LA GIUNGLA DELLA PRECARIETA’ di M. Tozzato

 (a seguire, Marchionne: Ritorno dal futuro di G. Duchini)

 

Il 29.11.2007 è stato diffuso un comunicato stampa riguardante l’indagine Isfol (Istituto per lo Sviluppo della Formazione professionale dei Lavoratori) PLUS , realizzata nella seconda metà del 2006 su indirizzo della Direzione Generale Mercato del lavoro del Ministero del Lavoro e con il contributo del Fondo Sociale Europeo su un campione di oltre 40.000 individui. Il titolo del comunicato è: Il lavoro atipico tra forma e sostanza e consiste sostanzialmente in un breve commento  dei risultati dell’indagine statistica effettuata.

All’inizio si afferma :<<Il lavoro dipendente a termine complessivamente rappresenta poco meno del 10% dell’occupazione, di cui quasi la metà è costituita dai contratti a tempo determinato.>> I contratti a tempo determinato sono quelli che a tutt’oggi, prima della prevista definitiva approvazione del provvedimento sul Welfare, sono regolati dal D.Lgs 368/2001 adottato in attuazione delle direttive europee e che per la prima volta in Italia ha sancito, in maniera esplicita, la <<legittimità dell’apposizione del termine alla durata del contratto di lavoro subordinato, a fronte di “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”>>. Si tratta di una normativa, quindi, antecedente di un paio d’anni rispetto alla cosiddetta “Riforma Biagi” del mercato del lavoro. Le altre tipologie di lavoro dipendente a termine si distinguono in <<apprendistato, contratto d’inserimento, contratti di formazione lavoro e lavoro intermittente. Leggermente inferiore l’incidenza del lavoro interinale e degli stage (retribuiti). Trascurabile l’uso del job sharing (lavoro ripartito). L’incidenza di quasi  tutte queste forme contrattuali triplica tra i giovani.>> Per quanto riguarda le forme atipiche del lavoro autonomo, con incidenza media complessiva  del 5,7 %, si fa invece riferimento a tipologie quali le <<collaborazioni coordinate e continuative, quelle a progetto e occasionali>> e anche <<in questo caso la percentuale quasi raddoppia tra i giovani>>. Il comunicato continua con l’affermazione che i dati statistici <<non sono in grado di rendere esaustiva l’analisi del fenomeno occupazionale in quanto non tengono conto dei casi di “falso positivo”, ossia le posizioni di chi formalmente appartiene ad un aggregato lavorativo, ma sostanzialmente svolge un’attività in maniera difforme da quanto previsto dall’istituto contrattuale usato. Sono molteplici, infatti, i casi in cui la forma contrattuale e la natura effettiva dell’occupazione svolta non coincidono. Un caso emblematico è quello dei finti collaboratori: essi sebbene formalmente si debbano attribuire al lavoro autonomo, sovente svolgono mansioni ed erogano prestazioni sostanzialmente del tutto analoghe a quelle di un dipendente.>> In effetti per valutare concretamente questo fenomeno bisogna usare degli indicatori che ci permettano di coglierne le dimensioni e la natura come – così viene proposto nel comunicato – quelli che possono essere definiti “vincoli di subordinazione. I co.co.co, i co.co.pro., i collaboratori occasionali e le partite IVA possono trovarsi in condizioni che vanno dal “contratto imposto” alla monocommittenza (datore di lavoro esclusivo); in altri casi abbiamo l’obbligo  di <<attenersi ad un orario giornaliero>> oppure la necessità di usare << strumenti dell’azienda presso cui sono impiegati>>. Anche quando si forniscano prestazioni per diversi datori di lavoro è molto frequente il caso in cui la retribuzione dipenda fondamentalmente dagli accordi contrattuali mantenuti con il datore di lavoro che potremmo definire “prevalente”. E’ molto interessante anche il dato statistico dei lavoratori autonomi atipici che preferirebbero <<diventare dipendenti a tempo indeterminato>>: il 79% dei co.co.pro., il 73% dei co.co.co., il 58% dei collaboratori occasionali e il 24% delle partite IVA. Il comunicato prosegue con la considerazione che in presenza di diversi <<fattori di subordinazione>> si possa ritenere plausibile <<considerare questi autonomi come parasubordinati (pari a circa il 5,6%)>>. Viene inoltre rilevato che un <<altro esempio di possibile “falso positivo” è il caso del part-time , che potrebbe essere sia una condizione volontaria ( e pertanto potrebbe costituire uno strumento di conciliazione tra vita lavorativa e familiare) sia non volontaria ( e come tale potrebbe celare una condizione di sottooccupazione)>>. Tirando le somme il comunicato stampa conclude con la valutazione quantitativa dell’atipicità del lavoro in Italia <<al netto dei possibili “falsi positivi”>>. Risulterebbero così <<quasi 3,5 milioni (ovvero il 15,3% dell’occupazione) gli individui coinvolti in forme di lavoro atipiche (che includono i dipendenti a termine – compresi gli apprendisti – e i parasubordinati). A questa atipicità base va aggiunta, secondo alcuni analisti, la quota di part-time involontari, pari al 2,6% dell’occupazione>>.

