IL MOVENTE DELL’ASSASSINIO DI DALLA CHIESA – COMISO – LA TRATTATIVA TRA LO STATO E LA MAFIA di Piero La Porta

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Pubblichiamo un articolo del Gen. Piero Laporta dal titolo “IL MOVENTE DELL’ASSASSINIO DI DALLA CHIESA – COMISO – LA TRATTATIVA TRA LO STATO E LA MAFIA”.

Riteniamo che questo intervento possa essere di molto interesse per i lettori del blog ai quali abbiamo più volte sottoposto alcune dichiarazioni di Cossiga sulla famigerata base Nato di Comiso. Su quest’ultima l’ex Presidente della Repubblica fece delle affermazioni pesantissime, come  quella per cui “era stata la mafia ad incaricarsi di costringere i proprietari a cedere a prezzi stracciati i terreni su cui sarebbe sorta la base militare”. Inoltre, costui confidò che proprio quell’affaire, sul quale sapeva molto e si era prodigato altrettanto, gli fu utile  “per far cessare negli USA una campagna giornalistica contro di lui” agli inizi degli anni ‘90. Il pezzo di Laporta aggiunge altri tasselli ad una vicenda oscura della storia d’Italia le cui nubi plumbee continuano ad aleggiare sul nostro presente non roseo.

 

IL MOVENTE DELL’ASSASSINIO DI DALLA CHIESA – COMISO – LA TRATTATIVA TRA LO STATO E LA MAFIA

Giorgio Napolitano si preoccupa della trattativa tra Stato e Mafia agli inizi degli anni ’90. Quella trattativa non fu la prima né la più importante. Anzi, tutto lascia supporre che l’ex ministro Nicola Mancino sia impastoiato a causa di quanto intercorse fra Stato e Mafia per schierare gli euromissili a Comiso, con cui egli non ha nulla a che fare. La trattativa su Comiso è collegata con un filo, sottile e tenacissimo, all’assassinio di Carlo Alberto Dalla Chiesa. Molte verità sono in due archivi: quello dei servizi segreti a Forte Braschi e quello dei Carabinieri. La traccia, rivelata oggi da Monsieur [pubblicato su Monsieur di settembre 2012, con titolo diverso], sarebbe inesorabilmente divenuta evidente agli occhi dei martiri Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Lo stesso filo passò nel telaio infetto di Vito Ciancimino,il cui figlio tuttavia sembra non sapere nulla, finora. Andiamo con ordine, facendo attenzione alle date.

Trent’anni fa, primavera del 1982, s’acuì lo scontro tra pacifisti e Partito Comunista Italiano (Pci), i primi contrari allo schieramento degli euromissili a Comiso, il Pci favorevole ma con pesanti ambiguità.

L’anima del movimento antimissili fu infatti Pio La Torre, carismatico dirigente del Pci; non di meno il Pci dette via libera ai missili a primavera 1980, quando il parlamento approvò la “doppia decisione” della NATO.

Pio La Torre, segretario del PCI siciliano

Chiara Valentini, giornalista e biografa di Enrico Berlinguer, dichiarò più tardi che Pio La Torre nell’ultimo periodo era in crisi con la destra del Pci: ebbe divergenze con Napolitano che tendeva a rassicurare l’Occidente sulla politica estera del Pci e non s’intese più nemmeno con Paolo Bufalini che di lui disse: «Prendiamo con prudenza le parole di Pio perché è uno che è abituato a esagerare un po’, dalla mafia è ormai ossessionato». La “doppia decisione” dell’Alleanza propose a Mosca due alternative: smantellare tutti i missili a breve e medio raggio; se il Patto di Varsavia non avesse accettato, l’Alleanza avrebbe schierato gli euromissili.

La “doppia decisione” fu resa pubblica a luglio 1980 e il governo italiano fece intendere di schierare i missili in Veneto. Fu una manovra diversiva di Francesco Cossiga: gli americani avevano già deciso per la Sicilia, a Comiso, in provincia di Ragusa, sulla costa meridionale dell’isola.

I giganteschi lavori cominciarono, per adattare ai missili lo sgangherato e vecchio aeroporto Magliocco di Comiso. Negli anni, tra finanziamenti nazionali e statunitensi furono migliaia di miliardi, il cui ammontare definitivo non è calcolabile.

