La resa del battaglione Azov e la fine delle menzogne di Yena P.

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Gli oltre 2500 miliziani del Battaglione Azov si sono consegnati alle forze militari russe e alle milizie delle Repubbliche indipendenti del Donbass. Dopo le parole roboanti dei loro comandanti, decisi a resistere sino alle estreme consueguenze, è arrivata la resa sotto ordine dei vertici militari ucraini capeggiati da Zelensky. Ad aprirsi non sono state le porte del Walhalla, ma quelle degli autobus, dove i miliziani ucraini sono stati caricati ed allontanati dalle accierire dell’Azovstal. Probabilmente saranno giudicati per i crimini commessi sulle popolazioni russofone in accordo con le leggi diritto internazionale, come assicurano le autorità di Mosca.
Durante l’assedio alle acciaierie di Mariupol, la grancassa mediatica occidentale ha dipinto con enfasi e toni epici la “resistenza” eroica del Battaglione Azov: le “Termopoli del XXI secolo” per il consigliere della Presidenza ucraina Podolyak, in questa guerra dove la fiction ha da tempo preso il sopravvento sulla realtà.
Qualcuno da destra, per eccesso di romanticismo, si é spinto in paragoni impropri: i “I cadetti dell’Alcazar” o la resistenza epica di Berlino della divisione “Charlemagne”, forzature e similitudini storiche di chi si è lasciato abbagliare da quattro rune. Si è invece trattato di battaglioni criminali, responsabili del genocidio delle popolazioni del Donbass e la cui “resistenza” nelle acciarierie di Mariupol è stata dovuta solo all’utilizzo di civili come scudi umani; soldataglia al servizio della NATO e della Cia, su cui la storia si incaricherà di dare giudizi.
In queste ore trapelano notizie sulla possibilità che i vertici del battaglione siano pronti a fare rivelazioni sulle barbarie e atrocità commesse ai danni dei civili per vendicarsi del tradimento di Zelensky. I neonazi ucrani evidentemente si aspettavano un intervento in grande stile dei marines americani ed inglesi, pronti a liberare gli eredi di Leonida: solo adesso probabilmente cominciano a realizzare di essere stati usati ed abbandonati.
Intanto il comandante Denis Prokopenko è stato salvato dal linciaggio della folla ed allontanato su una camionetta. Il resto del battaglione è stato regolarmente perquisito dalle forze armate russe che hanno mostrato tatuaggi di rune, soli neri e svastiche richiamanti il Terzo Reich, dando così fondamento alla propaganda di guerra russa che parlava di “denazificare” l’Ucraina.
Diversi miliziani perquisiti hanno rinnegato quei tatuaggi come “errori di gioventù” o come simboli pagani. Curiosa anche la presenza sui corpi, di simboli satanisti, pentacoli e caproni, ad ulteriore prova della confusione e dell’equilibrio mentale di tali soggetti.
Tuttavia non dubitiamo che su tale “epopea” (mancata) sarà costruita l’ennesima narrazione mitologica sulla resistenza valorosa del popolo ucraino e che le “Termopoliti nazi atlanstiste” rappresenteranno il momento fondativo di ciò che rimarrà dell’Ucraina.