Mi rendo conto che questa mia sintesi del documento dell’Isfol avrebbe la necessità di essere completata con un ampliamento delle considerazioni riguardo alla normativa, alla terminologia adottata e con l’ esplicitazione e descrizione articolata delle forme di impiego e di lavoro qui citate. In questa occasione il mio unico scopo era però quello di tentare di corroborare le considerazioni che La Grassa e Petrosillo avevano diverse volte avanzato riguardo al fatto che gran parte del lavoro autonomo lo è soltanto in termini “formali” e che anche l’indagine sociologica empirica presenta, soprattutto osservando lo sviluppo tendenziale prevedibile, come del tutto logico, auspicabile e possibile l’avvicinamento anche “politico” delle due grandi aggregazioni del lavoro autonomo e di quello dipendente. Naturalmente sarebbe  necessario, per questo scopo, l’intervento di agenti strategici che fossero in grado di contrastare le manovre che la grande finanza e l’industria parassitaria e decotta adotta per far trionfare il consueto divide et impera,  mantenere la sua posizione   (sub) dominante e garantirsi contro l’emergere di forze economico-sociali che ne possano minare l’egemonia (forze che presumibilmente, in questa fase, tenderebbero a rivoluzionare lo status quo   comunque dentro un contesto ancora integralmente capitalistico).

 

Mauro Tozzato                                    11.12.2007

MARCHIONNE: RITORNO DAL FUTURO (di G. Duchini)

 

    A leggere le interviste di Marchionne rilasciate a iosa, nelle sue partecipazioni a convegni industriali e rilanciate dai più importanti quotidiani  italiani, la prima impressione che si ha è quella di essere l’uomo della Provvidenza con qualche ‘ideuzza geniale’ in più, rispetto alla media del management nostrano. Il recente e gravissimo scivolone in borsa del titolo Fiat (-4,50%) ed una conseguente fosca previsione per i nuovi modelli automobilistici torinesi immessi nel mercato, a seguito di una minacciato ( il venir meno dei voti del gruppo parlamentare dei verdi)  sul rifinanziamento pubblico della casa torinese, non può non porre il quesito curioso: chi è il salvatore della Fiat che risponde al nome Marchionne? E da dove viene?

    Il personaggio Marchionne, è la storia di un illustre sconosciuto, che si può solo ricostruire dai suoi percorsi professionali e dalle  sue interviste; oltre a essere nato a Chieti e laureato a Toronto (Canada) ha svolto la sua  attività professioniale tra il Nord America e Chieti,  nella qualità di  commercialista, consulente di auditing, presso varie società Deloitte Touch, Acklands.. fino a ricoprire la carica di amministratore delegato (nel 2002) della SGS di Ginevra, grande multinazionale dei servizi, di verifica e certificazione contabile, consulenza finanziaria, con l’attività prevalente di rimettere  in “carreggiata” le imprese disastrate, per nuove competizioni nei mercati internazionali. La nomina di Marchionne a a.d. della FiatAuto, la dice lunga sul suo significato e sul ruolo da ricoprire: una nomina resa possibile soltanto  in quanto a.d. di SGS, cioè società partecipata della IFIL (Capogruppo Finanziaria della famiglia Agnelli).

    Su questa nomina (di Marchionne), si aprono scenari misteriosi che fanno riferimento ai consolidati  indirizzi finanziari del gruppo Fiat fin dagli anni Novanta, dentro un cono d’ombra, il cui apice di interessi prevalenti è rivolto oltre atlantico; un gioco finanziario complesso a partire dal  grande segnale imposto “dal dopo mani pulite,” nei cambiamenti profondi del Capitalismo italiano. Dopo le dismissioni dei settori industriali pubblici nei primi anni Novanta, con Prodi Presidente dell’Iri e Draghi Direttore del Tesoro, si passò al settore industriale Fiat, con qualche resistenza di Cuccia quale rappresentante, di quel Capitalismo Familiare rimasto in vita nel “salotto buono”  di Mediobanca; alla morte di Cuccia (2000), la minacciata dismissione o  eventuale vendita della Fiat, si fece più concreta, con il curioso (ma non troppo) “acquisto differito” della General Motors, poi conclusosi nel riacquisto (obbligato) della Fiat. Il riacquisto fu la conferma della mutata composizione patrimoniale in atto, come appare nel Bilancio del 2004, della capogruppo finanziaria Fiat denominata IFIL: nell’Attivo Immobilizzato troviamo Investimenti Finanziari rappresentate da quote di partecipazioni di società, dei settori industriali (Fiat-Group), immobiliari, bancari (Intesa-Sanpaolo), turismo; lo Stato patrimoniale dell’Attivo Corrente (disponibilità liquide) presenta  una notevole dilatazione finanziaria , di investimenti in prodotti finanziari per un valore di circa dieci miliardi di euro (investimenti confermati negli ultimi anni di bilancio). Se si sommano i valori delle Immobilizzazioni Finanziarie ( delle società partecipate) con i valori dell’Attivo Circolante dei prodotti finanziari (liquidità a disposizione), la parte rimanente di Attivo investito in Immobilizzazioni, in strutture industriali, ricerca, ammodernamento, in pratica tutta la tipologia di investimenti  industriali, risulta nettamente inferiore rispetto agli investimenti finanziari. Il Bilancio  del “Gruppo Fiat Auto”(settore industriale) del 2006, controllato dalla IFIL, conferma questa estesa contaminazione finanziaria: nel valore Immobilizzato dello Stato Patrimoniale, la voce Partecipazioni (finanziarie) rappresentano la quota di valore, di gran lunga più alta rispetto all’ Attivo complessivamente investito: 14,5 miliardi di euro di Partecipazioni, rispetto a 15,5 euro del Totale Attivo (Totale Investimenti). Se si passa ad esaminare l’aspetto economico del 2006 del gruppo Fiat, troviamo un Reddito d’Esercizio (Profitto) pari a 2,343 miliardi di euro, rispetto allo precedente 2005 1,117 miliardi di euro, che fece gridare allo scriteriato coro di sindacalisti e politici, al “miracolo Marchionne;” una lettura più attenta della relazione di Bilancio, ci porta a concludere che il miracolo(i) del Reddito d’esercizio 2006, non è altro che l’ammontare dei dividendi percepiti dal valore delle partecipazioni finanziarie, pari a 2,461 miliardi di euro.

