IL NUOVO MEDIO-ORIENTE, LA CONTINUAZIONE DEL PASSATO COLONIALE CON NUOVI “MANAGERS”

(fonte geostrategie.com, trad. di G.P.)

 

Professore all’università della California di Berkeley (UC Berkeley – Dipartimento di studi del Vicino-Oriente e di studi etnici), Hatem Bazian ritorna in questa intervista sulla conferenza di Annapolis sul Medio Oriente organizzata dall’amministrazione Bush.

Quale è la vostra opinione sulla conferenza sul Vicino-Oriente che è stata organizzata da Condoleeza Rice il 27 novembre ad Annapolis.

Questa conferenza di un giorno ha mostrato che non c’è molto da aspettarsi. I palestinesi e gli Israeliani si sono già incontrati almeno sette volte per provare a mettersi d’accordo sul comune linguaggio da tenere, senza che nulla di sostanziale si sia concretato per il momento. Condoleeza Rice ha fatto la spola per provare ad avvicinare le due parti, gli Israeliani ed i palestinesi. Perché tale urgenza nelle “ultime ore” dell’amministrazione Bush, mentre gli resta soltanto un anno di mandato? Perché quest’urgenza mentre nel corso degli ultimi sette anni, l’amministrazione Bush ha trattato i palestinesi piuttosto alla leggera e non li ha messi al centro di alcuna iniziativa in Medio Oriente. Se ci si ricorda, dopo il 9 settembre 2001, l‘amministrazione Bush ha creduto che la pace in Medio Oriente, ed in particolare in Palestina, passasse per Bagdad. Era il grande argomento dei neo-conservatori come l’American Entreprise Institute, Dick Cheney, Scura Libby, Donald Rumfeld o anche Paul Wolfowitz. Tutte queste personalità erano convinte che per avere una pace Israeliano-palestinese, occorresse andare in Iraq ed eliminare la minaccia Saddam Hussein. Perché era improvvisamente determinante eliminarlo per ottenere la pace Israeliano-palestinese? Perché con Saddam Hussein uscito di scena, i palestinesi non avrebbero avuto più padrini. Non avrebbero avuto più questa base di sostegno offerta dalle ultime vestigia del nazionalismo arabo, anche se deformato e diluito come era quello di Saddam Hussein. Così i palestinesi sarebbero stati forzati ad accettare la pax americana, américano-Israeliana per il Medio Oriente, accettando di vivere in un territorio palestinese somigliante ad un Bantustan come quelli in Pakistan o in Sudafrica. Ecco dove quest’idea li ha condotti: ad un fallimento totale per quanto riguarda la pace per i palestinesi o nel "grande Medio Oriente". Ora, il nuovo progetto è il "contenimento" dell’Iran. Ricordiamo dell’amministrazione Reagan e della sua politica di doppio "contenimento": occorreva "contenere" il nazionalismo arabo da un lato e dell’altro, il fondamentalismo islamico nella sua forma iraniana, il fondamentalismo sciita. Sono questi i due obiettivi di politica estera dell’amministrazione Reagan che Bush padre e l’amministrazione Clinton hanno ereditato. C’era dunque uno sforzo costante di contenere questi due aspetti: il nazionalismo arabo ed il fondamentalismo islamico, l’insurrezione islamica in Medio Oriente, rappresentata dall’Iran. Oggi, il programma iracheno è a terra ed i neocon fanno "come back" sul tema: "i veri uomini" vanno a Teheran. Si agitano per ottenere un attacco all’Iran. Mirare sull’Iran, continuare il secondo obiettivo, cioè il "contenimento" del fondamentalismo islamico alla testa dello sciismo. In un’altra epoca, gli Stati Uniti sostenevano i taliban. All’inizio, volevano che i taliban riuscissero a creare un conflitto tra i sunniti e sciiti. Il fondamentalismo sunnita contro il fondamentalismo sciita per neutralizzarli, " contenerli" tutti e due. Ciò fa parte di ciò che si chiama la strategia del "contenimento", che consiste nel deviare sistematicamente le risorse del vostro nemico in conflitti secondari. Se il fondamentalismo sunnita affronta il fondamentalismo sciita, le loro energie potranno esaurirsi. Ora che la campagna in Iraq è fallita, occorre contenere l’Iran. Per ciò, occorre costituire una nuova coalizione sunnita. E dunque convincere elementi del mondo sunnita che l’Iran è una minaccia per loro affinché propaghino l’idea che "l’Iran è il nostro principale nemico". Ma per ciò, occorre occuparsi della questione palestinese. Gli Stati Uniti devono trovare il modo affinché l’Iran e le forze progressiste in Medio Oriente non possano ricongiungersi alla causa palestinese né denunciare il fatto che i progetti americani nella regione sono basati sul fallimento e su un’impresa coloniale che continua a svolgersi in Palestina. Allora perché tanto urgenza a proposito di questa conferenza del 27 novembre? Perché si deve chiamare a raccolta questa coalizione e uno degli elementi necessari per Sauditi, Egiziani, Marocchini ed Giordani che vogliono farne parte, è di riorientarsi affinché la questione palestinese sia sostituita nei giornali dal "contenimento" dell’Iran. Soltanto allora potranno fare traballare l’opinione pubblica araba e convincerla a sostenere l’invasione dell’Iran. È la loro ipotesi, la strategia che seguono. Questa conferenza è venuta in un momento critico per l’avanzamento del progetto Israeliano americano per la regione, che è anche quello delle elite arabe.

