L’AFFERMAZIONE DI UNA STRATEGIA DI POTENZA: LA POLITICA AFRICANA DELLA CINA. Parte II

fonte diploweb.com

BASI E MANIFESTAZIONI DELLA POLITICA AFRICANA DELLA CINA

All’inizio era la storia! Tale sembra essere il credo della Cina per celebrare il suo ritorno sul continente africano. Per una potenza emergente senza passato coloniale in Africa(5), si tratta di sigillare tale tracciato intorno a principi fondanti che hanno la loro legittimità nella storia comune e condivisa. Come ricorda volentieri il Presidente cinese Hu Jintao, "l’amicizia sino-africana immerge le sue radici nella profondità del tempo e non cessa di approfondirsi col passare degli anni(6)." Questa legittimità storica costituisce il trampolino ideale per assestare la legittimità ideologica frutto della presenza indefettibile della Cina al fianco dell’Africa, come porta bandiera dei non-allineati, durante le lotte egemoniche della guerra fredda. A questo proposito nota Valére Niquet: "lungi dall’abbandonare le vecchie tematiche, Pechino si sostiene anche su un discorso terzomondista Sud-Sud fondato su un passato, costantemente ricordato, di lotta comune contro tutti gli impérialismi(7)." Questo combattimento condotto gomito a gomito mette la Cina e l’Africa su uno stesso piede d’uguaglianza e giustifica un rispetto reciproco la cui espressione completa rimane la non ingerenza e la neutralità, terzo principio fondante della diplomazia cinese in Africa. Con i percorsi di “come back” ben lastricati, la politica africana può ormai declinarsi in molti settori. Fedele alla sua tradizione dei "piccoli passi", la diplomazia cinese si è data i mezzi per raggiungere i suoi obiettivi istituendo, soprattutto, strutture politiche sino-africane, istanze d’espressione e di razionalizzazione della sua “offensiva”. Col superamento di tale tappa, essa può velatamente mettere in opera la sua diplomazia economica e commerciale centrata sulle risorse petrolifere, obiettivo principale del suo ritorno in Africa. Infine per completare il dispositivo, la presenza economica indica la via ad altre forme di cooperazione, che mirano a rafforzare la presenza cinese sul continente.

 

CAPITOLO I: LE BASI DELLA POLITICA AFRICANA DELLA CINA

 

Nonostante l’impressione innovativa che sembra caratterizzare il “volo” della diplomazia cinese in Africa, è necessario riconoscere che si iscrive nella continuità di una politica africana della Cina, che prende forma a partire dalla coniugazione di molti eventi verificatisi nel mondo, nella seconda metà del XX secolo. La proclamazione della RPC nel 1949 e l’aumento delle rivendicazioni nazionalistiche in favore della liberazione hanno generato una comunanza di interessi e di destini tra la Cina ed il continente africano. Quest’ultimo ha costituito un capitale prezioso che Pechino non ha tardato a far fruttare nelle sue nuove relazioni con l’Africa. Questa ricerca di legittimità radicata nella storia vissuta in comune è inquadrata da un terzo principio, incarnato nel culto della non ingerenza negli affari interni.

Sezione 1: La legittimità storica come principio fondante

Il contatto tra Africa e Asia risale a tre millenni fa. È infatti a partire dal X secolo A.C. che la Cina sviluppa i suoi primi scambi commerciali con l’Egitto. Occorrerà attendere la dinastia dei Ming (1368-1644) per assistere a veri peripli marittimi da parte del navigatore Zheng He sulla costa orientale africana. Tuttavia questa politica d’apertura al mondo sarà fermata per molti ragioni(9). La proclamazione della RPC e la fine della lunga notte coloniale africana saranno il pretesto per ristabilire il contatto con l’Africa attraverso, inizialmente, i tentativi d’emancipazione e di affermazione portati dalla conferenza di Bandung, quindi tramite le lotte di liberazione in molti paesi del continente.