    Questa mutazione genetica, ha  trasformato la Fiat da società automobilistica, a società ambivalente: produzioni di automobili insieme alla produzione di finanziario; come a dire se non va bene la vendita di automobili, ci si può sempre rivolgere al mercato finanziario ( e sempre al peggio). Ma per ritornare al “riacquisto”obbligato (della Fiat), tale contratto poteva essere portato a compimento solo attraverso un ‘garante’ che godesse della fiducia internazionale (Usa), affinché non solo l’operazione  andasse a termine, ma proseguisse l’operazione di ‘maquillage,’ già iniziata dalla General Motors (Usa), oltre  ad altri nobili intenti che sottendono l’operazione:  nascondere ‘il ‘bidone’ del riacquisto, che avrebbe sputtanato l’intera classe politica, sempre prona rispetto agli interessi Usa. Per continuare il ‘maquillage’ serviva l’Uomo del futuro( Fiat), (pre)destinato a garantire tutta l’operazione; il personaggio Marchionne  risultò essere quello che offriva maggiori garanzie all’uopo, il quale dopo aver ottenuto l’incarico di a.d. in Fiat, cercò di rilanciare la società, attraverso una nuova finanziarizzazione Fiat nella rivalutazione delle azioni , che passarono dai 4 euro cadauno (2004), a 23 euro, parallelamente al rilancio del settore industriale, con la nuova ‘500’ (prodotta in Polonia). Il gioco della sopravalutazione delle azioni, (acquisto e rivendita del titolo nel mercato internazionale), per ottenere ulteriori finanziamenti non poteva essere fatto dalla sola casa torinese; serviva una o più ‘spalle’, nella collocazione all’estero del titolo Fiat; oltre alla società Exor, il solito giro finanziario delle Banche d’affari, che nell’acquisto e la rivendita dei titoli, possono tenere artatamente alto il valore del titolo.

    Sulla società Exor, le sorprese non mancano: è una holding finanziaria della famiglia Agnelli per operare sui mercati internazionali, già utilizzata in passato come “cassaforte personale” di Gianni Agnelli per fare speculazioni internazionali con l’aiuto di Alberto Cribiore, numero due della Banca d’Affari “Clayton & Dubilier” la più grande banca del mondo di ‘leverage ’ e di “hedge fund”(titoli spazzatura) e, si ricorda a questo proposito, come grande artefice della crisi (fine anni Novanta) delle “Tigri Asiatiche.” La sopra nominata società (Exor) è ritornata alla ribalta grazie alla Famiglia Agnelli che, attraverso essa e Marchionne, nel 2005 ha fatto partire un “equità swap”( derivati finanziari, una scommessa sul titolo) per puntare alla rivalutazione dei titoli Fiat, dando mandato alla banca d’affari “Merril Lync” di rastrellare 90 milioni di azioni (Fiat): una speculazione al rialzo senza nessuna consegna fisica dei titolo, ma solo al momento del rialzo (del titolo), quando la speculazione è andata a buon fine. Riporto a questo proposito il clima di ‘follia finanziaria’ in casa Fiat, ben rappresentato dalle dichiarazioni di Marchionne apparse sul quotidiano la “Stampa”in una recente intervista e riguardante il successo del lancio della nuova “500:”  “…il leader (Marchionne) deve saper decidere da solo. Quando andavo in Usa per trattare con GM (General Motors) mi sentivo alle Crociate. E poi le banche, il convertendo(derivati finanziari). Momenti unici. Ma i miei uomini si devono sempre sentire coperti da me……Tutti ci davano per morti….Ma il rischio di retrocedere è svanito per sempre. La Fiat non creperà più. Hanno fatto di tutto per spolparla toglierle le scarpe ed il cappotto. Ma siamo sopravvissuti….

 

G.D. dicembre ‘07