L’AFFERMAZIONE DI UNA STRATEGIA DI POTENZA: LA POLITICA AFRICANA DELLA CINA

COMANDANTE MBAYE CISSE (SENEGAL) CID, 14e  PROMOTION (fonte diploweb.com)

[Pubblichiamo la I parte di un lavoro abbastanza corposo sulla strategia geopolitica della Cina in Africa, Fonte diploweb.com. Nei prossimi giorni cercheremo di completare le altre parti. Trad. di G.P.]

 

Nel momento in cui le potenze occidentali sembrano trascurare il continente africano o vi hanno mantenuto soltanto una soglia di presenza minima, la Cina ha dimostrato la sua capacità di assumere il suo nuovo ruolo di potenza emergente. Dando prova di un dinamismo impressionante, essa ha messo in opera una strategia globale per trovare nuove frontiere alle sue popolazioni ed alla sua economia. Attore a pieno titolo della mondializzazione, Pechino ha compreso il vantaggio che poteva ottenere dall’Africa utilizzando una delle armi più temibili del dopo guerra fredda: la potenza economica. Questa potenza all’opera attraverso tutto il continente non ha ancora rivelato tutte le sue intenzioni. Ad ogni modo, oltre ai problemi che continua a sollevare, chiama l’Africa alla possibilità di farsi carico del suo destino e a considerare l’aiuto esterno, che essa riceve, come un supplemento e non come il principale perno del suo sviluppo.

 Memoria redatta al CID nel quadro del seminario geopolitico sull’Africa diretto dal professore Bernard Lugan e nel quadro del Master ricerca in relazioni internazionali dell’università Panthéon-Assas, sotto la direzione di Nicolas Haupais

 

 

Nel 1979, Deng Xiaoping, architetto della riforma e dell’apertura della Repubblica Popolare Cinese (RPC), fissava due obiettivi principali alla diplomazia cinese: la pace e lo sviluppo. I risultati per il secondo obiettivo non sono tardati ad arrivare. In venticinque anni, la Cina ha moltiplicato il suo prodotto interno lordo di 9,4 punti. Quest’ultimo culmina a 1400 dollari pro capite nel 2004 contro 50 dollari del 1949. Vale a dire che le previsioni sul risveglio cinese sembrano arrivare a termine e che “l’Impero di Mezzo” è in via di ritrovare il suo posto nel concerto delle nazioni. Dopo avere tratto le giuste lezioni da un passato segnato dalla politicizzazione eccessiva della sua diplomazia, la Cina sembra optare per una posizione pragmatica risolutamente orientata verso l’apertura e l’irradiamento sotto tutti i punti di vista.

Spinta da una crescita economica molto forte, la RPC intende garantire il suo ammodernamento mediante un’apertura più grande verso gli altri attori del sistema internazionale. Come indica il libro bianco del governo cinese pubblicato il 22 dicembre 2005, "imboccare la via dello sviluppo pacifico è legare lo sviluppo interno all’apertura al mondo esterno, annodando lo sviluppo della Cina a quello delle altre parti del mondo." (È noi che traduciamo). È a partire da questa visione strategica che Pechino si annuncia sotto le sue nuove vesti in Africa. Questo ritorno in forza al piano diplomatico ed economico, dopo il maremoto taiwanese degli anni ‘90, ha attirato l’attenzione degli analisti delle relazioni sino-africane, che decriptano i segni che annunciano uno sconvolgimento nel divenire del continente. Per fare fronte alle necessità inerenti alla sua crescita, Pechino avrebbe intenzionalmente legato il suo strumento diplomatico alla dimensione delle opportunità offerte dalla fine della guerra fredda, fra le quali l’apertura dei mercati successiva alla globalizzazione dei cambi[1). A questo proposito, nota Angel Ubide, "la conquista dell’Africa è un progetto di politica estera segnato dall’impiego del potere economico invece che dalla potenza militare, come pure l’offerta di concessioni politiche per esercitare un’influenza esterna[2)." Infatti, la fine del bipolarismo est-ovest è coinciso con l’emergenza pacifica[3]di una Cina che diviene inevitabilmente un polo di potenza nella riconfigurazione della geopolitica mondiale. Una nuova era che la Cina inaugura sotto il segno dello "sviluppo armonioso", aperto a tutti i popoli del mondo, in particolare a quelli del Sud, secondo la terminologia terzomondista degli anni 1960. Sotto un’apparenza pacifica, in opposizione ai modelli colonialisti, essa stende il suo mantello da "fratello maggiore" sui paesi del Sud e invocando uno sviluppo condiviso la Cina ha trasformato l’Africa in un attore privilegiato nella costruzione di un nuovo ordine mondiale nel quale la relazione sino-africana sarebbe sinonimo di progresso reciproco.

