ERDOGAN NON E’ UN DITTATORE

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La Turchia svolta verso il presidenzialismo. Nulla di nuovo nel panorama internazionale, ci sono molti Stati che assegnano poteri speciali alla carica del Presidente nella loro forma di governo. A partire dagli Usa.
Tuttavia, sono piovute numerose critiche su Erdogan, padre della riforma, passata dopo il referendum di ieri, perché nel Paese della mezzaluna mancherebbero quei meccanismi di check and balance indispensabili ad impedire derive autoritarie.
Il presidenzialismo turco sarebbe quindi di tipo asimmetrico e perciò stesso pericoloso per la democrazia. Sono sciocchezze che trovano spazio sui nostri media, i quali non hanno in simpatia il leader dell’AKP per i mancati allineamenti ai diktat occidentali. La Turchia non è nemica della Nato o dell’Europa ma non è nemmeno disposta a barattare i suoi interessi strategici per compiacere americani ed europei.
Del resto, parliamo dei medesimi mezzi d’informazione che il 15 luglio del 2016 si schierarono con i golpisti e contro i governanti turchi. Con che credibilità gridano ora allo scandalo, ai brogli, alle minacce di Erdogan alle opposizioni se sono appena scesi dai carrarmati che calpestavano la folla durante quel fallito tentativo di rovesciamento violento dei legittimi detentori del potere, i quali, giustamente, prendono adesso delle necessarie contromisure? La truffa referendaria, di cui dicono gli osservatori stranieri, non è stata provata e ci si limita ad adombrare sospetti. Anzi, come ha riferito qualcuno dell’Osce è, persino, indimostrabile. Di che stiamo parlando allora?
Ci vuole davvero una faccia di tolla, alla Saviano per intederci, per affermare che Erdogan sia un despota o aspirante tale. L’eroe dell’antimafia e del servilismo filoamericano scrisse senza un minimo di vergogna, nelle ore successive al “pronunciamento” velleitario dei fedeli di Gülen, marionetta di Washington, che “… i carri armati turchi di ieri notte sembravano diversi: li ho visti come cingolati contro il potere totale e corrottissimo che Erdogan ha realizzato. Erano in molti, infatti, ad applaudire ai blindati come alla possibilità di porre fine al neo-ottomanesimo di Erdogan. Erano anche in molti a difendere il presidente-sultano. Ora si torna al controllo islamista, alle elezioni truccate, alle torture in carcere, al controllo dell’informazione. Il golpe è fallito anche perché i soldati ribelli non hanno voluto sparare sulla folla: l’Europa salvi i soldati golpisti, che non hanno alzato le mani sui civili. Dia loro asilo, non li lasci nelle carceri di Erdogan”.
Lo stato di emergenza e la riforma in atto sono il minimo che ci si potesse aspettare dopo i tragici fatti dell’estate scorsa. Lo Stato turco deve rafforzarsi per rintuzzare infiltrazioni straniere e provocazioni ai suoi confini. Siamo tutti concordi nel sostenere che la Russia non può tollerare quanto stia accadendo in Ucraina, suo giardino di casa. Perché Ankara dovrebbe sopportare, similmente, la creazione di uno stato curdo sul suo uscio che ha come unico obiettivo quello di far esplodere le divergenze etniche interne ed impedire la sua proiezione esterna? Perché Erdogan non può aspirare ad una politica mediorientale più vicina alle istanze della Turchia e degli altri partner dell’area piuttosto che ai voleri della Casa Bianca e di Bruxelles?
Qualcuno teme che nasca una convergenza turco-russa su queste questioni poiché Mosca, come Ankara ma per motivi diversi, non accetta che la spina curda venga conficcata nel fianco dell’alleato iraniano. Per tutte queste ragioni autonomistiche Erdogan viene tacciato di dispotismo. Ed accostato a Putin, l’altro leader inviso ai padroni del mondo per aver ridato alla Russia il posto che merita sullo scacchiere geopolitico. Gli uomini forti e assertivi, che studiano per accelerare il multipolarismo, non possono piacere alla potenza unipolare. Invece, c’è proprio da augurarsi che i due trovino la quadra e si mettano d’accordo, almeno su questo punto, per intralciare i piani occidentali.