§1. La conferenza di Bandung: il riavvicinamento sino-africano

La conferenza di Bandung nell’Indonesia, dal 18 al 24 aprile 1955, segna la prima tribuna offerta alla Cina per ristabilire le sue relazioni con l’Africa. Da un lato, Bandung costituiva la via sognata da Pechino per portare il suo sostegno ai paesi in lotta contro la sovranità coloniale, e dell’altra, permetteva di assestare la sua diplomazia nascente interessata a rompere le catene della tutela sovietica. Come sottolinea Adama Gaye: "il terreno era tanto più favorevole alla Cina che disponeva, all’alba dell’ indipendenza africana, di un ulteriore vantaggio. Tutto la avvicinava infatti ai paesi africani che avevano appena rotto le catene del colonialismo vendicandosi, come essa, di anni di sovranità esterna(10)." Convocata su iniziativa di cinque paesi asiatici (Birmania, Ceylan, Indonesia, India e Pakistan) la conferenza ha accolto sei paesi africani tra cui due grandi dell’epoca, l’Egitto e l’Etiopia. È a partire da questa tribuna che il primo ministro indiano, Jawaharlal Nehru, ha lanciato la sua famosa mano tesa all’Africa, in nome del continente asiatico, in questi termini: "spetta all’Asia aiutare l’Africa al massimo delle sue possibilità, poiché siamo continenti fratelli.(11)"

§2. La liberazione, fermento della solidarietà militante

Per una Cina il cui invito non era stato previsto alla conferenza preparatoria di Bogor del 1954, l‘occasione era utile per ristabilire la sua influenza sul suolo africano. Dopo avere dimostrato la sua solidarietà con l’Egitto nasseriano nel corso del suo braccio di ferro con la coalizione franco-britannica conseguente alla nazionalizzazione del canale di Suez nel 1956, la Cina ha approfittato di tutte le tribune internazionali per invocare la liberazione dell’Africa, in particolare nel corso della conferenza di Belgrado del settembre 1961. È toccato al primo ministro, Chou En-Laï, figura emblematica della rivoluzione cinese, chiamato in alcuni circoli "l’Africano", indicare le nuove vie di cooperazione sino-africane. Nel 1963-1964, intraprende un giro di tre mesi durante i quali visita una decina di paesi africani. Il suo giro si è concluso con la firma di numerosi accordi e soprattutto con la prospettiva per Pechino di arruolare il massimo di paesi africani nel suo grembo al fine di iniziare la sua battaglia ideologica intorno al concetto della "teoria dei tre mondi". Infatti agli inizi degli anni ‘70 Mao Zedong appunta la politica estera cinese attorno alla divisione del mondo in tre blocchi distinti. Gli Stati Uniti e l’URSS formano il "primo mondo" e si presentano come le due superpotenze impérialiste. I paesi asiatici sotto-sviluppati, dell’Africa, dell’America Latina costituiscono il "terzo mondo", e sono allo stesso tempo le vittime dell’oppressione e dello sfruttamento, ed i motori essenziali della lotta contro il l’egemonismo neocoloniale. Infine i paesi sviluppati dell’Europa occidentale e il Giappone, il Canada e l’Australia sono sistemati nell’alveo del "secondo mondo". Mao stabilisce una relazione di lotta e di solidarietà tra il secondo mondo ed il terzo mondo nel quadro della lotta contro le due grandi potenze dominanti.

Sezione 2: L’eredità ideologica della guerra fredda

La lotta anticolonialista non è l’unico fermento che riavvicina i rapporti sino-africani. Oltre al passato coloniale comune ai due partner, Pechino non manca occasione per mettere in risalto l’appartenenza alla medesima sfera ideologica. Infatti, lo slancio terzomondista della Cina risale agli anni 1960, punto di partenza della lotta ideologica che si svolge tra Mosca e Pechino. Con la dichiarazione di Khrouchtchev di trasformare la coesistenza pacifica nella base della politica estera dell’URSS, la Cina di Mao grida al revisionismo e denuncia la volontà del suo alleato russo di relegare in secondo piano la liberazione dei popoli del terzo mondo e la solidarietà internazionale rivoluzionaria.

