La variante russa.

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L’infiltrazione capillare degli americani in Italia risale allo sbarco in Sicilia. Dobbiamo ringraziare gli yankee se, per ricordarne una, la mafia duramente ridimensionata dal fascismo riuscì a incistarsi nuovamente nella vita collettiva, legittimata anche istituzionalmente. Gli americani si servirono dei peggiori delinquenti per insinuarsi nella società italiana prima di fidelizzare una parte della classe politica e arrivare a controllare gli stessi gangli centrali dello Stato, servizi segreti inclusi. E senza mai mettere da parte i propri collegamenti mafiosi che sono serviti da manovalanza stragista e assassina. Da allora nulla si muove nello Stivale, quando si tratta di questioni strategiche interne, che non sia asseverato da Washington. Ma i nostri giornali di fango parlano di manovre dei russi per condizionare le scelte nazionali. Come dire, alcuni sospetti, non provati o persino fabbricati ad arte, servono a nascondere influenze effettive, se non qualcosa in più, che non nascono al Cremlino ma alla Casa Bianca.

Nel libro Mafia e alleati possiamo leggere passaggi come questo, e si tratta solo di un piccolo esempio:

L’arrivo degli americani rappresentò per la mafia siciliana una manna dal cielo. Non solo i capi riconosciuti furono nominati sindaci, e quindi legittimati ad esercitare potere, ma fu loro concesso di svolgere impunemente
Le delittuose attività nei diversi settori controllati dall’AMGOI. Una sorta di ricompensa, da parte degli americani, per la collaborazione fornita dai boss prima e durante l’invasione della Sicilia ma, soprattutto, un espediente per consentire loro libertà d’azione nella lotta contro gli ideali anticapitalistici che prendeva piede fra i contadini dell’isola. Riconsegnata al Re e a Badoglio, la
Sicilia liberata tornò così in mano alla malavita, che si accinse sia a governarla dall’interno delle pubbliche amministrazioni, sia a destinarla a importante spartitraffico del commercio internazionale degli stupefacenti, settore
verso cui la consorteria malavitosa americana guardava da tempo con estremo interesse.
Molti criminali, decantando incerti meriti antifascisti, rientrarono dal confino di polizia dove Mori li aveva spediti; altri, nell’immediato dopoguerra, tornarono dall’America con in tasca un foglio con impresso il timbro undesirable, indesiderabile, Gli elenchi di questi ex gangster erano lunghissimi e riguardavano elementi che
stavano scontando varie pene nelle prigioni americane o si trovavano sotto sorveglianza dell’FBI. Si trattava di uomini come Lucky Luciano, indiscusso capomafia, ma anche di figure minori della malavita organizzata: killer, guardie del corpo, gente dal grilletto facile che al loro rientro in Italia avrebbero condotto una vita piuttosto modesta e riservata, pervasa dal rilucente ricordo dei
locali e dei bordelli di New York e dagli opachi pensieri degli omicidi commessi su mandato dei loro padrini. Finita la guerra, e ringraziando molti di loro per i favori resi, gli Stati Uniti decisero di affrancarsi da questi uomini, scrollandosi di dosso anche l’incombenza di doverli mantenere in carcere. In più di cinquecento sbarcarono
nei porti della penisola, con l’obbligo di risiedere nel paese d’origine. Tanti tornarono senza un soldo in tasca e per vivere dovettero adattarsi a svolgere lavori umilissimi.
Alcuni chiesero addirittura un sussidio allo Stato per
l’attività svolta all’estero, di cui però non riuscirono a fornire carte e documenti. Nell’interessante libro di Giancarlo Fusco, Gli indesiderabili, uno di questi ex gangster, tornato in Italia, lamenta così la sua «triste» condizione:
«..e chista è la raccanuscenza di l’amiricani pi avilli aiutati a sbarcari in Sicilia? Poviru e pazzu partii, poviru e pazzu turnai (.…e questa è la riconoscenza degli americani per averli aiutati a sbarcare in Sicilia? Povero e pazzo
sono partito, povero e pazzo sono tornato)»…
Lucky Luciano, anch’egli indesiderato, ebbe miglioresorte. Quando tornò in Italia aveva scontato quasi dieci anni di carcere per sfruttamento della prostituzione. Una reclusione dorata, specie quella degli ultimi anni, quando divenne il referente principale del Naval Intelligence per attuare il Progetto Malavita. Il 9 febbraio 1946 i federali lo imbarcarono sulla Laura Keene, con tanto di ringraziamenti per la collaborazione offerta allo sforzo bellico statunitense…”

Ora, certi banditi di giornalisti vorrebbero farci credere che i russi stiano cercando di manipolare il Paese e magari le future elezioni attraverso Salvini e soci. Draghi stesso sarebbe caduto non perché politicamente un dilettante ma per ordine di Putin. Decine di basi statunitensi sul nostro territorio, dove sono stoccate armi nucleari, sono una testimonianza sicura dell’orda slava che avanza.
Questi servi farabutti, politici, pennivendoli, zerbini variegati di differenti ambiti sociali, sono i primi traditori della Patria e come tali andrebbero trattati.

La variante russa della nostra sudditanza internazionale non esiste. L’unico virus che ci confina ancora nelle stanze anguste di una pluridecennale sottomissione si chiama America.