L’AFFERMAZIONE DI UNA STRATEGIA DI POTENZA: LA POLITICA AFRICANA DELLA CINA. Parte III

fonte diploweb.com, trad. G.P.
§1. Il riciclaggio dei principi diplomatici
La pietra angolare della nuova diplomazia cinese in Africa appare come un riciclaggio dei cinque principi che disciplinano la politica estera cinese enunciata per la prima volta nel 1953 da Chou En-Laï e che sono: 1. rispetto reciproco della sovranità e dell’integrità territoriale; 2. non-agressione reciproca; 3. non ingerenza negli affari interni; 4. uguaglianza e vantaggi reciproci; 5. coesistenza pacifica. Nel luglio 1992, la visita in Africa del Presidente cinese Yang Shangkun, durante la quale furono esposti i nuovi orientamenti sino-africani, si conclude secondo crismi che ricordano il viaggio di Chou En-Laï del 1953: "la Cina sostiene i paesi africani nel mantenimento della loro sovranità e della loro indipendenza nazionale, come pure nella loro lotta contro l’intervento esterno(…)" la Cina rispetta i paesi africani nella loro scelta di un sistema politico e di una via di sviluppo propria vicina alle sue specifiche condizioni nazionali." Dopo molti decenni, questi principi rimangono la base delle relazioni sino-africane e si affermano agli occhi delle autorità di Pechino come una continuità. Nel 2006, il Presidente Hu Jintao ha ribadito la posizione della Cina insistendo sul fatto che "il trattamento da pari a pari è la garanzia sicura per il rafforzamento della fiducia reciproca sino-africana."Attribuiamo un’alta importanza alle preoccupazioni di ciascuno(14)."Nella visione diplomatica cinese, la costrizione e l’applicazione di sanzioni è meno efficace del contatto bilaterale permanente. Inoltre la coercizione è spesso generatrice di conflitto, da qui la necessità imperiosa di promuovere una neutralità assoluta negli affari interni di un paese partner.
§2. La definizione di un nuovo quadro di partenariato
Quest’orientamento della nuova diplomazia cinese ha il merito almeno di essere chiaro. Da un lato, denuncia in maniera appena veleta il neocolonialismo. Come accenna la dichiarazione di Beijing ,emessa al termine della riunione dei ministri degli esteri, del commercio estero e della cooperazione internazionale della Cina e dei paesi africani tenuta del 10 al 12 ottobre 2000, "tutti gli stati hanno il diritto di partecipare, su un piede d’uguaglianza, agli affari internazionali." Nessun paese o gruppo di paesi ha il diritto di imporre la sua volontà ad altri, né di inserirsi negli affari interni degli altri con un qualunque pretesto, né di imporre loro in modo unilaterale delle misure economiche coercitive." D’altra parte, annuncia l’arrivo di una nuova era orientata verso la proclamazione ed il riconoscimento dell’Africa degna d’interesse e di fiducia e le cui relazioni con il resto del mondo devono essere spogliate di qualsiasi forma di condizionalità. Così, il ritorno in Africa di Pechino si trova in gran parte facilitato dalla capacità della sua diplomazia di rivalorizzare il suo ancoraggio storico nel continente e soprattutto di riciclare i suoi principi fondanti per adattarli alle sue nuove missioni. Alle vecchie potenze coloniali che hanno difficoltà ad uscire dal neocolonialismo, Pechino oppone una legittimità storica fondata sul militantismo e la solidarietà. La Cina sembra lastricare i cammini della sua offensiva con una valorizzazione costante del passato ed un’esaltazione del futuro sino-africano. Pietra angolare del militantismo e dell’irradiazione cinese negli anni 1970, la nuova diplomazia cinese ha ormai per ruolo quello di promuovere questo uno spazio di sviluppo "benefici-benefici" tra l’Africa e la Cina.
CAPITOLO II: LE MANIFESTAZIONI DELLA POLITICA AFRICANA DELLA CINA
La nuova politica africana della Cina si iscrive in un passaggio coerente che lega le necessità di sviluppo interno del paese alla sua capacità di rassicurare in modo duraturo i mezzi necessari alla sua crescita. Fra quest’ultimi, il petrolio occupa un posto preponderante(15). La strategia di affermazione della Cina come uno "Stato forte" suppone che il paese sia liberato da ogni forma di costrizione imposta da altre potenze concorrenti, e suscettibile di ostacolare la sua indipendenza, e quindi, il suo sviluppo. Cosciente della sua grande vulnerabilità energetica da quando è diventata grande importatrice di petrolio(16) la Cina si è rivolta verso il continente africano per tre ragioni principali: garantirsi in modo duraturo l’approvvigionamento di materie prime, principalmente energetiche, indispensabili alla forte crescita del paese; disporre di un mercato poco esigente per le sue multinazionali emergenti; estendere la sua influenza nel mondo, in particolare nelle istituzioni internazionali, grazie al sostegno diplomatico dei paesi africani. Per raggiungere quest’obiettivi, gli “architetti” della politica africana della Cina si sono preparati a raccogliere allo stesso tempo le sfide politiche, economiche, socioculturali, o militari che segnano il partenariato strategico sino-africano.
