Intervista a Gianfranco La Grassa di Giovanna Canzano

Politicamente corretto

Arianna editrice

 

Canzano I.  Governo tecnico, ma, non troppo, visto che in effetti tutti i ministri del Governo Monti, non sono  ne politici, né diplomatici, né medici, ne agronomi etc., ma sono solo economisti. Tutti i problemi sono risolvibili da ‘esperti’ di banche?

La Grassa. Non confondiamo gli economisti con gli esperti di banche. I grandi economisti, anche quelli delle scuole e correnti di pensiero dominanti, non sono dei semplici esperti di banche. Inoltre, tutti sono caduti nella trappola del governo dei tecnici. Questi sono tecnici come io sono eschimese. Sono convinto che, fino all’ultimo, si fosse abbastanza incerti se servirsi ancora di Berlusconi (che nel 2011 è stato complice di tutto ciò che hanno voluto gli Usa di Obama, a partire dall’infame aggressione alla Libia) oppure cambiarlo, dato che la “sinistra”, dopo aver inoculato per vent’anni il virus dell’antiberlusconismo (nessun progetto è stato più avanzato salvo l’abbattimento, in qualsiasi modo, di costui), non poteva rinunciare a questo obiettivo, l’unico rimasto a cialtroni senza più alcuna idea costruttiva. Si è alimentato l’assurdo terrore della crisi finanziaria, dello spread, per portare al governo chi poteva avere i voti di entrambi gli schieramenti e svolgere quindi, in tutta tranquillità e con grande consenso, una politica di pieno servilismo verso gli Usa di Obama. Non abbiamo quindi a che fare con tecnici, ma con veri camerieri, anzi sguatteri, della potenza ancora predominante, che tuttavia non gode di buonissima salute e si destreggia seminando dappertutto il caos e il pantano. Sarebbe interessante capire meglio come questo governo corrisponda pure ad un possibile nuovo compromesso tra Usa e Chiesa cattolica, ma si aprirebbe qui un grosso discorso (reso forse più appetibile dalle ultime notizie, che rivelerebbero uno scontro in atto all’interno del Vaticano; meglio attenderne gli eventuali esiti). In ogni caso, la vera crisi è quella reale, che si aggrava e si farà pungente già nel corso dei prossimi due anni. Vedremo come se la caveranno; altro che Borsa e spread!

Canzano II.  Come può un economista essere ‘tecnico’ se per tecnico intendiamo una scienza esatta?

La Grassa: I tecnici non sono scienziati, tanto meno seguaci di una scienza esatta. I tecnici sono “specialisti” (spesso scadenti come lo sono gli attuali nostri governanti) in determinati rami che fanno capo a date scienze. Un otorinolaringoiatra (che spesso oggi si intende soprattutto o di naso o di gola o di orecchio) non credo si possa considerare uno scienziato della medicina, la quale a sua volta non è scienza esatta. Nelle scienze sociali, ovviamente, l’esattezza ce l’hanno in testa solo gli “accademici” che, per andare in cattedra, devono scrivere saggi del tutto inutili, e lontanissimi da una qualsiasi realtà, in cui però si chiede loro di manovrare formule matematiche, tabelle, statistiche varie (e spesso cervellotiche), oltre a dover ormai scrivere rigorosamente in inglese. Non parliamo più di scienza, ma di “stregoni in salsa moderna”; e mi scuso con gli stregoni veri che, inseriti in altre culture, avevano una reale funzione sociale utile, pur essendo ritenuti imbroglioni da arroganti “bianchi”, ignoranti e presuntuosi. Questi tecnici governativi sono appunto gli “accademici”: non sanno gran che, non conoscono il mondo reale (al massimo un po’ quello imprenditoriale, soprattutto finanziario), e viaggiano nelle loro massonerie internazionali. Purtroppo, sono diretti da centri strategici (dotati pure, all’occorrenza, di potenza militare) che, mascherandosi dietro a loro, stanno portando ad autentici disastri in tutto il mondo. Prepariamoci (non in tempi brevissimi) a scontri di grande ampiezza, pur se avranno, credo, caratteristiche diverse, ma non meno tragiche, delle due guerre mondiali del XX secolo (del resto assai differenti tra loro come conduzione strategica, armi usate, ecc.).

Canzano III. Con questo Governo l’Italia è nelle mani del potere economico europeo?

