Il “Fronte Nord”: i paesi baltici e l’isteria antirussa. di A. Terrenzio

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europaLa sfilata che ha visto un centinaio di soldati della Nato, britannici, olandesi e dei tre stati baltici, con due blindati per il trasporto delle truppe e dei tank olandesi CV 90, nella cittadina di Narva in Estonia a 300 mentri dal confine russo, in occasione dell’anniversario dell’indipendenza della Repubblica Estone, deve essere interpretata come l’ennesima provocazione nei confronti della Federazione Russa, che in concomitanza al conflitto ucraino vede la minaccia aprirsi anche sul fronte baltico.

Se gli scenari di guerra trovano il proprio epicentro nel Donbass, dove i ribelli filo-russi sembrano avere la meglio e conquistare anche la città di Debaltsevo, sbaragliando un esercito ucraino sempre piu’ malridotto, confermando cosi’ la fragilità degli accordi di Minsk, la Nato ripiega sui tre satelliti baltici,che, in preda ad un’autentica isteria antirussa, richiedono il rinforzo dei propri confini, con l’arrivo di 30 mila uomini, velivoli Typhon e blindati leggeri.

Le tensioni in questa regione, hanno origini lontane e trovano la propria ragion d’essere nella lunga occupazione russa che, dall’epoca zarista, é arrivata fino al periodo sovietico. La presenza di forti minoranze russe e russofone in Lituania, ma soprattutto in Lettonia ed Estonia, rafforza la russofobia degli autoctoni.

Le tre piccole Repubbliche Baltiche sono entrate nel 2004 nella Nato e, gradualmente, hanno partecipato al progetto di adesione all’Ue, culminato con l’entrata nella moneta unica, (Estonia 2011, Lettonia 2014 e Lituania 2015), non solo per motivazioni finanziarie ma per precise ragioni di natura geopolitica, che, come sostenuto dai rispettivi ministri dell’economia servivano ad allontanare l’influenza russa.

Chi scrive frequenta il Baltico dal 2006 e vivendo a Vilnius conosce piuttosto bene il sentimento delle popolazioni locali nei confronti del passato sovietico e soprattutto del vicino russo, vissuto come costante minaccia, anche a distanza di 23 anni. La Lituania infatti é stato il primo paese a ribellarsi all’occupante sovietico nel 91 e ad innescare quel processo di deflagrazione periferica che culmino con il collasso dell’Unione Sovietica.

Se l’entrata nella Nato puo’ essere stata giustificata, soprattutto in una prima fase, dalla volontà di sicurezza dopo la ritrovata indipendenza, non si spiegano ora, tuttavia, le costanti provocazioni che, a partire dal conflitto russo in Georgia, hanno costantemente caratterizzato i toni ed i comportamenti degli alti rappresentanti delle Rep Baltiche.

Le dichiarazioni più clamorose, sembrano essere proprio quelle della Presidente lituana, Dalia Gribuskaite, la quale solo qualche mese fa definiva la Russia: “uno stato terrorista” rincarando la dose in queste settimane fino a caldeggiare un intervento diretto della Nato in Ucraina e ripristinando la leva obbligatoria nel suo Paese per inesistenti ragioni di difesa preventiva. Tali esternazioni assumono un peso ancor piu’ notevole, se si aggiungono le affermazioni di leader come il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk o del ministro della difesa polacco e del passato leader Walesa, i quali esortano gli Usa e la Nato a rifornire la Polonia di armi atomiche, come se non bastasse il noto dispiegamento di batterie missilistiche sul territorio polacco puntate su Mosca.

A tali dichiarazioni a dir poco spropositate va aggiunta una disinformazione generale protratta dai media filo-atlantisti operanti in maniera sistematica nelle Repubbliche Baltiche, tesa a rappresentare Putin come un un nuovo Stalin o Hitler (dalle dichiarazioni della stessa Gribuskaite) ed a ignorare bellamente il Golpe targato Cia di Majdan, fino adamplificare la versione che la Russia abbia rioccupato i territori dell’est ucraino e che i massacri di Donetzk e Lugansk siano stati causati per responsabilità dei ribelli russi. I media lituani e baltici, in generale, contribuiscono ad esacerbare un clima che sfocia in un vero e proprio “complesso da rioccupazione” sulle popolazioni locali.

Una certa paura, dopo oltre un secolo di occupazione russa, é comprensibile, ma oggi viene per lo più portata al parossismo per propagandismo delle classi dominanti locali legate a Washington e alla Nato. A tal proposito, estremamente pericoloso ci appare la costituzione di un battaglione congiunto delle tre repubbliche, più Polonia e Romania, pronto ad intervenire in Ucraina, cosi’ da trascinare direttamente la Nato nel conflitto ad est.

A tali movimenti vanno aggiunte le richieste di rafforzamento militare esplicitate dai PB che pur in assenza di minacce reali producono ulteriori tensioni.

Ma la paranoia non cambia la realtà, quella delle difficoltà economiche delle Repubbliche baltiche che stanno perdendo il valore del loro export verso la Russia a causa delle sanzione verso Mosca. Sono numeri importanti a doppia cifra.

La Lettonia vive praticamente di capitali russi ed il porto di Riga rappresenta un importante snodo logistico-commerciale verso la Russia. Discorso non molto diverso per l’Estonia.

In presenza di tale quadro è d’obbligo porsi una domanda: conviene ai paesi Baltici avere rapporti conflittuali con la Federazione Russa? La risposta ci appare altrettanto scontata: no. Le tre Repubbliche potrebbero sfruttare la loro posizione geografica di vicinanza, anche culturale, alla Russia per fungere da “ponte” e beneficiare sia dei finanziamenti strutturali europei, sia dei commerci coi russi, il tutto rimanendo all’interno dell’UE. Invece, a causa del servilismo atlantico dei loro governi esse rappresentano ormai una minaccia per la Russia ma anche per l’Europa che potrebbe venire trascinata nel conflitto da membri marginali. Ma le responsabilità più gravi ricadono sull’Ue che permette lo svilupparsi di tali dinamiche rischiose per la sua stessa sopravvivenza.

Ma la spiegazione vera di tali scenari di tensioni strategiche e militari va individuata nell’ingerenza americana negli affari europei e nel servilismo di Bruxelles alla Nato. L’Europa, come entità unitaria, potrà essere salvata ma solo ricorrendo ad un radicale ripensamento delle sue alleanze strategiche. Questo non avverrà senza una rivoluzione politica che porti ai vertici delle istituzioni comunitarie gruppi dirigenti consapevoli che è dalla libertà decisionale delle patrie europee che si svilupperà una vera sovranità continentale in grado di ridare all’Ue il ruolo che merita nel multipolarismo, nonché di liberarla dai condizionamenti geopolitici del passato.