LA FINE DEL DISPOSITIVO LIBERISTA

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Vladimir Putin ha dichiarato al Financial Times che l’idea liberale ha esaurito il suo scopo. Questo è vero ma solo in parte. Non l’idea liberale e nemmeno le teorie liberal-liberiste sono completamente esaurite, piuttosto, come scrive Corrado Ocone, in un articolo su formiche.net, è “il dispositivo liberal-liberista”, derivante da queste, ad essere definitivamente degenerato, tanto da dover essere combattuto (attualmente attraverso una battaglia culturale più tardi anche in altra “maniera”) all’ultimo sangue. Dagli autori e dalle categorie liberali abbiamo ancora molto da imparare. Così come abbiamo ancora molto da apprendere dalla scienza marxiana, dalle sue acquisizioni e dai suoi errori previsionali. Tante volte si è sottolineato che solo attraverso lo studio di Marx è veramente possibile comprendere perché il comunismo non si è mai affacciato in nessun luogo, benché molte formazioni sociali si siano definite comuniste. Secondo la stessa lettera di Marx il comunismo è impossibile (perché le condizioni di “possibilità” che egli aveva immaginato non si sono concretate) ed oggi può esistere solo reazionariamente nella testa di alcuni rimasugli di sbandati, come utopia degradata a sciocco umanesimo antiscientifico. Perciò abbiamo sempre rintuzzato gli anatemi degli stolti che hanno collegato il pensatore di Treviri ai gulag o a stermini vari avvenuti in nome del suo apparato concettuale.
Ugualmente, respingiamo oggi l’idea che i teorici del liberalismo-liberismo siano responsabili per le derive globalistiche o mercatistiche che hanno devastato buona parte del pianeta. Studiare liberali e liberisti, da Croce a von Hayek, avrà sempre una certa utilità, sia perché è bene conoscere il nemico, sia perché il nemico ha sempre una diversa visione delle cose da offrire. Ora però, quel che davvero non si deve risparmiare in una lotta serrata, senza esclusione di colpi, è l’altra faccia del liberalismo, quella di una democrazia fasulla la quale occidentalizzandosi, cioè americanizzandosi, ha proiettato fattori patogeni di sudditanza nei contesti dipendenti dallo strapotere a stelle e strisce. Le nostre democrazie, come ho scritto altrove, sono affette da una falsa ideologia universalistica che rappresenta il concreto interesse, non di tutti, ma di una nazione o area egemone in particolare. La democrazia e la sua sorella libertà sono figurazioni “razionali e universalmente valide” di interessi specifici che si traducono in una maggior subordinazione di chi si piega a detto sistema, soprattutto nella presente epoca di incipiente scoordinamento geopolitico. La democrazia è un cavallo di Troia che gli statunitensi hanno esportato ad ogni latitudine, con la persuasione o la guerra. Scrive La Grassa: “la democrazia è quel regime dei dominanti, nel quale il popolo (la stragrande maggioranza dei dominati) viene chiamato ogni tot anni ad eleggere i rappresentanti (nella sfera politica) di coloro che lo opprimono e sfruttano. Lo stesso Lenin considerava la Repubblica democratica “borghese” (poiché a quell’epoca esisteva ancora, per quanto fosse ormai arrivato al suo “ultimo stadio”, il capitalismo borghese) il migliore involucro formale della reale “dittatura” della borghesia: dittatura di classe con un significato diverso da quello in uso presso tutti quelli che sono soltanto studiosi, formalisti, di politologia e diritto, autentici ideologi dei dominanti, trattati quali specialisti, anzi “scienziati” (figuriamoci!)”.Considerato lo stato di sottomissione dagli Usa dei suoi satelliti europei e la longue durée democratica che da un pezzo plasma simili società non sarà assolutamente possibile divincolarsi dal dominio della potenza d’oltreatlantico attraverso i riti elettorali. Sono i suoi cerimoniali. Quest’ultimi riproducono massonerie parlamentari che non vanno mai contro gli Usa. A volte si travestono di sovranismo, come recentemente accaduto, ma esclusivamente perché questa è la nuova parola d’ordine del trumpismo, da intendersi quale mutamento strategico principiato in America dopo le difficoltà dell’ultimo quindicennio che hanno decretato la fine del monocentrismo a stelle e strice. E’ necessario, invece, un fattivo decisionismo da parte di autentiche élite nazionali, in grado di coinvolgere la popolazione con forme di partecipazione diversa dalle votazioni, al fine di rompere la gabbia d’acciaio dell’atlantismo. Piuttosto, in passato, sono state proprio le dittature ad aver trovato metodologie di trascinamento delle masse nell’arena politica, molto più attive e dinamiche della passiva liturgia delle urne, laddove occorreva liberarsi da condizionamenti esterni ormai troppo pesanti. Nel frangente in corso, con l’avvio del multipolarismo, si ripresentano necessità speculari. Quando è la libertà ad opprimere i popoli, i popoli hanno il dovere di opprimere la libertà.
Ancora più cogente, considerati i tempi, è il pensiero elaborato da La Grassa secondo cui la cosiddetta dittatura non è il risultato di una decomposizione della democrazia ma il risvolto di un differente decisionismo, nascente in contesti storici determinati, in cui recupero della potenza nazionale e rafforzamento complessivo del Paese, in un clima di multipolarismo e policentrismo, divengono fattori centrali. In alcune epoche è possibile “parlamentare” data la stabilità internazionale, in altre, si deve agire tempestivamente per anticipare le mosse “resistenziali” di un ordine in progressivo scollamento. In ogni caso, il popolo non governa mai e mai governerà perché la politica è soprattutto serie di mosse strategiche, dunque coperte, segrete, per assumere la preminenza. I liberali odierni, che ululano contro i totalitarismi sono antistorici, vittime di una cultura del piagnisteo ipocrita che nasconde i guasti propri con l’enfatizzazione di quelli altrui. La democrazia è altrettanto assassina, subdola, manipolante e intrigante di qualsiasi altro sistema statale. Allora sì, una dittatura (o altro metodo meno “dispersivo” di azione), che punta alla solidità dello Stato, è sicuramente preferibile ad una democrazia asservita ad interessi stranieri.
E’ quello che Putin vuole probabilmente segnalare con le sue parole.