§1. La rivalità sino-sovietica

Questa lotta ideologica si esprimeva con forza nel movimento dei non allineati. Sul piano diplomatico, la Cina guadagna la sua prima vittoria trovando il suo seggio al Consiglio di sicurezza, nel 1971, grazie al volere africano. Nel settore economico rimarca la sua solidarietà segnalandosi con grandi iniziative: vengono accordati 722,5 milioni di dollari di prestiti di cui 400 milioni per il progetto ferroviario di Tanzam che collega la Tanzania allo Zambia. Dal 1972 al 1973, un’assistenza economica imperniata sui settori agricoli e medici è messa in atto in Congo, in Egitto, in Somalia, in Sudan, ed in Zambia. Come sottolinea Jean Christophe Servant "la presenza cinese in Africa si riassumeva con il tecnico venuto ad assistere il paese fratello da poco affrancatosi dalla sua tutela coloniale contribuendo così alla sua crescita. Quindicimila medici e più di diecimila ingegneri agronomi furono allora inviati verso questo terzo mondo trasformato in postazione di second’ordine della guerra fredda.(12)"

 §2. L’appoggio ai movimenti di liberazione

L’aiuto ai movimenti di liberazione è rivolto, in particolare, in Angola con il movimento popolare per la liberazione dell’Angola (MPLA) in Mozambico con il fronte di liberazione del Mozambico (FRELIMO) o allo Zimbabwe con lo Zimbabwe African National Unity (ZANU)(13). Nonostante un isolamento relativo sulla scena internazionale ed africana imputabile in parte al trionfo della "distensione internazionale" raccomandato da Mosca, Pechino conserverà un’influenza reale sul continente africano in particolare presso gli ultimi movimenti di liberazione, soprattutto dello African National Congress (ANC) nella lotta contro il regime della segregazione fino al 1994. Questo ruolo principale svolto da Pechino ha contribuito ad assestare l’idea di una terza via risolutamente anticolonialista e militante. L’eredità ideologica della guerra fredda si trova così recuperata nell’ottica di fondare una nuova legittimità garante di relazioni benefiche tra il "più grande paese in via di sviluppo (la Cina) e il più vasto continente in sviluppo (l’Africa)". Tutte le dichiarazioni ufficiali delle autorità cinesi sul partenariato sino-africano celano un effluvio di storia comune.

Sezione 3: La neutralità e la non ingerenza

Per completare il suo sistema e riassicurare al meglio i suoi partner, la Cina intende fondare le sue relazioni sulla non ingerenza e la neutralità. Questa disposizione del partenariato strategico sino-africano si iscrive nella panoplia degli atti di rottura con il modello di sviluppo e di cooperazione promossi dalle vecchie potenze coloniali. Costituisce una perpetuazione della logica del blocco che vuole che la Cina e l’Africa, anche dopo la fine della guerra fredda, si identifichino nello stesso campo.

 

(5)La Cina si compiace nel ricordare le spedizioni sulla costa orientale africana della dinastia dei Ming che si sono limitate a scambi con l’Africa, senza alcuna volontà di dominio. Vedere a questo proposito, Paul Kennedy, Naissance e declino delle grandi potenze, Editions Payot & Rivages, 2004 pp 39-44.

 

(6) Discorso del presidente Hu Jintao alla cerimonia di apertura del Forum de Coperazione sino-africaino, 4  novembre  2006.

(7)Valérie Niquet, « la stratégie africaine de la Chine », Politique Etrangère, février 2006, p.361

(8)Vedere « Sino-African Cooperation to Rise to New High », Quotidien du Peuple, Pékin, 10 mars 2000

(10)Paul Kennedy, Naissance et déclin des grandes puissances op. cit. pp. 39-44

(11)Adama GAYE, Chine-Afrique le dragon et l’autruche : Essai d’analyse de l’évolution contrastée des relations sino-africaines : saint ou impie alliance du XXIe siècle, Harmattan, 2006 p.52

(11)Ibid., p 61

(12)Jean-Christophe Servant, « La Chine à l’assaut du marché africain », Le Monde diplomatique, mai 2005.

(13)Vedere allegato I p60.