I RIVOLUZIONARI SONO REAZIONARI

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Nelle fasi di transizione e di confusione sociale, tipicamente, fioriscono utopie di ogni genere e si moltiplicano i ciarlatani che promettono la liberazione ai diseredati con parole di fuoco ma scarsi argomenti (e risultati). Ci sono delle bellissime pagine nel Manifesto di Marx ed Engels in cui vengono passate in rassegna tali situazioni in cui: “svariati ciarlatani sociali …, con ogni sorta di rabberciamenti, dichiarano di riparare, senza alcun pericolo per il capitale e per il profitto, ogni genere di ingiustizia sociale”. Se pensate a quanti ne vediamo in giro oggi spararle sempre più grosse, nei talk show e nei salotti editoriali, nei convegni ecc. contro questo e quel male, soprattutto finanziario, riusciamo a comprendere subito la poca serietà di costoro e quella dei temi presi in considerazione, quasi sempre inessenziali o secondari rispetto alle principali criticità dell’epoca storica. La soluzione, proposta da questi finti frati francescani, ai problemi dell’umanità è quasi sempre una regressione ad ere più felici, ma mai effettivamente esistite, con l’aggiunta di dosi di moralismo che rendono il tutto ancora più superato. Le verità eterne contro le quali si scagliava Marx. La predicazione etica è la cifra dei loro discorsi perché non v’è nulla di scientifico nei loro ragionamenti, letteralmente campati in aria. Questa forma di reazionarismo coinvolge anche posizioni che qualche decennio fa potevano sembrare rivoluzionarie ma che i grandi mutamenti avvenuti nel corso dei tempi hanno ormai reso retrograde e nostalgiche. Basta sentirli parlare, questi attori del nulla, per capire l’imbroglio. Usano nozioni prive di contenuto con una fraseologia astrusa ed elitaria. Questa mistura di semplificazioni concettuali e ridondanze verbali sbarra il passo alla sincera conoscenza che richiede, invece, rigore analitico ed esposizione chiara di categorie e fatti per avvicinarsi ad interpretazioni della realtà non così banali. Come afferma la Grassa :”Non a caso questi “critici critici” sono, in specifiche congiunture di grave crisi non solo economica, “utili idioti” manovrati da coloro che vogliono servirsi degli emarginati quale manovalanza per operazioni sediziose di rivolgimento reazionario”. I giovani, spesso più inclini degli altri a seguire queste mode del momento, sappiano che non hanno nulla da apprendere da chi lancia simili accuse contro il Capitale identificandolo meramente con i suoi aspetti finanziari. Quest’ultimi attengono alla superficie del sistema e non colgono il cuore di quei rapporti sociali sui quali deve innestarsi qualsiasi tentativo di trasformazione. Tante volte, abbiamo anche detto, che parlare di capitalismo tout court ha poco senso dopo il passaggio dal modello “borghese” inglese a quello americano dei “funzionari privati” producente una società affatto diversa, pur se con presupposti economici similari, anche se su scala ben più ampia. Piuttosto, invitiamo chiunque a non perdere tempo con le supercazzole falsamente contestatarie essendo maggiormente utile dedicarsi allo studio di pensatori profondi, anche se cosiddetti liberali o neoliberali. Abbiate sempre rispetto del nemico quando è preparato e disciplinato. Studiate i classici, i neoclassici, i monetaristi, i liberisti, i primi kaynesiani ecc. ecc. Studiate anche i marxisti tenendo conto che scopo delle teorie (e della scienza in generale), è quello di durare qualche decennio, per venire poi superate (come diceva Weber), al fine del progredire della conoscenza. Costruitevi le giuste basi intellettuali apprendendo le lezioni dei grandi pensatori, anche se non ne condividete le tesi. Ma per carità, accantonate i parolai che si fanno belli profferendo assurdità senza dirvi nulla di più del mondo in cui vivete. Da tutti ci sarà da imparare, meno che da loro. E ci sarà da imparare pure dalle analisi degli: “esperti” dei dominanti – pur sapendo bene che sono “interessate” e spesso ben pagate – piuttosto di quelle dei “critici” (o addirittura dei “critici critici”), che ripropongono pure utopie o si rifanno all’epoca di un secolo fa e passa della “lotta di classe”. Chi è ben pagato qualche volta si sforza di pensare a come uscire dalla crisi o incrementare lo sviluppo di certe punte avanzate di un sistema; gli altri – o per sciocco buonismo congenito o perché furfanti in cerca di qualche voto con cui procurarsi le sinecure della politica politicante – pensano agli emarginati, agli “ultimi della classe”; e quel che escogitano nelle loro teste bacate servirebbe soltanto o a bloccare ogni crescita o a far precipitare la crisi in un autentico sfacelo sociale più ancora che economico”.(La Grassa)