Così, "la Cina veglia al fine di stabilire e sviluppare un nuovo tipo di partenariato strategico con l’Africa, caratterizzato dall’uguaglianza e la fiducia reciproca sul piano politico, la cooperazione condotta nello spirito “benefici-benefici” sul piano economico ed il rafforzamento degli scambi sul piano culturale[4). "Naturalmente questa dichiarazione di buone intenzioni suscita interrogazioni in molti ambienti africani. Se alcuni circoli manifestano già il loro ottimismo presentando la nuova politica cinese in africa come l’ultima possibilità del continente di uscire dal suo sottosviluppo cronico, altri non trascurano di vedere dietro l’offensiva di Pechino l’espressione di una nuova avventura coloniale da cui l’Africa uscirà probabilmente straziata. Questo lavoro non ha l’ambizione di esaminare questa percezione dualistica. In compenso, cerca di mettere alla prova e procedere alla convalida dell’ipotesi di lavoro che segue: la "nuova luna di miele" annunciata da Pechino s’iscrive in una prospettiva dinamica di rinnovamento della politica cinese in Africa che ha sempre fatto del continente nero un elemento chiave della sua irradiazione diplomatica. Contrariamente al militantismo degli anni 70, il nuovo impegno di Pechino è volontariamente imperniato sullo sviluppo economico del gigante cinese di cui tutti gli strumenti di potenza sono oggi tesi verso un solo scopo: trasformare la Cina in uno Stato forte, affermandosi sul continente africano, ormai innalzato a spazio d’espansione strategica. Quest’esigenza condizionata, soprattutto, dalla ricerca di una sicurezza energetica, piazza l’Africa e le sue materie prime al cuore delle preoccupazioni cinesi. Inoltre, l’assalto della RPC genererà sconvolgimenti profondi che non trascureranno di alterare un ambiente africano già fortemente influenzato dal suo passato coloniale, e le cui elite politiche restano ancora divise tra il conformismo e la ricerca di nuove risposte al sottosviluppo. È con questa fase cerniera del suo divenire che l’Africa firma un nuovo contratto con la Cina attraverso un partenariato strategico che si tratterà di decriptare in tutti i suoi aspetti.

In una prima parte, sarà inizialmente utile esaminare i vari principi fondanti della politica cinese in Africa. Quest’ultima è caratterizzato dalla valorizzazione di un modello di cooperazione, opposto al modello coloniale occidentale che ha strutturato le relazioni dell’Africa con il resto del mondo. Infatti, anche se nulla predispone la Cina a mantenere relazioni privilegiate con il continente africano, a causa della distanza geografica e dell’assenza di determinanti culturali comuni, la rivalutazione cinese della politica africana si iscrive in una tradizione fondata su una legittimità tripla sulla quale veglia gelosamente Pechino. Al primo pilastro costituito dalla legittimità storica, nata dall’implicazione della Cina nelle lotte di liberazione di molti paesi africani, si aggiungono, in estensione, gli altri due rappresentati dall’eredità ideologica terzomondista della guerra fredda e soprattutto la promozione dei principi di non ingerenza e di neutralità come base del partenariato con l’Africa. Si tratterà in seguito, a partire da questi tre pilastri fondanti, porte d’entrata della RPC sul continente, di esaminare le forme d’espressione della potenza cinese attraverso uno spettro di valutazioni differenti. Esse si esprimono soprattutto sul piano politico con la messa in atto di una cornice istituzionale sino-africana con la quale la Cina si dà i mezzi per strutturare il suo intervento. Questa tappa costituisce il trampolino ideale per sviluppare una diplomazia economica che alcuni mettono al centro del rinnovamento della presenza cinese in Africa in ragione, certamente, del suo forte "tasso petrolifero". Per infittire la sua presenza, e preservare il carattere globale della sua strategia, anche la cooperazione militare e quella culturale sono oggetto di un’attenzione particolare e costituiscono altri campi d’interesse non trascurabili del ritorno di Pechino sul continente. Infine, nella seconda parte, si tratterà di misurare l’impatto multiforme della strategia cinese sulle grandi sfide politico-economiche che riguardano l’Africa. In questo ambito, l’influenza cinese di lungo corso pone interrogazioni multiple. Sul piano politico, i principi messi in evidenza da Pechino voltano le spalle al modello liberale proposto dalle vecchie potenze coloniali ed aprono la via ad una rilettura della democratizzazione degli stati africani. Nel settore economico, il passo di Pechino è volto a modificare profondamente gli schemi di sviluppo socioeconomico nel momento in cui emergono strategie collettive come il Nuovo Partenariato per lo Sviluppo dell’Africa (NEPAD). A questo titolo, essa solleva con acutezza il problema delle opportunità offerte, ma anche dei rischi per le economie africane. Last but not least, la messa in atto della politica africana della Cina presagisce cambiamenti importanti nell’architettura della sicurezza del continente e potrebbe, alla fine, influire sul settore della pace e della stabilità a causa della rivalità tra potenze che non trascurerà di riproporre.  

 

Note

(1) Per approfittare interamente della mondializzazione, la Cina ha fatto sforzi titanici al fine di aderire all’organizzazione mondiale del commercio (OMC) nel 2001. Pechino ricorda incessantemente la necessità di rispettare le norme da parte di tutti gli attori. D’altra parte la decisione della Cina di fondere il ministero della cooperazione e quello del commercio estero è emblematica della volontà delle autorità cinesi di fare della cooperazione estera e commerciale una priorità d’ordine strategico. Vedere, a questo proposito, Jean Christophe Servant: "la Cina all’attacco del mercato africano", il mondo diplomatico, maggio 2005.

(2) Angel Ubide, "la Cina alla conquista dell’Africa", telos-eu.com, dicembre 2006

(3) concetto lanciato da Zheng Bijian nell’ottobre 2003, Presidente del Forum sulla riforma della Cina e vice vicepresidente anziano della Scuola centrale del partito comunista cinese (PCC)

(4) libro bianco del governo cinese, "la via dello sviluppo pacifico della Cina" dicembre 2005, 32p.