La Grassa. E’ nelle mani del potere politico degli Stati Uniti. Le polemiche antitedesche, ecc. servono a stornare l’attenzione dall’ignobile, e piatto, servilismo verso il paese mondialmente ancora “centrale”. Quella parte dei “berluscones”, oggi convertitasi al montismo per gli elogi (demenziali nel loro eccessivo sbrodolamento) di Obama e Clinton al loro “cameriere” andato a Washington, non sta più nella pelle pensando di essere recuperata prossimamente se si fa vedere più serva dei servi. Quella parte che invece ancora mugugna e non si è del tutto convertita al montismo (ma lo farà presto) si scatena contro Sarkozy e Merkel (notate bene; non proprio contro Francia e Germania) perché crede scioccamente di potersi proporre a Obama come ammucchiata dei migliori sgherri in Europa. Alla fine anche questa parte rientrerà completamente nei ranghi.

Canzano IV. Demonizzando come corrotti e ladri la classe politica italiana, si è, senza ricorrere a metodi antidemocratici, azzerato la politica e i politici italiani. Cioè  è stato tolto alla politica dignità e professionalità utilizzando semplicemente l’arma che oggi conta di più: la stampa e, in altri casi i giudici. Come si può ristabilire una nuova classe politica che soddisfi tutti?

La Grassa. Nessuna classe (così denominata impropriamente, a mio avviso) politica può soddisfare tutti. Nemmeno è probabile che si renda conto degli interessi di lungo o anche medio periodo di un paese, che è nel contempo un sistema economico (parte di una più vasta rete di rapporti tra diversi ceti sociali). E’ difficile stabilire percorsi precisi per la formazione di gruppi in grado di sviluppare la politica più favorevole agli interessi di un paese, di un dato sistema sociale nazionale; intendendo per “nazione” la maggioranza dei ceti sociali i cui rapporti costituiscono quel sistema. In ogni caso, nell’attuale fase storica, credo che il primo criterio da seguire per il proprio orientamento sia la conquista di un minimo di autonomia di tale sistema o paese. Si deve saper giostrare tra le contraddizioni di più “potenze” (alcune ancora in pectore, ma che si faranno via via valere), invece di appiattirsi sulla politica di supremazia mondiale di una sola, oggi rappresentata dagli Usa, da eleggere come nemico e ostacolo principale ad un minimo di riordino dei rapporti internazionali. Tale potenza agisce in modo criminale. Questo è tuttavia pressoché normale; nella storia del mondo non credo si sia mai visto qualcosa di diverso. I potenti sono sempre prepotenti e usano mezzi delinquenziali per sopraffare gli altri. Quindi, per l’appunto, la resistenza e il non restare succubi di nessuno di loro, ma anzi destreggiarsi fra i loro contrasti con una propria autonomia, è il primo compito del momento, almeno credo. Poi si vedrà.

Canzano V. Se i ‘tecnici’ hanno dei limiti nella ‘gestione’ politica del Paese Italia, può venire in loro ‘aiuto’ la burocrazia, e, come ci ricorda la storia di non tanti anni fa, nei paesi dove i burocrati erano ‘potenti’, non regnava certo né la democrazia né il popolo aveva diritto di voto.  In Italia, con questo ‘Governo tecnico’, si corre lo stesso rischio?