Gli appalti per la base furono conferiti direttamente dalle autorità statunitensi col benestare della loro intelligence. Il consenso del Pci fu negoziato direttamente cogli Usa?

Il dibattito sugli Euromissili – acceso dal cancelliere tedesco Helmut Schmidt – cominciò a primavera del 1977. SE un personaggio politico del calibro di Schmidt afferma “dobbiamo scheirare i missili in Europa”, significa che prima di questa affermazione vi è stao un complesso lavorìo, di qua e di là dell’Atlantico, centrato su un’analisi, una valutazione, una dislocazione di risorse e una decisione per arrivare all’obiettivo politico che poi Schmidt ha annunciato: schierare i missili in Europa.

Giorgio Napolitano guidò la delegazione del Pci a Washington per garantire l’affidabilità atlantica del Pci nel 1978, cioé meno d’un anno dopo. Il tentativo della Democrazia Cristiana di far negare il visto da Washington alla delegazione del Pci fu un clamoroso fallimento. L’ambasciata statunitense a Roma, d’intesa col dipartimento di Stato, garantì il visto. L’ambasciata statunitense aveva individuato evidentemente un preciso tornaconto.

La base di Comiso fu un enorme affare in forniture militari ma anche una cuccagna di appalti e traffici illeciti d’ogni genere. Claudio Fava scrisse anni dopo: “Tutto questo, naturalmente, non è passato su Comiso e dintorni senza lasciare traccia: anzi; si è probabilmente avverata nel corso degli ultimi tre anni la “profezia” di Pio La Torre, il deputato comunista ucciso dalla mafia: «…Si vedrà presto a Comiso lo scatenarsi della più selvaggia speculazione, dal traffico di droga al mercato nero, alla prostituzione, con il degrado più triste della nostra cultura e della nostra tradizione»”. Dalla relazione di minoranza (fra cui il Pci) della Commissione antimafia nel 1984 «(la base NATO di Comiso) rappresenta un elemento che accelera in modo impressionante i processi di degenerazione e di inquinamento della vita sociale e politica».

Tutto vero quanto scrive Fava, ma anche tutto prevedibile, del tutto prevedibile sia mentre il Pci approvava la “doppia decisione della NATO”, sia quando, pochi mesi dopo, l’irriducibile Pio La Torre ricoprì la carica di segretario del Pci siciliano.

La guerra per posizionarsi opportunamente per affondare le mani nelle montagne di miliardi cominciò tempestivamente e coinvolse molte parti. Riguardò la politica, la mafia e l’imprenditoria e quanti nelle rispettive organizzazioni avevano i contatti giusti in Italia e negli Usa. E chi non li aveva, al momento in cui la macchina si mise in moto, ebbe evidentemente modo di procurarseli.

Questo intrecciarsi di interessi riguardò anche i servizi europei e statunitensi, senza escludere quelli sovietici. Quando le cifre sono da capogiro ogni accordo è possibile, ogni corruzione è probabile, ogni tradimento è giocabile. Rimaniamo tuttavia in Sicilia.

Il conflitto più appariscente fu quello fra la vecchia mafia al potere dal Dopoguerra e i rampanti Corleonesi guidati prima da Luciano Liggio e, dopo la morte di questi, da Totò Riina.

Una guerra di mafia c’era già stata agli inizi degli anni ’60 ed era stata sanguinosa, ma era nulla al confronto della successiva, i cui primi colpi furono sparati esattamente nel 1977, mentre Schmidt parlava di euromissili.

La politica annunciava gli euromissili e i Corleonesi vollero immediatamente conquistare la leadership mafiosa e, con essa, mettere le mani sugli affari lucrosi in vista.

Questa coincidenza, che non è una coincidenza, certifica che i Corleonesi ebbero, vista l’impunità, protezioni ad altissimo livello, in possesso solo delle centrali statunitensi dove il progetto euromissili aveva già una sua fisionomia precisa.

