I marxisti antimarxisti che non capiscono la scienza

Karl-Marx

 

Chi definisce Marx un filosofo ha solo intenzione di sminuirlo. Di fronte a Kant, Hegel o anche Schopenhauer, ai loro sistemi filosofici compiuti, il pensatore di Treviri apparirebbe un dilettante. Infatti, tutti quelli che vogliono fare di Marx un filosofesso devono basarsi sui suoi scritti giovanili oppure devono andare a scovare una sua presunta filosofia spontanea nei suoi lavori sociali. Lo stesso Preve che ha in tutti i modi cercato di intruppare Marx tra i filosofi era costretto ad ammettere che in “ Karl Marx, ed ancor più nel marxismo successivo, non esiste uno spazio filosofico propriamente detto, nel senso dello spazio teorico di una conoscenza filosofica specifica distinta dalla conoscenza quotidiana, scientifica ed artistica. La filosofia di Marx è quindi una non-filosofia”.

Detto ciò Preve avrebbe dovuto tirare le somme di questa sua intuizione e finirla lì, tuttavia non lo fece perché il nome di Marx “tirava” soprattutto quando male interpretato e associato ad un umanesimo sciocco di cui il filosofo torinese si faceva portavoce. Ricordo la nostra polemica quando gli feci notare queste sue esagerazioni e ne riporto tra parentesi quadre una parte [La sua interpretazione di Marx, entro cardini pienamente idealistici e umanistici, comincia a diventare stucchevole oltre che totalmente fuorviante. Con questa operazione che trova larghi consensi nelle allegre brigate utopistiche del nostro tempo (decrescisti, umanisti, ambientalisti, buonisti di ogni risma ecc. ecc.) – e per favore si torni a leggere Il Manifesto per vedere come Marx trattava le combriccole del “socialismo sentimentale” che affollavano il panorama sociale ottocentesco, delle quali egli descrive, con la solita perspicuità, gli “effetti speciali” mistificatori: “la veste tessuta di ragnatela speculativa, ornata di fiori retorici da anime belle, imbevuta di rugiada sentimentale ebbra d’amore, questa veste d’esaltazione nella quale… avvolgevano un paio di scheletriche “verità eterne”non fece che moltiplicare lo spaccio della loro merce presso il grande pubblico”; o ancora, come quanto sta scritto nella Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico (testo giovanile di Marx) dove egli denuncia, chiaro e tondo, l’uso disinvolto delle categorie dell’alienazione dell’essere umano per nascondere l’incomprensione delle categorie economico-politiche (c’è qualcuno tra noi che si sente tirato in causa?) – il nucleo scientifico principale della teoria marxiana viene derubricato ad aspetto accidentale di un’impostazione utopistica primaria.
E’ vero che non si può giudicare un autore dall’idea che egli ha di sé stesso, ma è altrettanto vero che non si possono fare le sedute spiritiche o i corsi accelerati di parapsicologia per mettergli in bocca cose che non ha mai detto. Ed, invece, Preve fa proprio questo quando insiste su un argomento indimostrabile che dà prova solo di un certo eclettismo intellettualistico, nel quale egli sta inesorabilmente sprofondando. Preve sostiene, per sé o per conto terzi (dico questo perché ho una memoria di ferro e ricordo che qualche “manina zelante” ha lasciato, come commento sul blog, la storia del radiologismo e dell’ “innesto” post-manchesteriano, evidentemente invogliato dallo stesso Preve) che la marxiana critica dell’economia politica si basa sull’innesto del concetto (economico) di valore sul concetto (filosofico) di alienazione “i quali, fusi dialetticamente insieme, danno luogo al “mondo rovesciato” chiamato “feticismo della merce”. Per me questo è un esempio di invocazione spiritistica che non ha nulla a che vedere con il testo marxiano. Non vado oltre perché Gianfranco ha già detto nel suo pezzo di ieri, in maniera molto più sobria, cosa rappresenta il feticismo delle merci per Marx [Il feticismo della merce, nell’argomentazione che svolge Marx, è soltanto un’ulteriore elaborazione del processo conoscitivo teso alla rivelazione del movimento reale celato da quello apparente, che sovrasta la vita degli “uomini” (in quanto maschere di rapporti sociali) e che quindi impone alla società la già più volte considerata “legge della sregolatezza…”]
Ma Preve, che tanto accusa gli altri di non sentire da un orecchio le sue ragioni di filosofo, dovrebbe ascoltare meglio le motivazioni teoriche altrui, invece di tapparsi entrambe le orecchie per non essere distolto dal suo asserragliamento dottrinale, a difesa di non so quale bastione (in realtà lo so benissimo!), che gli sta facendo perdere letteralmente la bussola. Per questo ho parlato di filosofismo previano che non ha nulla a vedere con il radiologismo (stavolta il paragone è davvero fuori luogo), il quale è solo tecnica per fotografare e fornire immagini dell’interno del corpo umano. Adesso non vorrei che Preve, dopo essersela presa con Althusser per aver ridotto la filosofia ad epistemologia, sia invece disposto ad accettarne la riduzione a tecnica. Il filosofismo è, per me, una forma di autoreferenzialismo che, al pari dello storicismo o dell’economicismo, tenta di esaurire, teleologicamente, ogni prospettiva umana, nell’ambito del proprio campo disciplinare ricorrendo, per esempio, a verità eterne quanto indimostrabili. Certo Preve ha tutti i diritti di affermare che Marx era un idealista al 100% (del resto lo ha già fatto in molti saggi), ma noi abbiamo il sacrosanto dovere di dirgli che si sta sbagliano al 100%. Preve si assumerà la responsabilità delle sue tesi e dei danni immani che ne seguiranno, in termini di disconoscimento teorico e di isterilimento di qualsivoglia prospettiva politica antisistemica (è lui stesso che dice di non aver prospettive politiche, altro che scomparsa dei dominati in la Grassa!), e per di più in una fase che si preannuncia drammatica (rispetto alla quale finiremo ancora una volta per trovarci impreparati, perché troppo presi a discutere sull’ente naturale generico). Concludo, provocatoriamente, con le parole di Althusser: “Conoscete molti filosofi che hanno riconosciuto di essersi sbagliati? Un filosofo non si sbaglia mai” (e, aggiungo io, evadendo le sue responsabilità).]

Comunque, non è per la sua filosofia che Marx è importante. Marx ha fatto molto di più, egli ha inventato una nuova scienza, la scienza dei modi di produzione e con essa un linguaggio specifico che era inesistente prima delle sue elaborazioni. Lo scrive chiaramente anche Engels quando afferma: “Ogni nuova presentazione di una scienza implica una rivoluzione nella terminologia specifica di questa stessa scienza.” Sia Marx che il suo socio Engels si ritengono due scienziati e non due filosofi ma non si capisce perché alcuni vogliano per forza iscriverli nell’albo della filosofia contro la loro volontà e la natura del loro stesso lavoro.
Gli errori di Marx devono essere trattati scientificamente altrimenti non si scorgono e tutto finisce in vacca, tutto va a finire in filosofia, in profezie inverificabili, in utopie che guastano anche quello che è ancora valevole nella sua teoria. Chi considera Marx un filosofo non solo non ha capito nulla del suo pensiero ma contribuisce persino alla sua diminutio. Tacciano gli ignoranti di Marx e si occupino sul serio di filosofi che non capiranno ugualmente.