso”, che è soltanto quello tecnologico, ma non può essere sconsideratamente svalutato.L’importante è essere consapevoli di che tipo di “progresso” si tratta e di ciò a cui serve, di ciò a cui conduce, di ciò che comporta sovente in termini di sofferenza, distruzioni, morte “in massa”, ecc. Poi, passata solo temporaneamente la tempesta, quelle “innovazioni” sono in grado di migliorare le nostre condizioni di vita, “di nutrimento”, in periodi di tranquillità e relativa pace. Basta non ricominciare a chiacchierare su speranze di grande elevazione del nostro spirito, della nostra tendenza al “bene” comune, che è comune solo a fasi alterne e per gruppi che si scrutano e sospettano vicendevolmente, pronti a ri-darsele di santa ragione per……il bene comune, appunto”.

Per l’appunto, il bene è quello che avrebbe potuto essere benissimo un male ma che scalzando quest’ultimo, sottomettendolo alla sua (buona) volontà, può narrarsi come il suo contrario. Il bene trionfa sempre, ovvero solo dopo che trionfa è un bene mentre se soccombe è un male e viene condannato, esposto alla damnatio memoriae.
Pensiamo alle vicende del novecento…tutti i perdenti sono ancora oggi stigmatizzati come il male assoluto che le forze del bene (quelle vincenti, ovviamente a posteriori pur avendo mostrato negli atti di guerra una brutalità non inferiore ai loro antagonisti maligni) hanno meritoriamente espulso dalla storia dell’umanità. Ma morto un nemico, i buoni devono immediatamente inventarsene un altro, devono crearlo oppure devono evitare di schiacciare totalmente quello che hanno già sconfitto, poiché in mancanza non potrebbero contrapporsi a questo quali buoni, universalmente tali, anzi non potrebbero chiamarsi in nessun modo, non sarebbero buoni perché senza cattivi i primi (e quindi anche i secondi) non hanno nemmeno un nome. Sono questioni da approfondire molto ma sono molto necessarie per rintuzzare il buonismo dilagante e la superiorità morale di chi ammazza dall’alto del bene accusando tutti gli altri di essere il male.

Forse, bene e male, per seguire una scorciatoia, sono il nome ed il cognome del potere o della stessa vita sociale con tutte le sue implicazioni.