Il 20 Agosto 1977 Salvatore Riina, astro nascente dei Corleonesi, uccise il colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo. Questi non era un colonnello qualsiasi ma il sensore avanzato di Carlo Alberto Dalla Chiesa verso Giuseppe Di Cristina, boss di punta nella Commissione di Cosa Nostra, inutilmente contraria alle efferatezze di Riina.

La Commissione non fu d’alcun aiuto a Di Cristina, assassinato il 30 maggio 1978.

Quindici giorni prima Di Cristina svelò ai carabinieri che Luciano Liggio, boss dei Corleonesi, voleva assassinare il giudice Cesare Terranova, da poco rientrato nella magistratura palermitana dopo una parentesi parlamentare.

Egli rivelò pure che Liggio uccise Pietro Scaglione, procuratore capo di Palermo. Di Cristina concluse che i Corleonesi stavano dando la scalata alla leadership della mafia. Cesare Terranova fu ucciso, i verbali dei Carabinieri rimasero nei cassetti della magistratura e nell’archivio centrale dell’Arma. Non sarebbe tuttavia bastata la magistratura a coprire i Corleonesi. Fino alla fine degli anni ‘90 la tesi “non esiste una sola mafia” fu cavallo di battaglia dell’Fbi; così volle il suo fondatore Edgard Hoover. Questi costituì un potere parallelo nell’amministrazione americana, occulto e acostituzionale, perfettamente dimensionato per entrare in relazione cogli analoghi poteri sparsi per il mondo. Quel potere fu irradiato in tutti i paesi vassalli degli Usa. Fbi e mafia viaggiarono sullo stesso treno anche se in carrozze differenti, almeno sin dai tempi del duplice assassinio dei fratelli Kennedy.

Le cose cambieranno quando la mafia diverrà superflua, dopo la fine della Guerra Fredda; fino ad allora tuttavia i traffici di droga fra Sicilia e Stati Uniti corsero indisturbati. Quando condussero a qualche arresto eccellente, come Gaetano Badalamenti, si trattò d’avversari dei Corleonesi. I sequestri dei beni in conseguenza della legge La Torre? Fino alla fine della Guerra Fredda colpirono solo la mafia perdente; e anche dopo a ben vedere. Tutti gli investigatori e i magistrati italiani, frappostisi ai traffici in Sicilia e fra la Sicilia e gli Stati Uniti, furono massacrati impunemente.

Ricordiamo solo alcuni martiri d’una lunghissima lista. Gennaio 1979: la mafia uccise Boris Giuliano il capo della squadra mobile di Palermo. Settembre: è la volta del procuratore della Repubblica Cesare Terranova.

6 Gennaio 1980: omicidio del presidente della regione Sicilia, Piersanti Mattarella. 4 Maggio: omicidio del valoroso capitano Emanuele Basile, comandante la compagnia carabinieri di Monreale, legatissimo a Paolo Borsellino. 6 Agosto 1980: assassinio del procuratore capo della repubblica di Palermo, Gaetano Costa. 13 Giugno 1983: uccisione del valoroso capitano Mario D’Aleo, successore di Emanuele Basile. Tre mesi prima, il 13 marzo, furono assolti gli assassini di Emanuele Basile. Nel 1988, il 25 settembre, fu la volta del Presidente di Corte di Appello Antonino Saetta, il quale, condannando i mafiosi prima assolti per la morte di Basile, squarciò un velo, immediatamente ricucito, tuttavia.

4 aprile 1992: agguato omicida all’indimenticato maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli, validissimo collaboratore di Paolo Borsellino. È l’omicidio che prepara Capaci e via D’Amelio.

Incuranti di deludere i professionisti dell’antimafia, i quali certificano una mafia debole quando uccide (nella colonna accanto la lista degli assassinati dalla mafia negli anni di Comiso o per causa di Comiso), i Corleonesi fecero scorrere fiumi di sangue mentre le autorità politiche portavano avanti la scelta di Comiso. Questa singolare coincidenza, che coincidenza non è, si accompagna però a una scelta militare in apparenza assurda .

Fin dal 1960, quindi ben prima della crisi di Cuba del 1962, Gioia del Colle, una base aerea 40 chilometri a Sud di Bari, aveva ospitato i missili Jupiter (missili balistici a raggio intermedio, IRBM).