A proposito del conflitto tra Hamas e Fatah, come avete analizzato questo vertice sul Medio Oriente ed il sostegno reso pubblico ad Abbas contro Hamas? Come Abbas può negoziare la questione palestinese mentre non controlla la metà dei territori e non dispone della legittimità necessaria? Come si è giocato questo conflitto in nella conferenza?

Questo conferenza contiene molti elementi. Uno degli obiettivi è di dare credibilità a Abbas. Gli americani vogliono concedergli un’aria presidenziale. Per ciò, occorre circondarlo di un gruppo di gente importante e fare fotografie. Tutto l’aspetto cerimoniale è là. È per questo hanno auspicato che i principali paesi fossero presenti, come l’Arabia Saudita. Dunque ciò che ho visto, è che provano a costruire un’immagine di Abbas ed allo stesso tempo mettono Hamas sotto pressione nella striscia di Gaza. Come metterle pressione? Riducendo le risorse che entrano. Ma senza tagliare completamente i prodotti alimentari, perché altrimenti la gente finirà per morire di fame. Simultaneamente, bisogna fare in modo che l’Iran non possa approfittarne per aumentare il suo aiuto ai palestinesi, perché altrimenti non ci sarebbero più i mezzi di pressione nei territori. In breve, gli obiettivi della conferenza erano: 1) dare ad Abbas un’aria presidenziale, creare la sua credibilità, dare l’impressione che la Comunità internazionale, questa cosa nuova che si chiama "Comunità internazionale", credesse in Abbas. 2) Garantire risorse per l’autorità palestinese.

I membri del G8 ed i 10 paesi industrializzati sono chiamati a fornire aiuti. La scommessa Israeliano-americana, è che i palestinesi votino in funzione dei loro interessi ed è per questo che sempre più risorse andranno all’autorità palestinese di Abbas mentre si affama l’autorità palestinese di Hamas nella striscia di Gaza. Dopo il vertice, quando Abbas sarà rientrato, gli daranno le chiavi della società palestinese con le risorse e la credibilità. Allora si stringerà ancora il cerchio sui palestinesi di Gaza perché comprendano chi è il capo e come devono comportarsi. Ma ecco, tutto ciò funzionerebbe magnificamente se non esistesse una Comunità di coloni israeliani con le loro idee ed i loro progetti. Per i coloni, lo stesso Abbas, con tutto ciò che rappresenta, è inaccettabile, perché non hanno rinunciato al "grande Israele", cioè una terra senza popolo nel senso letterale del termine. È per ciò che Abigail Lieberman, il vice primo ministro israeliano, pensa che i palestinesi devono tutti "essere trasferiti" dai territori occupati e che esiste già uno Stato palestinese che si chiama Giordania. È il numero due del governo di Olmert. Israele non è dunque pronto ad affrontare i suoi coloni. Ed anche se domani Abbas vendesse i diritti della sua propria madre risponderebbero: "Non è sufficiente." Ciò che vogliamo è che ed i vostri cugini, zii, sorelle, fratelli e tutti prendano le loro borse e che partano per l’altro lato del Giordano. Allora, avremo una soluzione accettabile. Ci sono 530.000 coloni nei territori occupati e sono molto armati. Molti fanno parte delle sorveglianze frontaliere, cioè dell’elite militare israeliana. La società israeliana in generale, ed ancora meno il governo, non possono opporsi a loro perché sarebbe negare l’idea storica del sionismo, del ritorno sulla terra data da dio. È l’aspetto principale della società israeliana, ed anche se i palestinesi scaricassero Hamas e rinunciassero a tutti i loro diritti, resterebbe questo problema al centro della scena.