La Grassa. Le burocrazie sono semplicemente i “servitori dello Stato”. Bravi o pessimi che siano, sono i dirigenti di processi lavorativi svolti in apparati statali che apprestano determinati servizi detti “pubblici”, per la “collettività”. Hanno idee politiche, ma quanto più bravi sono tanto più devono metterle tra parentesi per funzionare sulla base delle indicazioni dei gruppi politici al comando in quel dato periodo. E’ ovvio che, quando la politica è assente, essi sembrano supplire al lavoro dei politici. Il problema è: perché la politica è ormai assente in Italia? Come mai è sparita soprattutto dopo il crollo dell’Urss, la distruzione di Dc e Psi operata per via giudiziaria con il tentativo di consegnare il governo in mano ai sedicenti (euro)comunisti, che già erano andati negli Usa (1978) a preparare il cambio di campo con il viaggio (“culturale”; sic!) di un loro alto esponente ancor oggi “molto in voga”? La classe (non) dirigente italiana economico-finanziaria ha fatto di tutto, e adesso accelera, per rendere il nostro sistema socio-economico puramente complementare a quello statunitense. Ciò risponde agli interessi parassitari di imprenditori di passate fasi dell’industrializzazione, il che comporta pure l’espansione abnorme della frazione finanziaria della classe in questione. In casi simili, la cosiddetta “classe” politica si annulla nel paese ridotto di fatto a parte (subordinata) di un altro sistema; la politica è in realtà guidata dai gruppi dominanti in quest’ultimo (quelli statunitensi, insomma). Ecco che allora, nel paese reso subordinato in quanto parte di un altro sistema, potrebbero venire in primo piano i “burocrati”, ma solo perché la politica proviene da un luogo lontano e poco visibile agli abitanti di un’area che ha subito tale processo di “semicolonizzazione”. Tuttavia, non mi sembra che in Italia si sia ancora prodotto un simile fenomeno. Siamo in pieno processo di completa subordinazione (agli Stati Uniti), ma non lo si deve far constatare con troppa evidenza; il finto governo degli inetti tecnici serve precisamente a questo scopo di nascondimento della realtà. Sono loro il tramite dei comandi del padrone (e padrino) statunitense. Ed è per questo motivo che tale governo (e tale coperta operazione di “semicolonizzazione”) non potrebbe funzionare senza la complicità del vigliaccone di Arcore, che ha tradito tutto e tutti per salvare “qualcosa”: Bossi dice aziende e libertà personale, io propenderei anche per la pellaccia (sua e forse non solo sua). Non basta la sinistra, non almeno finché Berlusconi non abbia attuato fino in fondo il suo “suicidio” politico e abbia sfasciato il Pdl per sospingerne una parte consistente, assieme a pezzi del Pd, verso il cosiddetto “centro”, creando così una palude politica che “istituzionalizzi” e renda permanente quella attuale, solo temporanea e transitoria. Importante per i gruppi sociali parassitari di cui detto sarà anche l’elezione di un capo dello Stato che continui l’opera dell’attuale.

Canzano VI. Le banche. Tremonti ha rifiutato di nazionalizzarle, e, adesso noi rischiamo il default, mentre in Inghilterra con la nazionalizzazione hanno allontanato questo rischio. Il ‘Governo Tecnico’ farà mai la proposta di nazionalizzarle come ha fatto l’Inghilterra allontanando questo pericolo?

La Grassa. Non credo che il problema sia direttamente la nazionalizzazione o meno delle banche o di qualsiasi altra impresa. In specifiche circostanze la nazionalizzazione rende più facile l’attuazione di strategie particolari condotte da determinate imprese, una volta che queste siano poste sotto il diretto controllo dei gruppi politici che governano il paese. Decisivo è però appunto l’indirizzo politico generale di tali gruppi. Rinvio quindi alle due risposte precedenti. Se manca in Italia una classe realmente dirigente, capace di esprimere vertici politici che svolgano un’azione internazionale da posizioni di autonomia, la nazionalizzazione non cambia in nulla la situazione di dipendenza o addirittura “semicoloniale”. Se invece la nazionalizzazione è una manovra compiuta per aggirare certi ostacoli frapposti dalla nostra classe imprenditoriale parassitaria (i sedicenti “poteri forti”), affidando la direzione di aziende in settori strategici a specifici gruppi o personaggi di tipo manageriale (facciamo l’esempio di Mattei), allora essa può servire a superare detti ostacoli. All’origine ci deve però sempre essere una politica nazionale di un certo tipo (autonomo), ed è dunque necessaria la presenza di una forza politica in grado di opporsi all’imprenditoria parassita. Nel dopoguerra, si creò una situazione speciale (i “due campi”, il pericolo del comunismo, ecc.) per cui un partito cattolico, pur sempre filo-atlantico e anticomunista, si impadronì del governo non però in perfetta simbiosi con gli ambienti industrial-finanziari italiani, ancora arretrati e profondamente reazionari, guidati dalla Fiat (ambienti fondamentalmente “monarchico-sabaudi”, quindi all’origine di quel falso e opportunistico antifascismo, che tradì l’8 settembre e ha sempre ricoperto un ruolo specialmente antinazionale). Ci furono frizioni e “ruggini” tra le due parti, di cui poté beneficiare un Mattei e altri alla direzione dell’Iri, ecc. Oggi, la situazione è decisamente peggiore. Occorrerebbe un rivolgimento molto radicale (diverso certamente, ma non meno profondo di quello che faceva paura ai filo-atlantici nel dopoguerra con riferimento al partito comunista) per ridare fiato ad una politica anche minimamente nazionale. Quindi, bisogna intendersi bene quando si parla di nazionalizzazione. Non esiste la “magia” delle parole; qui non c’è nominalismo che tenga, occorre il massimo realismo.

