IDEOLOGIE DI GUERRA di C. Barlati

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Scontri tra paradossi e generalizzazioni

 

Nel lungo procedere della storia, regni e grandi imperi hanno conosciuto l’ineluttabile esigenza di un’organizzazione burocratica che, fondata su di un insieme di leggi, garantisse il funzionamento dei meccanismi base della tipologia di governo adottata.

Gli eventi storici più significati sono stati catatterizzati da una ”causa movens” rivoluzionaria, costituita da una rivendicazione, da un’idea o un’ideologia. L’acquisizione da parte di una classe sociale della propria condizione, e la ralizzazione delle proprie materiali esigenze, è sempre stata foriera di accese turbolenze, le quali hanno dato vita a drastici mutamenti, come la Rivoluzione Francese o la Rivoluzione Russa. Il raggiungimento dell’obiettivo prefissato, non sempre politico, ha permesso la realizzazione di un altro grande e importante risultato, l’elaborazione dottrinale di un insieme di enunciati, costituenti i principi, le cause e le idee motrici di tali sconvolgimenti, in principio teorizzate e, in ultimo, applicate: una vera e propria ideologia insomma. Dalle guerre puniche di romana memoria, ai machiavellici giochi di potere, fino a giungere alla propaganda dei conflitti mondiali, l’ideologia¹ha sempre giocato un ruolo chiave, nel direzionare i consensi delle classi sociali in tensione.

In seguito alle vicende storiche ed alle retoriche utilizzate, il significato originario del termine ha conosciuto numerose deformazioni, causate anche dallo sviluppo del pensiero filosofico e delle discipline politiche. Dalla definizione di ”Scienza del pensiero e dei fatti della coscienza”², all’interpretazione distorta della realtà ad opera della classe dominante, la definizione odierna e più appropriata del termine si configura in: ”elaborazione teorica, in chiave dottrinaria, di rivendicazioni, esigenze o qualsivoglia passione sociole-economica-culturale popolare, che ha lo scopo di strumentalizzare o solo di incanalare le richieste in questione, per il soddisfacimento di un desiderio collettivo, in un complesso di enunciati omogeneo e ben definito”. Naturalmente, ogni ideologia è espressione di un modello culturale vigente e il nesso tra ideologia e cultura va’ di pari passo.

L’ideologia attualmente dominante èla statunitense e globalizzata ” american way of life” applicata in tutti gli stati dell’area economica e culturale liberale, la quale si oppone con fermezza all’ortodossia ultranaziolista, seppur liberale, del mondo asiatico, presente in Cina, Russia e Paesi Arabi. Ci preme sottolineare l’importanza dei fini di cui si fanno portatrici tali ideologie.

La prima ideologia, quella americana³, avanza per realizzare la visione di un nuovo ordine mondiale fondato su democrazia, sicurezza e libero mercato. La seconda, quella dei BRICS, auspica la creazione di un sistema globale multipolare basato sui principi di non ingerenze e di autonomia delle sovranitànazionali. Dati i recenti avvenimenti, guerra nel Donbass e proclamaziome del Califfato islamico, è d’uopo soffermarci sull’importanza dell’ideologia, in un fase di transizione dal bipolarismo di matrice statunitense ad una multipolare.

 

L’ideologia statunitense, dall’entrata in scena nella 1′ guerra mondiale, al suo lento e attuale declino, si è caratterizzata per l’identificazione forzosa di un nemico, nonché per l’elaborazione della fervente retorica guerrafondaia. La lotta per l’ordine e la pace mondiale di Wilson, l’intervento nella 2′ guerra mondiale contro i regimi nazi-fascisti, lo spettro comunista in Asia, e, in ultimo, la perenne guerra al terrorismo islamico, hanno man mano aggiornato il bagaglio ideologico statunitense, soddisfacendo, con i numerosi conflitti, sia alle necessità geopolitiche del tempo, sia agli interessi delle grandi lobby di potere(petrolifere ed armamentarie), colonne portanti dell’economia statunitense. Con il crollo del muro di Berlino e la fine della monolitica ideologia comunista, punta di diamente delle future rivendicazioni yankee divenne l’appoggio incondizionato ad Israele nella lotta contro le popolazioni Arabe, avente come fine l’istaurazione di una potenza nucleare alleata in Medio Oriente. La strumentalizzazione islamofobica conobbe l’esasperazione a seguito degli attentati dell’11 settembre. Con essi le principali giustificazioni utilizzate, ovvero la lotta agli ”stati canagli” e razzisti, detentori di immaginifiche armi di distruzione di massa, si eclissòin favore di una causa ben piùimportante, riguardante la constante lotta contro un nemico ”individuale”, ben più temibile ed oscuro, in grado di colpire aggirando, non si sa come, i servizi segreti e di dirottare aerei con un semplice taglierino: il fondamentalista islamico.

