Geopolitica dei gasdotti

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Con lo scioglimento del consorzio South Stream, l’Italia ha perso la grande occasione di diventare un hub per il gas russo in Europa. Contro il cosiddetto flusso meridionale, che da Anapa, vicino al Mar di Azov, avrebbe dovuto sbucare in Puglia (in uno dei suoi due tronconi, mentre un altro più a nord avrebbe dovuto attraccare in Austria), hanno formato un muro gli Stati Uniti, l’Ue e alcuni settori politici filo-americani della stessa Penisola.
Per impedire la costruzione del gasdotto, l’Ue ha inizialmente addotto giustificazioni di ordine economico, legate alla necessità di differenziare le fonti di approvvigionamento e incrementare la concorrenzialità tra produttori, per far abbassare i prezzi a governi, imprese e consumatori. Al fine rendere più credibile questa narrazione, Washington aveva contestualmente convito l’Europa a puntare le sue fiche su un progetto di dotto alternativo, chiamato Nabucco, che da Baku, in Azerbaigian, sarebbe approdato, percorrendo l’enormità di 3,893 km (il South Stream ne contava almeno mille in meno) a Baumgarten an der March, in Austria, dove si trova il principale centro europeo di stoccaggio dell’oro blu. Che l’opera fosse mastodontica e diseconomica era chiaro a chiunque ma non ai burocrati di Bruxelles i quali spingevano per tale soluzione con l’unico scopo di non scontentare gli Usa, anche contro gli interessi generali della comunità.
La farsa è stata portata avanti dagli europei e dai loro alleati americani per qualche anno, con sperpero di denaro comunitario in inutili progettazioni e studi di (impossibile) fattibilità. Infine, è stato tutto accantonato nel 2013 perché la realtà è dura a piegarsi all’illusione, per quanta immaginazione ci mettano politicanti sciocchi e servili.
Da quel momento in poi, gli Usa hanno giocato a carte scoperte nell’intento di far fallire il progetto concorrente di Mosca. Muniti di bastone e carota hanno fatto il giro delle sette chiese (Italia, Bulgaria, Serbia, Ungheria, Slovenia, Croatia, Austria) portando ovunque un consiglio e una minaccia per dissuadere gli interlocutori da intenti azzardati che li danneggiavano nei loro interessi nazionali. Colpisci di là e suggerisci di qua sono riusciti a boicottare il programma. Con l’ausilio della Commissione Europea, costantemente tetragona nel voler far quadrare i bilanci di tutti ma incapace di farsi due conti in tasca. Nel dicembre 2014, i russi hanno fatto saltare, a loro volta, il banco estenuati dalle ripicche europee.
Berlino che, invece, sa farseli gli affari suoi, a speculari intimidazioni yankee per fermare i suoi gasdotti, North Stream 1 e 2, i cui tubi da Viborg in Russia giungono, attraverso il Baltico, sulle coste tedesche, ha reagito infischiandosene della Casa Bianca, della Commissione ed anche degli altri stati membri che si erano piegati senza colpo ferire. Tutto ciò mentre Renzi borbottava: “non perdo la faccia per due tubi”. Sarà ma di occasioni l’Italia ne ha perse già troppe e quella del South Stream deve considerarsi davvero dolorosa, in termini di mancati profitti e interrotte connessioni strategiche che diventano ancor più frustranti in questa fase di crisi e squilibrio mondiale.
Nel frattempo, valutata l’ostilità europea, la Russia ha seguito altre strade per rifarsi dei torti subiti, attendendo gli sviluppi della situazione. Parliamo degli accordi coi cinesi e di quelli più recenti coi turchi. Il riavvicinamento di Erdogan a Putin ha favorito la ripresa dei colloqui per il gasdotto Turkish Stream che porterà la materia prima di Mosca, attraverso il Mar Nero, ad Ankara e poi forse fino a Bruxelles. Come scrivono gli analisti del Russian international affairs council: “La Turchia cerca di posizionarsi come percorso alternativo per le forniture di gas, dal momento che le preoccupazioni per la crescente dipendenza energetica dell’Europa dalla Russia sono in crescita. A sua volta, la Russia sta cercando di rafforzare la sua attuale posizione sul mercato europeo come principale fornitore di risorse energetiche per la fornitura di gas russo attraverso percorsi diversi”. Ciò significa che Putin e soci hanno ben presente che l’Europa è un punto di snodo cruciale, sia economico che politico, per le lotte geopolitiche del XXI secolo, in tutti i settori. Per questo i russi insistono per una futura partnership con il vicino, puntando su infrastrutture energetiche comuni che approfondiscano i legami. Senza lo sganciamento europeo dagli Usa diventa praticamente impossibile creare forze d’urto trasformatrici del presente ordine mondiale divenuto caos globale. Un coordinamento russo-europeo sulle strategie internazionali anticiperebbe, invece, il multipolarismo e minerebbe la supremazia americana in Occidente, facendo emergere nuovi rapporti di forza meno sfavorevoli ai competitori di questa. E’ quello che Washington teme più di ogni altra cosa. L’Europa avrebbe tutto da guadagnare da questa situazione ma si arrocca su posizioni vetuste e, ormai, autolesionistiche che a lungo andare manifesteranno i loro lati negativi (in parte evidenti) e persino tragici. Il Vecchio Continente potrebbe esse attore di processi storici rivoluzionari, indirizzati alla modifica degli assetti planetari, ma si riduce a mero campo di battaglia per aspirazioni egemoniche di terzi. Se la rotta non sarà invertita verrà la rovina dei popoli europei. Eppure, presso di noi c’è chi non vuole perdere la faccia per due tubi per perderla su due “tuit”.