Canzano. Leggo dal profilo della sua pagina facebook: “Orgoglioso di essere stato comunista, un’epoca adesso conchiusa. Pensiero di derivazione marxista, che cerca di interpretare la nuova epoca”. Può dirmi qualcosa di più?

La Grassa. Più che orgoglioso, diciamo che non mi vergogno né pento minimamente di esserlo stato e resto soddisfatto della scelta effettuata allora. Dico orgoglioso quasi fosse uno “sputare in faccia” a coloro che blaterano di “crimini del comunismo”, un vero nonnulla di fronte a quelli perpetrati dai vari capitalismi nella loro plurisecolare storia. Anzi, tutta la storia umana è caratterizzata da massacri e crimini di tutti i generi; il sangue sembra essere il concime preferito da chi intende fertilizzare il campo sociale per renderlo adatto a “nuove coltivazioni”. Sono divenuto abbastanza presto critico del “comunismo” così come lo intendevano coloro che parlavano di “costruzione del socialismo”, e la critica si è andata progressivamente approfondendo nel corso di decenni. Da molti anni ormai considero il comunismo un processo storico finito. Comprendo la nostalgia e la difficoltà di abbandonare certi orientamenti da parte di schiere via via più esigue di vecchi “militanti”. Disprezzo alcuni vertici di partitelli pseudocomunisti, che considero mestatori alla ricerca di qualche sacca di voti in cui pescare per continuare a vivere alle spalle dei poveri gonzi. Ritengo il marxismo, in quanto tale, da consegnare alla storia del pensiero; non più però di quanto lo sia pure il liberismo e altre ideologie ancor oggi correnti tra le “classi dominanti”. Cerco l’uscita dal marxismo, tenendo però conto che questo è stato il mio background culturale di una vita; se non voglio librarmi in assenza di gravità, volteggiando per aria senza costrutto come una gran parte dell’intellettualità odierna (da circa 30-40 anni a questa parte), da lì debbo pur sempre prendere le mosse. Tuttavia, lo ripeto, sapendo che il marxismo appartiene alla storia; va quindi utilizzato in tal senso, così come si utilizzano sempre i grandi pensatori del passato, non certo allo scopo di “apprestare ricette per la cucina dell’avvenire”.

BIOGRAFIA (CENNI)

Nato nel 1935. Dopo gli studi superiori, lavora nell’industria (paterna) per alcuni anni. Si laurea a Parma in Economia con una tesi sulla modellistica di sviluppo e i problemi del dualismo economico. E’ prima assistente e poi docente di Economia nelle Università di Pisa e Venezia fino al 1996. Nei primi anni di insegnamento all’Università ha seguito diversi corsi di specializzazione, fra cui quello alla SVIMEZ sui problemi dello sviluppo economico. Nel 1970-71 è a Parigi dove segue Charles Bettelheim, i suoi corsi su Calcolo economico e forme di proprietà e, più in generale, la “scuola” althusseriana. Dal 1953 al 1963 è stato assai vicino al Partito comunista italiano; se ne staccò per dissensi teorici e politici, in specie relativi al “socialismo reale”, allo schieramento filosovietico del Pci, seguito poi dal progressivo spostamento di campo in senso filo-capitalistico. Si è mosso a lungo nella composita nebulosa politica che si situava alla “sinistra” del PCI. Oggi si sente sciolto da legami con i vari partiti e gruppetti politici esistenti e scrive sul blog e sul sito Conflitti e strategie. Ha scritto oltre 50 volumi (tra individuali e collettanei) e pubblicato innumerevoli articoli su varie riviste italiane e straniere.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Gli strateghi del capitale (2006) e Finanza e poteri (2008) con la Manifestolibri; Tutto torna ma diverso, Mimesis 2009; Due passi in Marx (per uscirne), Il Poligrafo (Padova 2010), Oltre l’orizzonte, Besa editrice (Lecce 2011). Poi i saggi pubblicati nel sito di Conflitti e strategie durante il 2011 (da Panorama teorico a Puntualizzazioni teoriche).