“incontri pericolosi sull’orlo della follia in un’avvizzita democrazia” di Oronzo Mario Schena

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Giorgia Meloni deve sicuramente essersi incontrata nel suo continuo girovagare non solo con Trump, (per la faccenda dei dazi e per portare, in seguito ad uno dei suoi numerosi “conati di pacifismo integralista”, le spese militari al 2% del nostro Pil), ma pure con Don Chisciotte. Come sia stato possibile, però, che nessuno abbia avvertito la Presidente, nonché donna, madre e cristiana ecc., della grave pericolosità e contagiosità della pazzia donchisciosciottesca?

Potrebbe essere stata, dunque, questa contagiosa pazzia a causare la fuoriuscita dai binari della “verità assoluta”, binari così consueti per la Presidente Meloni fino al punto da spingerla a dichiarare, ben oltre i confini della realtà e di ogni immaginazione: “Vogliamo essere ricordati come il governo che ha aumentato il lavoro – ha spiegato ieri in un’intervista all’AdnKronos – ridotto il precariato e messo al centro la sicurezza sul posto di lavoro”. La Presidente ha sicuramente dimenticato, per colpa d’uno sgambetto di Narciso quel detto che dice: “l’erba voglio non cresce neanche nel giardino del re”.

N.B.: Durante il soggiorno a Barcellona, uno sconosciuto apostrofa Don Chisciotte in questi termini:

Che il diavolo si porti Don Chisciotte della Mancia! (…) tu sei pazzo, e se lo fossi soltanto per conto tuo e dietro le porte della tua pazzia, il male non sarebbe poi tanto grave; ma hai il potere di far diventare pazzi e senza comprendonio tutti coloro che hanno contatti con te. E a prova del mio dire, basta guardare questi gentiluomini che ti accompagnano.

 

Se però René Girard con la sua teoria mimetica avesse avuto ragione, ci sarebbe da fare molta attenzione. La nostra Presidente dovrebbe guardarsi da mille cose, perché molti desideri nascono dall’imitazione ed il presidente Trump sarebbe una fonte infinita, una specie di vulcano in perenne eruzione. Pericolosi possono rivelarsi i desideri, per esempio, risvegliati dalla vista di un pezzo di formaggio o di un otre di vino o da una bottiglia champagne! Oltre il desiderio di riempirsi lo stomaco, però, si possono desiderare anche altre cose assai più pericolose. Ricordiamo che Sancio, dal momento in cui frequenta Don Chisciotte sogna un’ “isola” di cui essere governatore, vuole un titolo di duchessa per la figlia: desideri che non sono nati spontaneamente in quel brav’uomo di Sancio, ma gli sono stati suggeriti da Don Chisciotte.

 

Imito/desidero/quindi sono,

Secondo René Girard Non c’è nulla o quasi nei comportamenti umani, che non sia appreso, e ogni apprendimento si riduce all’imitazione. Se gli uomini, ad un tratto, cessassero di imitare, tutte le forme culturali svanirebbero. I neurologi ci ricordano di frequente che il cervello umano è un’enorme macchina per imitare. L’imitazione – insiste Girard – è “ l’intelligenza umana in ciò che ha di più dinamico”.

 

Tristano e Isotta come Meloni e Trump?

Il partito ideale dell’io è il partito di Narciso. La passione romantica è esattamente l’inverso di ciò che pretende di essere. Non è abbandono all’altro, ma guerra implacabile tra due vanità rivali.

L’amore egoistico di Tristano e Isotta, primi eroi romantici, preannuncia un avvenire di discordia. Denis de Rougemont analizza il mito con estremo rigore e scopre la verità che il poeta tiene celata: la verità dei romanzieri.

Tristano e Isotta come Meloni e Trump si amano l’un l’altro, ma ciascuno ama l’altro solo a partire da sé, non dall’altro. La loro infelicità trae così origine da una falsa reciprocità, maschera di un doppio narcisismo. Questo, a tal punto, che in certi momenti si sente affiorare nell’eccesso della loro passione una specie di odio dell’amato”.

 

https://www.quirinale.it/elementi/111002

 

Il lavoro non è una merce.” “Il lavoro è libertà.” “Anzitutto libertà dal bisogno”:

Ma andate voi a capire perché mai si decide di mettere in fila questo trio di “menzogne evidenti”, che non sarebbero affatto romantiche nell’accezione girardiana, e tantomeno delle verità romanzesche, per continuare col titolo del primo libro in cui René Girard pone le basi della “theorie mimétique” e del sistema del desiderio. Il quale desiderio non sarebbe altro che imitazione (desideriamo sempre il desiderio dell’altro), l’imitazione è (continua Girard) un’azione volontaria di chi imita, mentre la mimesis è inconsapevole, involontaria, misconosciuta e nascosta. E tutta da disvelare: questa è la posta in gioco nella lettura romanzesca di Girard.