A proposito della recente manifestazione organizzata in memoria di Yasser Arafat a Gaza, i mass media designavano Hamas quale responsabile delle violenze e riportavano che membri di Fatah gridavano ai militanti di Hamas "sciiti!" Siete sciiti! "Non c’è un modo di trasporre nella politica locale il conflitto sunniti-sciiti che l’impero prova a creare nella regione?"

Prima di rispondere a questa domanda, voglio precisare questo: nel mondo sunnita, in Egitto ad esempio che è sunnita al 99 %, in Giordania, in Arabia Saudita, nello Yemen, in Marocco, in Algeria, in Tunisia ed anche in Malesia e nell’Indonesia, la personalità più popolare è Hassan Nasrallah, il dirigente di Hezbollah, il gruppo sciita libanese. È seguito, in termini di popolarità, dal presidente dell’Iran. Nel mondo sunnita! Negli ambienti popolari si intende, non fra i dirigenti politici. Eccetto il linguaggio problematico che utilizza Ahmadinejad, le sue opinioni sull’olocausto ad esempio sono inaccettabili. Se volesse realmente parlarne, allora avrebbe dovuto organizzare una cerimonia alla memoria delle vittime ed invitare gli ambasciatori europei a presentare le loro condoglianze ed anche iniziare a scusarsi per le crociate. Penso che negando elementi storici dell’olocausto, abbia giocato a favore degli europei anziché sfidarli e distinguere il mondo musulmano dalla storia europea. Penso che sia molto problematico e che sia un errore strategico da parte sua. Ma dopo avere detto ciò, Hassan Nasrallah e Mahmoud Ahmadinejad sono i più popolari per una ragione: sono stati capaci di articolare la sensazione popolare, della strada, del mondo musulmano ed arabo. Denunciano le contraddizioni nelle quali si trovano gli Stati Uniti e l’Europa, ricordano ogni volta che si parla di libertà che c’è un insieme che si chiama Israele che si basa sull’occupazione dei territori palestinesi. Rifiutano di accettare le richieste degli Stati Uniti di riconoscere il diritto di Israele ad avere un potere incontestato nella regione. Denunciano il fatto che, pur proseguendo i loro programmi nucleari, gli Stati Uniti e gli europei chiedono all’Iran di fermare il suo con il pretesto che Israele è molto vicino, e tuttavia nessuno parla di ciò che prepara Israele. Inoltre, Nasrallah ha vinto la guerra dell’estate scorsa. Eccetto forse agli occhi di alcuni a Washington e di alcuni commentatori di Fox News incapaci di riconoscere la realtà quando la vedono, Hezbollah ha inflitto una sconfitta nel Sud del Libano, i cui effetti psicologici sono molto più importanti della sconfitta limitata sul terreno. Israele non è più incontrastato nella sua capacità di infliggere il dolore. Il potere di Israele era incontrastato prima dell’estate 2006 nel senso in cui l’esercito israeliano poteva attaccare dovunque con i suoi aerei senza dovere soffrire alcuna perdita sul suo territorio. Lo sviluppo dei missili a breve e media portata di Hezbollah ha permesso di fare un uguale gioco in termini di capacità ad infliggere il dolore. In una parola, la gravità dei danni psicologici di questa battaglia ha trasformato Hezbollah in una forza più grande, un simbolo della sfida ad Israele nel mondo arabo e musulmano. Hassan Nasrallah è dunque la persona più popolare del mondo arabo e musulmano, sunnita e sciita. Per quanto riguarda le relazioni tra Fatah ed Hamas, è interessante notare che rappresentano in piccola scala la dinamica nel Medio Oriente ed a livello mondiale. Da un lato, Fatah rappresenta l’ "ancien régime" per i palestinesi. Gli ex dirigenti corrotti che lavorano all’interno del quadro delle elite del mondo arabo. Hanno assunto impegni all’interno del quadro israelo-americano-arabo sui conflitti e sul modo in cui la regione deve essere governata e diretta. Sono pronti ad accettare ogni aiuto finanziario per mantenere lo status quo. Di fronte, avete Hamas, che deve anche essere considerato in termini di classe. La forza di Hamas è nei campi profughi, negli strati più bassi della società. I dirigenti di Hamas vengono per lo più dalla striscia di Gaza che non possiede alcuna risorsa. Fanno parte della giovane generazione che vive sotto occupazione, non dei dirigenti della Tunisia come quelli di Fatah. Sono cresciuti chiamando ad un cambiamento nell’ambiente strategico.