L’accordo che pose fine alla crisi del 1962, col quale l’URSS accettò di non schierare più i suoi missili a Cuba,  prevedeva da parte Atlantica lo smantellamento delle basi IRBM in Europa, quindi anche quella di Gioia del Colle.

La crisi fra Nato e Patto di Varsavia, comincia a metà degli anni ’70, con lo schieramento dei missili sovietici SS-20 contro l’Europa.

La NATO rispose schierando i missili a Comiso, 500 chilometri indietro rispetto a Gioia del Colle. Un’arma strategica non rinuncia a una fascia di 500 chilometri, dov’è accertata la presenza di centinaia d’obiettivi remunerativi, compresa Mosca, la capitale.

Gioia del Colle era una base attrezzata; Comiso invece dovettero costruirla da zero: piste, strade, case, hangar, magazzini, impianti… un fiume di miliardi, come s’è detto.

Per giustificare il non senso, lasciarono intendere che lo schieramento a Comiso fosse orientato anche a battere gli obiettivi libici. È falso: da Gioia del Colle potevano colpire ben oltre l’Africa settentrionale, fino a quella centrale.

La panzana fu bevuta anche da Pio La Torre e Chiara Valentini che però non sanno nulla di questioni tecniche militari.

Un anno fa ne chiesi ragione per iscritto a Giulio Andreotti e a Lelio Lagorio. Il primo non mi rispose, il secondo mi rimandò al suo libro “L’Ora di Austerlitz”, sul quale tuttavia non trovai risposte. Mi sono rivolto quindi a tre tecnici alquanto autorevoli.

«La collocazione a Comiso fu giudicata la migliore possibile dal comando Alleato» ricorda Luigi Caligaris, a quel tempo capo ufficio politica militare della Difesa.

«Cossiga – precisa Caligaris – fu artefice della buona riuscita della complessa trattativa, politica e militare, iniziata nel 1977, che vide l’Italia in prima linea per schierare gli euromissili».

Sulla centralità del ruolo di Cossiga e sulla preferenza statunitense per Comiso, concorda anche il generale Mario Arpino, allora capo ufficio operazioni dell’Aeronautica militare, in seguito diventerà capo di stato maggiore della Difesa.

Carlo Jean, generale degli alpini e ascoltatissimo consigliere di Cossiga, aggiunge: «Oltre a Cossiga, al successo concorsero Bettino Craxi e Lelio Lagorio, rimediando ai tentennamenti democristiani. Craxi unì l’utile al dilettevole, poiché gli euromissili incrinavano l’unità del Pci».

Ricordo ai miei interlocutori che la dislocazione della base appare alquanto singolare, marcando un arretramento di 500 chilometri. I missili GLCM Tomahawk perdevano 500 chilometri su una gittata da 800 a 3000 chilometri. Un assurdo apparente.

La gittata fu un dato politicamente secondario, spiega il generale Arpino: «Comiso fu una scelta americana, dettata da due ragioni: la disponibilità di ampio retroterra su cui muovere gli autocarri che trasportavano i missili dalla base ai siti di lancio e, inoltre, le trasformazioni intervenute nella base aerea di Gioia del Colle dopo il 1962, tali da renderla impraticabile nel 1980».

La necessità d’ampio retroterra per la base era connessa alle operazioni di lancio che non avvenivano da Comiso, altrimenti un solo missile sovietico sarebbe stato in grado di distruggere tutti i missili nucleari statunitensi in Sicilia.

Al momento dell’allarme nucleare, gli enormi autocarri coi lanciatori a bordo, sarebbero usciti dalla base di Comiso per portarsi su differenti zone di lancio, opportunamente distanti l’una dall’altra.

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Aggiunge Caligaris:«Gli euromissili ebbero una tale dimensione politica che ogni altro elemento divenne secondario: essenziale fu dimostrare la capacità di schierarli».

La “capacità” avrebbe potuto trovare un limite nella sicurezza del territorio siciliano.

Nulla infatti doveva opporsi alla circolazione in piena sicurezza degli autocarri coi missili, mentre si dislocavano sui siti di lancio, distanti da Comiso, ma pur sempre in Sicilia.

Carlo Jean non ha dubbi: «La possibilità di schierare i missili fu garantita in Sicilia dal controllo della mafia sul territorio. Cossiga mandò l’ammiraglio Fulvio Martini a trattare».