Girard, però, almeno per chi scrive, non risulta d’aiuto nel disvelare il trittico mattarelliano, anche perché l’intervento presidenziale, a voler essere dei giudici giusti e severi, non potrebbe essere etichettato come “letteratura”.

Una domanda, però, ci ronza nella testa: Perché mai si vuol tenere in quest’abiezione di fede tanta povera gente? Alla fin fine si finisce, si sia coscienti o  meno, col fare o far fare bottega ad altri su quell’abiezione. Sarà questo il caso del nostro Presidente? O, molto semplicemente, trattasi per il suo incedere apodittico, dell’apoteosi del teatro dell’assurdo? O è il tragico quotidiano che diventa il disonesto quotidiano? Ebbene sì, potrebbe anche trattarsi d’un ronzare senza posa nella testa di pensieri oziosi, tutti quanti alla ricerca d’una propria risemantizzazione, segno indubbio e preoccupante d’una alterazione organica delle funzioni cerebrali.

Servirebbe, invero, un’agnizione cioè quell’arrivo del momento in una trama o in una storia, ma la nostra potrebbe anche essere o diventare una tragedia, in cui il personaggio principale (ovvero il popolo italiano) compie una scoperta sorprendente che fa luce su un determinato evento e lo aiuta a comprendere il tutto in modo nuovo e più completo. Il popolo italiano sembra, invece, prigioniero d’una goffaggine e di una smemoratezza, che trova comunque compagnia nell’Europa. Il fascismo? Certo anche il fascismo andrebbe storicizzato ma “cum grano salis”.

La politica italiana (come le altre) da Portella della Ginestra in su è stata fatta di nulla, ma all’ombra di questo nulla è successo quasi di tutto, dalle turpitudini del Palazzo alle tante “giornate esplosive”, dal continuo scricchiolio delle istituzioni, sempre sul punto di sgretolarsi, mentre le schiene dei deboli si sgretolavano nel prendere un sacco di botte, con buona pace dei guardiani costituzionali, sempre troppo miopi o troppo distratti. E come dimenticare Federico Umberto D’Amato, capo dell’ufficio affari riservati del ministero dell’Interno, tessera 1643 della loggia massonica, come risulta da numerosi riscontri e dalle dichiarazioni al giudice Salvini di Vincenzo Vinciguerra, autore con Carlo Cicuttini dell’attentato di Peteano (tre carabinieri uccisi e uno ferito il 31 maggio 1972) e militante di Ordine nuovo e Avanguardia nazionale?

 

Si diceva più sopra che René Girard non risulta di alcun aiuto (sempre a parere di chi scrive) nel disvelamento della prosa mattarelliana.

  • René Girard (Violenza e Religione p. 64):

L’incipit dei Vangeli non è un inizio qualsiasi, bensì l’offerta del Regno di Dio: dobbiamo scegliere tra un mondo di violenza che ci porterà alla distruzione finale e la pace che Gesù definisce “Regno di Dio”. Solo Gesù accetta l’offerta che noi rifiutiamo, sceglie l’alternativa che cancella la violenza, e alla fine viene ucciso. Gesù non è solo il figlio di Dio, ma incarna anche l’intero processo: è l’unico che può farlo, perché è figlio di Dio. E allo stesso tempo, per l’umanità la sua morte è indispensabile perché Dio vuole salvare il mondo e deve esserci qualcuno che merita di ottenere la salvezza per tutti noi. Gesù non è solo il figlio di Dio (…) è l’unico che può farlo, perché è figlio di Dio. (Più chiari di René Girard si muore!). Prendere o lasciare. Girard è fatto così, lui procede di apodissi in apodissi indimostrabili, e chi non lo segue, peste lo colga!

 

  1. Freud nel suo “il disagio della civiltà scrive:

chi possiede scienza ed arte ha anche religione;

chi non possiede quelle due, abbia la religione!

 

Resta l’ammonimento biblico, dove due dei dieci comandamenti riguardano l’interdizione non già di un’azione ma di un desiderio: “non desiderare la donna d’altri, “non desiderare la roba d’altri. Freud, da cui nacque(suo malgrado) tutta una vulgata sulla liberazione del desiderio, nella sua opera-testamento, “Il disagio della civiltà”, parla del desiderio non come qualcosa che debba essere liberato dalle pastoie della cosiddetta vita civile, ma, al contrario come una forza pericolosa:

il problema fondamentale del destino della specie umana a me sembra sia questo: se, e fino a che punto, l’evoluzione civile degli uomini riuscirà a dominare i turbamenti della vita collettiva provocati dalla loro pulsione aggressiva e autodistruttrice”.