La conquista dell’Afghanistan e dei pozzi petroliferi Iracheni, lo spodestamento di Saddam Hussein dal ruolo di dittatore, l’instabilità in Mendio Oriente generata dai coinvolgimenti USA, foriera solo di aggiuntive rivalità tra fazioni autoctone, unite al fomentato odio mediatico occidentale, hanno favorito la diffusioni di stereotipi e generalizzazioni pregiudizievoli: ”Kamikaze”, ”terrorista”, ” fanatico” sono le più comuni. L’invasione della Libia e l’esecuzione sommaria di Gheddafi, insieme ai bombardamenti in Siria, hanno spianato la strada ad un vuoto politico, subito riempito dalle fazioni jihadiste, finanziate, all’epoca, dagli statunitensi, per destabilizzare i governi Islamici moderati, oppositori, come l’Iran, dell’esacerbante influenza occidentale.

Il recente attentato alla redazione di Hebdo ha rianimato i timori per i terrificanti ”terroristi”, ri-aggiornando, così, le specifiche teoriche della dottrina bellicista USA. La giustificazione per un eventuale conflitto, attualmente, viene posta in essere non piùper la difesa degli interessi nazionali o internazionali, ma grazie al disprezzo provato dalla civiltàoccidentale nei confronti di quella orientale, superiore perché democratica, se rapportata ad un nemico privo di civilità, fanatico, ignorante e senza alcun rispetto per la vita. L’antitesi ‘occidente buono’ e ‘oriente cattivo’, tanto ostentata da Oriana Fallaci, costituirebbe la causale perfetta per il pie’ guerra, non solo contro il califfato, ma contro l’oriente in generale, in partocolare Russia e Iran (proprio come accadde con il passaggio dall’Afghanistan all’Iraq nel 2003).

Stando a quanto detto in precedenza, non vi sarebbero difficoltàper l’avallo di una 3′ mondiale, se non fosse per alcune problematiche che hanno condotto le relazioni internazionali ad un punto morto, esasperando, così, i giàpresenti conflitti tra la Russia e gli Usa in Ucraina, nonchétra i paesi islamici moderati(Siria e Libia).

La tanto controversa scena politica internazionale, vede concatenate le nazioni protagoniste in un peculiare intreccio:

Gli USA, onnipresenti poliziotti del mondo, hanno come loro presidente Barack Obama, uomo di colore, inapettato vincitore delle presidenziali, strenuo difensore degli interessi statunitensi ed instancabili combattente del terrorismo islamico. Un capo di stato ”nero”, a seguito degli attentati dell’11 settembre, avrebbe dovuto favorire un sodalizio tra gli estremismi protestanti e le rivenicazione delle minoranze di colore, da sempre sofferenti per via dell’onnipresente razzismo, esercitato dalla classe bianca protestante. I violenti scontri, che hanno dilaniato negli ultimi mesi le ‘steets’ di New York, provocati dall’uccisione di due ragazzi neri, e le manifestazioni della polizia contro la presa di posizione del sindaco De Blasio, a favore dei familiari delle vittime, rappresentano la prova dell’insuccesso dell’elezione di un presidente afro americano, finalizzata alla conciliazione dei dissidi esistenti tra la maggioranza bianca e la minoranza nera, nonché il fallito tentativo di esorcizzare ogni possibile accusa di strumentalizzazione islamofobica, attraverso l’investitura presidenziale di un uomo di colore.

Il parorossismo nazionale si rispecchia, inevitabilmente, anche in politica estera. Nonostante i tentativi di non aggravare ulteriormente la situazione, inutili appaiono i provvedimenti per arginare ogni possibile accusa di strumentalizzazione e di ingerenza col califfato islamico, come la mancata partecipazione alla sfilata di solidarietà a Parigi e le esigue dichiarazioni sull’Isis, delegate il più delle volte a John Kerry.

Tutto ciò paralizza i tentativi statunitensi per l’avallo di un possibile conflitto, sia in medio oriente, sia, più in generale, contro il nemico russo. Tutto ciò risulta rischioso poiché, nel caso dell’Isis, una mano troppo dura rischierebbe di far sprofondare i consensi e di far aumentare gli scontri interni, mentre, per il caso russo, il solo economico antagonismo non giustificherebbe le successive misure d’austerità e di limitazioni delle libertà personali, previste dall’adozione di uno stato di belligeranza.