Mentre Cossiga era presidente del Consiglio dei ministri? «Sì»

Questo significò riconoscere la mafia come interlocutore? «Neanche per sogno. Trattare coi rapitori, per salvare gli ostaggi, non significa mica riconoscere i delinquenti. L’interesse dello Stato in quel momento esigeva che noi schierassimo i missili in Sicilia per determinare la fine della Guerra Fredda».

A distanza di tanti anni è difficile comprendere i dettagli di quella trattativa. Sarebbe interessante leggere nell’archivio del Pci quale fu il giudizio di Ugo Pecchioli che seguiva tutto quello che accadeva nei servizi italiani da Botteghe Oscure.

Chi ha il ricordo, sa che la Sicilia a quel tempo fu territorio franco.

Con chi entrò in contatto Martini? Certamente con un interlocutore accreditato dall’intelligence statunitense, presumibilmente la stessa che fornì le informazioni che innescarono la guerra di mafia.

Il collegamento con la mafia, così come ai tempi dello sbarco dell’VIII Armata in Sicilia, consentì un accordo al massimo livello, per lasciare le intese di dettaglio agli italiani, considerati dagli Stati Uniti, allora come oggi, alleati docili, dai quali non ci si attendono né interlocuzioni problematiche né richieste di chiarimenti imbarazzanti. Uno ordina, gli altri obbediscono. Bettino Craxi non lo comprese a Sigonella e si sa com’è finita. Il Pci invece lo capì.

Ci fu un prezzo? Sì, senza ombra di dubbio: la mafia non fa sconti, ma attenzione a non gettare la croce addosso all’ammiraglio Martini, poiché il prezzo strategico dell’operazione era stato già fissato quando egli si sincerò che gli itinerari degli autocarri e le aree di lancio dei missili erano garantiti.

L’Ammiraglio Fulvio Martini fu inviato in Sicilia da Francesco Cossiga per trattare con la mafia

Come ai tempi dello sbarco, l’accordo politico con la mafia nacque negli USA e, una volta accettato da ambo le parti, già garantiva l’immunità e una montagna di quattrini ai boss.

La condizione di vassallaggio dell’Italia non dava e non dà tuttora alcuna garanzia di immunità ai boss.

Pio La Torre entrò nella segreteria del Pci, nominato dal XV Comitato centrale dell’11 Luglio 1979, annoverato tra i fedelissimi del segretario generale, Enrico Berlinguer.

Il 6 Gennaio 1980 fu assassinato Piersanti Mattarella, presidente della Regione Siciliana.

Il 1° Ottobre 1981 Pio La Torre è segretario regionale del Pci in Sicilia. Sarà assassinato alla vigilia del 1° maggio 1982.

Quando si afferma che Pio La Torre fu ucciso a causa della sua legge che consente il sequestro dei beni ai mafiosi si dicono due grottesche falsità.

La mafia non uccide per stupide ragioni emotive come la vendetta, ma per concreti interessi. Il prefetto Cesare Mori, il “prefetto di ferro”, non fu ucciso durante il suo mandato né dopo quando fu inerme. La scorta è un’invenzione della generazione politica di Comiso.

Inoltre, se Pio La Torre fosse sopravvissuto, onesto e irriducibile com’era, mai avrebbe lasciato passare sotto silenzio i traffici che si svilupparono – nella Sicilia, fra Sicilia e Usa, fra Sicilia e le imprese dell’Emilia Romagna – intorno agli appalti di Comiso, oltre al fiume di droga che passò indisturbato per l’isola e da lì verso ogni dove.

Possiamo anche aggiungere che fino agli anni ’90 i sequestri colpirono la mafia perdente.

Nel momento in cui la mafia era più forte che mai, si poteva presumere di proporre appalti per centinaia di miliardi in Sicilia senza un accordo con Cosa Nostra?

Il sì del Pci alla “doppia decisione” della Nato ebbe una lungimirante visione sugli appalti, gestibili fra le imprese siciliane e quelle romagnole? I nemici di Pio La Torre erano certamente nella mafia ma anche accanto a lui.

