Il mito del progresso? Il mito della tradizione!

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Si incontrano sempre più spesso persone che si scagliano contro il mito del progresso. In nome di quale alternativa? Di qualche altra mitologia che non si presenta ovviamente tale ai loro occhi accecati. Per esempio la tradizione. Ma le narrazioni leggendarie coprono tutti i gusti e tutti gruppi, ce ne sono a iosa. C’è chi se la prende con la scienza, chi con la tecnica, in nome di spazi e luoghi incorrotti, di altre epoche storiche, e chi con i nostalgici che non incedono sicuri verso nuovi soli dell’avvenire. I principi o valori umani hanno volentieri detta forma mitica, da riscontrare però solo nelle altrui convinzioni, molto meno nelle proprie. L’uomo è il vero essere mitologico.
Da par mio, sono profondamente convinto che non esista alcun progresso ma, ugualmente, quella che viene chiamata tradizione è quanto di meno tradizionale possa esserci. Far esistere due inesistenze, una contro l’altra, alimenta tanti discorsi ma scarsissima conoscenza. Il cammino del mondo (e degli uomini) ha sicuramente degli sviluppi ma essendo a noi sconosciute sia l’origine che la fine dei suoi percorsi c’è poco a cui aggrapparsi, lo smarrimento è tanto del passato che del futuro ed il presente si presenta solo per modo di dire. Indietro non si torna perché non c’è luogo in cui tornare, avanti non si va perché non c’è un posto da raggiungere. Gli eventi sono un flusso che richiede fatiche sovraumane per essere afferrato (o almeno compreso per il poco che si pùò) e non si lasciano scandire secondo i nostri cronoprogrammi. Anche quando riusciamo a trattenere qualcosa nelle nostre mani si tratta di granelli di sabbia che volano presto via togliendoci molte convinzioni.
Per come ce la raccontano certi pensatori, che inorridiscono per le cose contemporanee (le quali però formeranno la tradizione di un’era futura che reiventerà, a proprio piacimento, quel che oggi dispiace agli scarni filosofi odierni), ormai è tutto perduto a causa del fatto che abbiamo tagliato i ponti alle nostre spalle. Cito da un articolo di Marcello Veneziani che, a sua volta, riprende due autori:

‘L’incipit di De Michelis è folgorante: “Quel giorno che l’anello si sciolse, finalmente diritto il filo indicò la direzione…indietro non si torna…non restava altro che andare avanti” fino a che si sarebbe finalmente raggiunto il paradiso. Veniva rigettato il mito del ritorno su cui si fondavano le tradizioni, la loro visione ciclica e circolare, quell’anello saldo che resisteva intatto da secoli. “La tradizione cedeva il primato al progresso, la filosofia alla scienza, il vero al nuovo”. Ma la vita, nota l’autore, opponeva al progresso i suoi ritmi di sempre, il suo andare in tondo; e allora la vita diventava l’ostacolo, bisognava celebrare la morte che diventava il progetto totale di “questo secolo maledetto”. De Michelis si addentra nella biopolitica e nell’homo sacer, esplorato da Giorgio Agamben; “sovrano è colui che decide sul valore e il disvalore della vita in quanto tale”. La nuda vita diventa sacra, viene politicizzata e assoluto diviene il potere che la presidia. “Medico e sovrano sembrano scambiarsi le parti” e l’esperienza della pandemia sembra confermare tragicamente quella intuizione’.

Mummie che si lamentano per niente. Non so definire diversamente tale piagnisteo per la perdita del perduto.
Eppure, la vita, nonostante i sarcofagi che filosofeggiano, ha come caratteristica precipua quella di spingere. Sgorga irrefrenabile dalle viscere della terra, abbatte tutto quel che incontra, si nutre di altra vita e della morte, rompe qualsiasi equilibrio e lotta contro tutto, anche contro sé stessa, per accrescersi e dominare. La vita prorompe e questa sua vitalità, quella che Nietzsche chiamava la (volontà di) potenza, informa e decide di quel che siamo, anche se noi umani abbiamo imparato a nascondere questa energia (conflittuale) che “ci spinge a spingere” e a “urtare”, contro il mondo e i nostri simili, sotto una coltre di moralismi.
Scienza e tecnica sono espressioni della potenza, di una potenza più forte del passato, e senza queste si soccombe, si viene dominati. La potenza umana è venuta ad incrementarsi grazie a queste conoscenze e se domani troveremo qualcos’altro, di ancor più energico e potente, abbandoneremo quel che ci limita maggiormente per quel che ci darà ancora più forza. Di questa potenza non tutti ne fanno lo stesso uso o sono abili a procurarsela. Chi è meno capace di farlo finisce sotto il tallone di ferro dei prepotenti. E’ inevitabile. Quando gli uomini avranno finito di dominare il pianeta, altre razze e specie si riprenderanno quel che ora è nostro. La vitalità che preme appartiene a tutta la natura. Le nostre edificazioni saranno surclassate persino dalle piante che con le loro radici arriveranno a distruggere il nostro cemento armato. Domineranno (piante e animali o chi per loro) e lotteranno per esistere e gli uomini non rappresenteranno la tradizione di alcunché su questa terra.