Limes e Caracciolo si adeguano alla narrazione unica

Nonostante la Russia sia vittoriosa sul campo e proceda gradualmente all’occupazione di tutto la regione del Donbass, la propaganda dei nostri canali televisivi continua a descrivere una realtà parallela, dove le forze armate russe sarebbero in seria difficoltà dando per incerto l’esito del conflitto.
A tale storytelling non si è sottratta nemmeno la rivista Limes, e non solo i Margelletti ed i vari ambasciatori in quota NATO, ospiti da Bruno Vespa.
Anche la più nota rivista di geopolitica italiana alla fine non si è sottratta ai toni “antiputiani”. Il direttore Caracciolo infatti, noto per lo stile sobrio e compassato delle sue analisi, ha espresso delle posizioni discutibili sull’andamento del conflitto e sul futuro dei vertici del Cremlino. Se anch’egli non è stato risparmiato dall’accusa di essere un filo-putinista, le sue analisi non si discostano nella sostanza dalla narrazione russofobica dominante.
Il direttore di Limes da per scontata la strategia dei falchi DEM di voler causare un “Afghanistan russo” in Ucraina, con la speranza di provocare una rivoluzione arancione a Mosca. Derubrica a “ossessione di Putin” l’espansione progressiva della NATO a ridosso della Federazione Russa e descrive una situazione sul campo di battaglia e all’interno dei confini russi, sempre più difficili per i vertici del Cremlino.
Inoltre auspica l’urgenza di pervenire ad un negoziato di pace, ma esorta all’invio di maggiori armamenti per Kiev, palesando conformismo alla vulgata del mainstream.
Ciò che il nostro Paese avrebbe dovuto fare, invece di aviare armi ed escalare il conflitto, era quello di porsi al centro del negoziato con la Russia, in accordo alla nostra vocazione geografica, ponte di quel Mediterraneo tra Oriente ed Occidente.
Mario Draghi invece ha sbagliato completamente tutto confermando la sua scarsa vocazione con le relazioni internazionali e dando mostra di essere fedele esecutore dei voleri americani che sfruttano le sua ambizione a diventare Segretario della NATO, per remare contro l’asse franco-tedesco.
Ad approfittare della nostra subordinazione geopolitica è stata la Turchia di Erdogan, che adesso minaccia di non acconsentire all’ingresso nell’Alleanza Atlantica di Svezia e Finlandia. Scalzati dallo spregiudicato ed opportunista Presidente Turco, ormai ci troviamo in posizione emarginata e come capilifila della coaolizione antirussa. Con sanzioni ed invio di armi non possiamo certo essere visti come interlocutori credibili in un negoziato con Mosca.
I nostri analisti geopolitici avrebbero dovuto spingere su questo tasto, cercando di assecondare il sentiment dell’opinione pubblica italiana che non comprende come si possa arrivare ad una soluzione di pace, inviando armi ad un paese con a capo un comico con neonazisti al seguito.
Questo dimostra la miopia di certi analisti ed osservatori soggetti ad una visione unipolare e non in grado di vedere che il mondo é ormai proiettato in una dimensione multipolare. Gli analisti alla Caracciolo dovrebbero proporre soluzioni alternative all’ordine geopolitico vigente e non appiattirsi ai disegni americani che tra sanzioni energetiche ed economiche suicideranno il nostro paese e mezzo Continente.
Nello specifico, la chiusura dei porti sul Mar Nero ed i blocchi delle navi cariche di grano, l’idea assurda di volere sostituire il gas ed il petrolio russo in tempi brevi con gas liquefatto proveniente da oltreoceano (anche se Eni ha rinunciato a tale follia decidendo di pagare il gas in rubli), il raddoppio ed il triplicare del prezzo dei metalli, minerali e materie prime possedute dalla Federazione russa, l’inflazione fuori controllo, rischiano di generare nel breve periodo, una “convergenza di catastrofi”, per dirla con le parole del politologo francese Guillaime Faye, che causerà disastri sociali e miseria in tutta l’Europa. L’idea perniciosa di voler affossare la Federazione russa con sanzioni e una guerra per procura su suolo ucraino, sta generando l’esatto opposto: prezzi del gas e del petrolio alle stelle e rublo che vola. La crisi delle derrate alimentari generata dalla Guerra in Ucraina, vedrà presto arrivare nuove ondate migratorie dal nord-africa in fuga dalla fame. Ciò che evidentemente ignorano a Bruexelles (ed i Caracciolo) é che per distruggere l’UE ci vorranno mezzi meno cruenti che bombe nucleari tattiche.
Oggi più che mai emergono le divergenze inconciliabili tra Europa Baltica ed Europa Mediterranea e Centrale. La prima è fedele alleata dell’anglosfera e degli Americani e nel perseguire la folle idea di distruggere la Russia, mette a rischio l’esistenza dell’intero Continente che avrebbe tutto l’interesse ad intrecciare rapporti solidi e strutturati con la Russia nel segno dell’interesse reciproco. I Draghi ed i Macron sono del tutto proni alle iniziative avventate ed improvvide dell’Europa Baltica, che guidata dall’amministrazione Biden rema contro ogni disegno di emancipiazione continenale e ciò che è peggio, rischia di trascinarci direttamente in una guerra atomica.