Cosa pensate del "nuovo Medio Oriente" che propone l’amministrazione Bush e quale effetto ha ciò sul conflitto tra Hamas e Fatah?

Il "nuovo Medio Oriente" degli Stati Uniti è principalmente una continuazione del passato coloniale con nuovi "managers". Al contrario, Hamas rappresenta un’identità politica particolare. È a volte problematica, ma afferma che c’è un modo diverso, un atteggiamento diverso, una nozione diversa del Medio Oriente che dovrebbe appartenere al suo popolo. Ciò che è avvenuto in occasione della recente manifestazione alla memoria di Arafat a Gaza è sempre incline a varie interpretazioni. Ciò che è sicuro, è che c’è stato un tentativo di modificare il corso delle cose. La conquista del potere da parte di Hamas nella striscia di Gaza è stata considerata come un fallimento da Fatah che voleva riportare la striscia di Gaza sotto le sue insegne. Ma ciò non bastava: occorreva anche che il fallimento di Hamas fosse totale, per non lasciare che il nemico registrasse un successo. E questa necessità di vedere Hamas fallire nel suo governo ha una dimensione più ampia in Medio Oriente. L’Egitto fa fronte ad un forte movimento musulmano. Tutto segnala che se ci fossero elezioni oggi in Egitto, i fratelli musulmani guadagnerebbero voti senza dovere scendere nelle strade. In Giordania, elezioni si terranno l’anno prossimo ed ogni specie di manovre è stata già fatta per assicurarsi che la scelta della gente non sia rispettata. In Africa del Nord, quasi tutti questi i regimi fanno fronte ad una forte identità musulmana e se elezioni libere avessero luogo, l’islam politico vincerebbe. Hamas rappresenta la possibilità di vincere. Senza parlare del loro programma sociale o economico, sono riusciti a farsi eleggere in occasione di elezioni libere e democratiche. Nessuna violenza, non un solo morto durante le elezioni. E se avessero la possibilità di governare, romperebbero con l’apriorismo eurocentrico: improvvisamente, potrebbero pregare e governare. Nel pensiero europeo dal 17° secolo, il problema nel mondo musulmano è che continuano ad essere musulmani e che si aggrappano ad un testo, il corano, che non ha alcun valore. Dunque devono abbandonare il loro pensiero islamico e recuperare il loro ritardo rispetto al pensiero europeo. Il problema, è che non si può mai recuperare, perchè tutto ciò che si fa in questo caso, è trasformarsi in una cattiva imitazione del padrone. E creare una sensazione d’inferiorità nel mondo musulmano. Il conflitto tra Hamas e Fatah mostra ciò che potrebbe avvenire nel Medio Oriente in futuro. Anche l’impiego del termine Medio Oriente è molto problematico. È un termine fabbricato. Nessun abitante del Medio Oriente dice che è del Medio Oriente. Il termine è apparso nella letteratura negli anni cinquanta e sessanta. Prima, si poteva fare parte del mondo musulmano, di ciò che si chiama la penisola siriana o dell’ Africa-del-Nord. Anche l’identità che deriva da un termine politico è incline ad una contestazione tra Hamas e Fatah. Fatah ha scelto la definizione degli americani, degli Israeliani e dei dirigenti politici arabi. Hamas prova ad affermarsi o di riconfigurarsi, in risonanza con la strada, contro il colonialismo, denuncia il "nuovo Medio Oriente", contro i progetti americani nella regione. E quando Fatah utilizza il termine "sciiti" o "iraniani" contro Hamas, è per provare a privare Hamas della sua legittimità affermando che sono gli agenti di poteri esterni. Ma è altresì interessante notare che dicendo che i membri di Hamas sono "sciiti", cosa che non è peggiorativa – gli sciiti sono parte dei 1400 anni di tradizione islamica – provano ad utilizzare ancora una volta gli iraniani contro gli Arabi. C’è una vecchia rivalità tra gli Arabi ed i persiani. Dunque dicono "voi siete gli agenti degli iraniani", gli agenti di quelli che sono considerati come Hawari, cosa che nella terminologia storica islamica significa "coloro che si ribellano contro l’autorità religiosa". Dire "siete sciiti", è dire "voi avete fatto parte di quelli che si sono rivoltati contro i dirigenti legittimi del terzo califfato di Oman, come del quarto califfato di Ali." Dunque provano a mescolare il contesto politico attuale con commenti storici, teologici e religiosi per togliere ad Hamas i suoi riferimenti religiosi. Hamas è un movimento sunnita e non sciita e ciò che Fatah prova a fare è delegittimarli completamente dicendo che non sono più i custodi della rivoluzione ma soltanto gli agenti dell’Iran nella regione. E’ questo pone una questione: in Medio Oriente, di chi è meglio essere l’agente, degli Stati Uniti e di Israele o dell’Iran? Fatah dovrà rispondere.