Per quanto riguardo la Russia, decisivi sono stati alcuni fattori che hanno, tra l’altro, anche favorito la definizione estera della sua ideologia. Fondamentale per l’ex stato sovietico e’ stata l’ascesa delle destre nazionaliste, le quali, opponendosi alle manovre economiche imposte dalla Bce, hanno indentificato in Putin il fautore per eccellenza delle rivendicazioni nazionali e dell’amor di popolo. Le spese militari concernenti l’acquisto di armi e veicoli statunitensi, imposti da oramai consuetudinari ‘contratti’ mai sottoscritti o revisionati dalla ragion di popolo, specialmente in periodo di crisi, e la paura di ritovarsi nelle stesse condizioni della Grecia, per via dell’inettitudine di politici inclini alla complicità d’interressi con la Troika, hanno sollecitato l’avvicinamento dei partiti neo-fascionazionalisti all’ala russa. Le allenaza anti americane della Russia con i Paesi islamici moderati e dell’America latina hanno garantito all’orso russo una vasta gamma di alleanze con nazioni di diversa ideologia, legate, tra di loro, da un fervido anti americanismo. In tal modo, grazie alla spavalda politica imperialista statunitense, la Russia ha tratto dalla sconsideratezza americana la suprema ideologia giustificatrice, condivisa, in tutto e per tutto, dai suoi alleati: la libertà. La lotta per la libertà di affermazione delle volontà fagocita tutte le tematiche fino ad oggi avallate dagli statunitensi, quali il timore di un attacco nemico, la sicurezza, l’interesse popolare e (la piu’ pericolosa) l’autodeterminazione dei popoli. ll paradosso, concretizzatosi in entrambe le fazioni, genera così una situazione di stallo che difficilmente potrà essere superata dalle logiche politiche accademiche.

Una Russia ortodossa, ex comunista, alleata di paesi socialisti ed islamici moderati, che si oppone al terrorismo(ma da cui trae vantaggio), nonchébandiera per nazionalismi di estrema destra, si scontra con gli Stati Uniti, razzisti, islamofobici, con un presidente di colore nemico della sua stessa gente, mal visto dall’Oriente, in caduta libera tra i sondaggi in USA e Europa per le deprorevoli illegalità commesse(un presidente ‘nero’ nemico dei ‘neri).

 

Conclusione:

L’ideologia Statunitense è oramai al collasso. Come un vorace serpente che non è mai sazio, si trova costretto a divorare se stesso. L’incessante politica del vittimismo ha inamicato agli USA la maggior parte degli Stati che non è riuscita ad assoggettare. E tra le colonie stesse, specialmente quelle europee, bramate dalla Cina, come l’Italia, sensibili agli sconvolgimenti internazionali, forti sono le preoccupazioni per un’economia vincolata ad un mercato morente, fondata su di una costante crescita, che, oggi giorno, non riscontra più avvenire.

La Russia, d’altro canto, cavalcando il fervido e mai tramontato ”anti americanesimo” e’ riuscita a riunire sotto lo stesso vessillo paesi tanto diversi sia per cultura, che per politica. Stando così le cose, l’antiamericanesimo si configura come l’ideologia vincente del 21′ secolo, inauguratrice di una nuova fase della politica internazionale: il multipolarismo.

La visione di un mondo multipolare, basato sul principio di non ingerenza tra i diversi Stati nazionali, è da tempo prerogativa dei BRICS, i quali, dato l’attuale volgere degli eventi, sembrano prossimi a realizzare l’intento prefissatosi più e più volte dalle numerose trattative.

Se non dovesse esservi una guerra mondiale, i ‘vincitori’ del corrente gioco di forze risulterebbero i Paesi Russocentrici, per via dell’implosione del sistema debitocratico statunitense e del successivo e reciproco isolamento in ‘sistemi mondo’ di stampo quasi Orwelliano⁴. Per ovviare a tale risultato, gli USA potrebbero utilizzare il ‘fenomeno’ Isis in Europa a loro favore. Dato l’aumento degli sbarchi incontrollati di numerosi rifugiati di guerra, il non voler prevenire le possibili infiltrazioni terroristiche si rivelerebbe un’ottima carta da giocare, come causale, per l’esercizio di una maggiore pressione e , perché no, per una presenza preventiva in Europa. Così facendo lo zio Sam potrebbe ricattare l’Europa, ponendo sul piatto della bilancia da un lato la cooperazione per la lotta al terrorismo (da loro favorito) e dall’altro una presa di posizione più dura nei confronti della Russia. Se ciò dovesse avvenire, il risultato dipenderebbe dalla mera superiorità degli apparati militari delle parti in gioco, ma fino ad allora le nazione dovranno tener conto, anche se di poco, delle rispettive (anche se sopite)volontà popolari, al di là di ogni sollecitata propaganda o manipolativo condizionamento subliminale.

Resta sempre possibile l’alternativa guerra. Un attacco a sorpresa USA rientrerebbe nelle ipotetiche reazioni statunitensi. A mali estremi estremi rimedi, bisogna solo pazientare il momento giusto e ragionare fuori dagli schemi. Cosa che sia la Russia, sia gli USA hanno sempre saputo fare.

 

Chrid Barlati

 

[1] Ideologia: il circolo *rivendicazione-elaborazione tramite classe dirigente- ideologia, costituisce il meccanismo di elaborazione ideologica. Strumentalizzazioni e prese di posizione sono implicite nel modello, operate dalla classe dirigente.

[2] http://www.treccani.it/vocabolario/ideologia/

[3] «Fratelli di… Chàvez». Dieci anni di rivoluzione bolivariana nella publicistica italiana (1999-2009) di Giuseppe Palmisciano Antonio Scocozza edito da Le Càriti Editore, 2011