Il simmetrico di Pio La Torre nel versante delle forze dell’ordine è Carlo Alberto Dalla Chiesa. Egli non fu ucciso per vendetta – come si dà a intendere per disinformare – ma perché le intuizioni, che in Pio La Torre sono frammentarie, avrebbero trovato ben altro esito sotto l’occhio del generale, esperto investigatore e conoscitore profondo dei legami nazionali e internazionali tra mafia, politica e centrali statunitensi. Quantunque fosse rimasto a Roma, i traffici che poi avvennero in Sicilia li avrebbe adocchiati e valutati per quello che erano. Carlo Alberto Dalla Chiesa da un certo momento in avanti diventò ingombrante.

D’altro canto la stessa collocazione – apparentemente assurda – della base di Comiso non sarebbe potuta sfuggire a Dalla Chiesa: egli prima di divenire carabiniere, fu ufficiale di artiglieria.

Come per Pio La Torre, i nemici del generale non erano solo nella mafia. La sua auto fu sabotata almeno tre volte e di certo non la parcheggiava in strada.

Rimane solo il dubbio che lasciamo ad altri: Pio La Torre fu ucciso per attirare Carlo Alberto Dalla Chiesa in Sicilia? Oppure Dalla Chiesa fu ucciso perché era stato ucciso La Torre?

C’è un ulteriore dettaglio nella vicenda di Dalla Chiesa che va finalmente chiarito. La stampa ha scritto, più volte e fin dagli anni ’90, che Antonio Di Pietro fu parte della scorta di Dalla Chiesa. Antonio Di Pietro non ha mai smentito.

Visto che Dalla Chiesa ebbe notoriamente una scorta di carabinieri, sarebbe finalmente il momento di capire quanto a lungo, quando, come, perché e chi determinò che Di Pietro fosse in quella scorta.

Il martire Dalla Chiesa andò a bussare alla porta di Ciriaco De Mita, prima di partire per la Sicilia. Non gli fu aperto. Lo disse Rita Dalla Chiesa in una trasmissione televisiva e nessuno ancora le ha spiegato perché quella porta rimase chiusa, come tutte le altre porte delle istituzioni e dei partiti, tutti, Pci compreso.

Come s’è detto all’inizio, molte delle risposte ai quesiti che s’affastellano sono in due archivi: quello dei servizi e quello dei carabinieri.

Il globalismo finanziario ed economico che conosciamo oggi, fu ben prima una realtà nel mondo della malavita organizzata, del malaffare politico e delle relazioni sotterranee fra servizi, anche quelli di schieramenti opposti. La mafia fu solo uno dei tasselli, neppure il più importante. Dopo la fine della Guerra Fredda la mafia divenne superflua e Totò Riina non se ne rese conto.

Oggi comprendiamo che le poltrone istituzionali furono in larga misura occupate, molte lo sono tuttora, da politici indegni. La radice di questo male è in Sicilia, una regione che più d’ogni altra patisce una classe dirigente infima e del tutto indegna dei suoi governati.

In Sicilia come nel resto d’Italia questa contraddizione – tra indegnità dei governanti e dignità dei governati – è l’esito d’un potere a-istituzionale allogeno, preconfezionato all’estero, tanto ieri per Comiso come oggi per l’economia.

È un vassallaggio che prima ci ha tolto la dignità e l’onestà, oggi ci toglie pure i soldi coi quali ci corruppero. È una storia che non è ancora stata scritta e quando ci si è avvicinati ad essa, quando per esempio gli avvocati di parte civile nel processo di Pio La Torre hanno cercato di scavare sono stati fermati non dalla mafia ma dalla magistratura e dal Pci. E si sono lasciati fermare.

La verità, brutta e maleodorante, è custodita gelosamente nell’archivio dell’Arma, la quale da alcuni anni è oggetto d’un tentativo aggravato e continuato di porla sotto il controllo del ministro dell’Interno, quindi del capo della polizia, facendola trascolorare in qualcos’altro, probabilmente più gradito anche a quelle centrali statunitensi che hanno preso l’eredità di quelle che governarono Comiso e dintorni. Altro che retoriche cerimonie commemorative e vane parole per chiamarsi fuori. Apriamo gli archivi e facciamola finita.