A proposito della rivalità tra Hamas e Fatah, si sono viste migliaia di persone nelle strade per onorare la memoria di Arafat in un luogo in cui Hamas ha vinto le elezioni. Come possono allo stesso tempo manifestare il loro attaccamento ad Arafat e riconoscere Hamas come la nuova forza politica?

Penso che Yasser Arafat sia un simbolo nazionale. Attraversa le frontiere politiche. Poca gente sa che ha mosso i suoi primi passi presso i fratelli musulmani in Palestina. È stato membro dal 1947 fino alla fondazione del suo movimento, nel 1956 (alcuni lo situano nel 1958). L’essenziale dell’appoggio che ha ricevuto all’inizio proveniva da al-Lkhwan, il movimento dei fratelli musulmani. Più tardi, ha preso le distanze. Ma conservava un legame storico con i fratelli musulmani ed è forse ciò che gli permetteva di giocare sui due lati simultaneamente. Era padrone dell’equilibrio dei poteri. È una figura nazionale. Si può dire che è il padre della società politica palestinese, con i problemi che pone, e ci sarebbe di che parlarne. Gente di ogni affiliazione politica è uscita per onorare la sua memoria perché rappresenta quest’identità nazionale ed ha lavorato duro per essa. Avrebbe potuto diventare uno degli individui più ricchi del golfo. Era ingegnere, lavorava nel golfo in un’epoca dove nessuno aveva lavoro. Ciò andava già bene per lui. Ha lasciato ciò per lanciare il movimento rivoluzionario palestinese. Ha lottato durante una cinquantina di anni. Non è stupefacente che un grande numero di gente sia uscito per rendere omaggio a lui. Abbas e Fatah vogliono utilizzare la sua memoria dicendo: "difendiamo la sua memoria e la sua rivoluzione". Penso che Abbas si troverà in una situazione molto difficile perché Arafat ha detto "no" a Camp David. Dunque la memoria di Arafat è anche una memoria politica perché dicendo "no", ha stabilito un limite massimo e uno minimo. Abbas non può accettare ciò che Arafat ha rifiutato senza avere l’aria di vendere la sua memoria. Penso che Abbas sia pronto a firmare qualsiasi tipo d’accordo che gli garantisca il salvataggio politico a lui e a quelli che lo circondano. Fatah prova a rigenerarsi utilizzando Yasser Arafat come punto d’adesione. Mahmoud Abbas non può neppure raccogliere 10 membri della sua famiglia attorno a lui, ma se utilizza Yasser Arafat, potrebbe forse giungervi. La realtà politica che deve affrontare Fatah in Cisgiordania e nella striscia di Gaza, è che il cambiamento politico nella società palestinese ha già avuto luogo. Se si va a vedere tutte le elezioni nei territori occupati dal 1991 in poi e forse anche prima del 1988, con le prime elezioni, (si trattava d’elezioni di studenti e locali), ciò che si scopre è un movimento regolare che va dall’ OLP verso Hamas. A volte, Hamas era in coalizione con la FPLP e la FDLP contro Fatah. Questo cambiamento nella classe politica palestinese ha già avuto luogo. Ciò che Fatah prova a fare, è di