I MERCATI NON TEMONO NULLA, NON HANNO SENTIMENTI

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I cosiddetti timori dei mercati, per la manovra economica di cui si sta occupando l’esecutivo italiano, non esistono. I mercati non hanno sentimenti. Non provano fiducia o sfiducia. Non hanno cuore, né volontà. Sono meccanismi automatici di un certo tipo di società, basata su uno specifico modo di produzione. Poiché nel capitalismo tutto è merce (compresa la forza-lavoro), la socializzazione del frutto di questi lavori privati non può avvenire direttamente ma solo in un “luogo terzo”, la sfera delle compravendite, dove ciascuno si reca per scambiare l’esito della sua attività con quella di altri. Tali scambi avvengono attraverso un equivalente generale delle merci, il denaro, e con ciò si determina una duplicazione finanziaria della sottostante sfera economica, dove questo mezzo, prima solo facilitatore del passaggio di mano dei beni, domina senza più nemmeno la necessità di riferirsi alle “cose” che rappresenta. Il “regno mercantile” è questo. I vari soggetti che operano sul mercato, questi sì, soprattutto se non dispongono delle informazioni necessarie, possono nutrire preoccupazioni per la sorte dei propri investimenti e patrimoni ma il loro mestiere è fiutare l’aria degli affari, se sbagliano vanno in perdita o falliscono. La verità è, dunque, un’altra. Dietro il paravento dei mercati agiscono gruppi organizzati d’interessi economici, collegati a drappelli politici stranieri (che hanno quinte colonne interne agli Stati messi sotto pressione), i quali non si accontentano di sottostare alla mano invisibile (che è infatti un mito) ma perseguono il condizionamento dei governi.
In Italia ci si fa terrorizzare troppo spesso e troppo volentieri dai reparti avanzati della finanza internazionale. Ma sono puri pretesti di chi vuol coprire l’intreccio relazionale tra attori finanziari (ed economici) e politici che indirizza la politica di potenza dei predominanti sui sottoposti. Per esempio, l’amministrazione Usa spinge le sue multinazionali del denaro (o altre imprese) ad aggredire i paesi attirati nella propria orbita egemonica, al fine di controllarne i sistemi produttivi. Diversamente, non si spiegherebbero i timori che si manifestano in Europa, ed in Italia in particolare, per lo spread o le valutazioni delle agenzie di rating, quasi tutte appartenenti al mondo anglosassone. Ha ragione Steve Bannon, ex stratega della campagna presidenziale di Trump ed ora animatore dell’internazionale populista, a dire che solo in Italia la gente parla di spread, a causa di campagne martellanti dei giornali e dei media, collegati al vecchio establishment Usa democratico-neocon, in primo luogo per portare al Governo, come già sperimentato, quei famigerati tecnici (istruiti nelle centrali finanziarie statunitensi) che hanno poi depredato i ceti medio-bassi, in ossequio a scelte provenienti da Oltre-Atlantico, prim’ancora che dall’Ue (comunque a ruota di questi)
È infatti questo che non va. Lega e 5S, finalmente, dopo anni amari, stanno provando a restituire qualcosa a categorie sociali a lungo vessate. Ma non durerà e non basterà a salvare un Paese che ha perso la sua dimensione regionale. Per continuare su questa strada occorre recuperare sovranità nazionale altrimenti “qualcuno” ce la farà pagare.