impedirne la trasformazione completa. Ma è una battaglia persa, perché si sono posti a rimorchio degli Stati Uniti ed d’Israele. Ma gli Stati Uniti li scaricheranno alla prima occasione. Quanto agli Israeliani, la sola cosa che interessa loro, è un capo di piantagione, e non il membro di un movimento di liberazione. Infine, si sono messi anche a rimorchio dei Giordani, degli Egiziani e dei Sauditi. E così si installano in una struttura a livello locale ed internazionale che è già screditata. Direi che se gli Stati Uniti sono incapaci di proporre loro una soluzione giudiziosa il 27 novembre, i giorni politici di Fatah sono contati. Se non propongono nulla sul diritto al ritorno, sugli 11.000 prigionieri politici, su Gerusalemme per i palestinesi e sulle frontiere del 1967, non potranno ritornare ai palestinesi e dire: "sapete che, abbiamo firmato un accordo che somiglia ad una piantagione. Potete avere patenti di taxi, avrete il diritto a raccogliere le vostre immondizie, e nulla più”. Scommetto che gli Israeliani e gli americani non sono pronti a cedere su nulla. Gli Israeliani certamente non faranno concessioni per George Bush. È un’anatra zoppa che lascerà tra 11 o 12 mesi. Perché scommettere su di lui? Ciò che Bush vuole forse, riguardo ai suoi fallimenti, è entrare nella storia con un successo, qualunque esso sia. E se vuole attaccare l’Iran, ha bisogno di ciò. Non penso che gli Israeliani abbiano intenzione di offrire una strategia d’uscita agli USA, anche nella questione Israeliano-palestinese.

Note

Intervista di Claire Liénart (giornalista indipendente) e Ramon Grosfoguel (professore a Uc-Berkeley).

Hatem Bazian è un universitario palestino-americano. È professore nei dipartimenti di studi del Vicino-Oriente e di studi etnici all’università della California di Berkeley (UC Berkeley). Insegna al Boalt Hall School of Law, ed anche al UC Berkeley. Istruisce corsi sulla legge e la società islamiche, l’islam negli Stati Uniti, gli studi religiosi e gli studi del Medio Oriente. Oltre a Berkeley, il professore Bazian insegna anche studi religiosi al Saint Mary’s college della California ed è consulente del centro di religione, politica e mondializzazione del UC Berkeley e Zaytuna Institute. Originario di Naplouse, nella Palestina storica, è immigrato negli Stati Uniti per proseguire studi superiori dopo avere terminato l’istituto universitario ad Amman, in Giordania. Ha ottenuto una doppia licenza in relazioni internazionali ed in comunicazione nell’università dello Stato di San Francisco (San Francisco State University) pur preparando un corso in relazioni internazionali prima di installarsi al UC Berkeley per completare un dottorato in filosofia e studi islamici. L’editorialista conservatore David Horowitz considera il professore Hatem Bazian come uno dei professori più pericolosi degli Stati Uniti a causa di ciò che ritiene essere opinioni antiamericane

Fonte: Oumma.com