Sezione 1: La messa in atto delle strutture politiche
Il ritorno di Pechino in Africa è caratterizzato dalla  volontà di compensare la debolezza della sua influenza politica sul continente con una serie di misure suscettibili di accrescere la sua presenza. Cosciente della necessità di disporre di tribune del tipo dei vertici franco-africani o delle riunioni periodiche del Commonwealth, Pechino ha lanciato un ciclo diplomatico articolato attorno ad una visibilità più vasta dei suoi dirigenti sul continente, della creazione di spazi di dialogo politico dedicato ai Forum sulla cooperazione sino-africana (FCSA) e l’istituzionalizzazione di riunioni annuali ai più alti vertici.
§1. Le visite di stato: segni della rinascita diplomatica
Da quando ha identificato l’Africa come un partner strategico, la Cina cerca di garantirsi una visibilità politica all’altezza delle sue ambizioni. Se negli anni 80, i soggiorni dei capi cinesi erano soprattutto motivati dalla pressione diplomatica attorno alla questione taiwanaise, le visite attuali sono dirette verso paesi ad alto potenziale politico e soprattutto economico. È a partire dal 1995 che il balletto di visite cinesi prende il suo vero volo. Il primo ministro Li Pong, Qiao Shi, Presidente del comitato permanente dell’assemblea popolare nazionale, i 3 vice primi ministri, Zhu Rongji, Qian Qichen e Li Lanqin, soggiornano in Africa. Nel maggio 1996 Jiang Zemin, il presidente della RPC e segretario generale del partito comunista cinese (PCC) si reca in visita ufficiale in sei paesi africani. Questo gesto forte in direzione del continente segna il punto di partenza di una nuova definizione della politica cinese in Africa. È dall’alto della tribuna della Organizzazione dell’unità africana (OUA) ad Adis Abéba che il Presidente Zemin porta a battesimo il partenariato strategico sino-africano nella sua allocuzione intitolata "per una nuova opera monumentale negli annali dell’amicizia sino-africana". Dopo la sua ascesa al potere nel 2003, il Presidente Hu Jintao moltiplica i segni d’interesse in direzione del continente. Dopo la sua visita africana nel gennaio 2004 in Egitto, in Gabon, quindi in Algeria, il Presidente cinese ha soggiornato in Marocco, in Nigeria e in Kenia nell’aprile 2006. Questo soggiorno fa seguito al tour africano del ministro cinese degli affari esteri Li Zhaoxing in occasione del 50° anniversario dell’instaurazione delle relazioni diplomatiche tra la Cina e l’Africa. In breve, il 2006 segna l’anno dell’Africa in Cina, al punto che il Presidente Jintao, il primo ministro Wen Jiabao ed il capo della diplomazia Li Zhaoxing hanno portato la buona novella in quindici paesi africani, rafforzando così l’interesse e la serietà che Pechino intende insufflare in questo idillio sino-africano(17). Per battere il ferro mentre è ancora caldo, il Presidente Jintao ha iniziato un nuovo tour africano dedicato a dieci paesi nel gennaio-febbraio 2007. L’ardore della diplomazia cinese è pari all’ambizione di Pechino di formalizzare i suoi scambi con il continente attraverso strutture percorribili.
§2. Gli spazi di dialogo: Il Forum sulla cooperazione Sino-africana
Per dare un quadro d’espressione duratura al nuovo partenariato, Pechino si è rapidamente reso conto che la cooperazione iniziata e le ripercussioni politiche dei vari giri dei suoi dirigenti avevano bisogno di un’istanza formale per nascere. Così dal 10 al 12 ottobre 2000, la prima conferenza del FCSA riunisce a Pechino 45 paesi africani, di molte organizzazioni internazionali e regionali, come pure i rappresentanti del settore privato. Questa prima iniziativa raccoglie, oltre al segretario generale del OUA, quattro capi di stato africani (dell’Egitto, dello Zambia, del Togo e della Tanzania). La riunione è sancita da due testi importanti: la dichiarazione di Beijing ed il Programma per la cooperazione sino-africana. È segnata anche da un gesto forte che non trascurerà di suscitare l’interesse dei capi di stato non che hanno partecipato. Infatti, Pechino annulla una parte del debito dei paesi africani al livello di 10 miliardi di dollari e prende un appuntamento per il futuro. Tre anni più tardi, spetta ad Addis-Ababa accogliere la FCSA dal 25 al 26 novembre 2003. Oltre ad una partecipazione più arricchita dei capi di stato africani, Pechino riesce a fare ammettere la necessità di istituzionalizzare questo tipo di riunione. Un Piano d’azione 2004-2006 è adottato in attesa della realizzazione del 2006 che vedrà la Cina raccogliere i frutti del lavoro meticoloso della sua diplomazia. Quarantotto paesi africani di cui quarantuno capi di Stato e di governo hanno assistito alla terza sessione del FCSA dal 4 al 5 novembre 2006, che coincide con l’anniversario del cinquantenario dell’instaurazione delle relazioni diplomatiche con l’Africa (l’Egitto nasseriano aveva stabilito le sue relazioni diplomatiche nel 1956 con la RPC), questo vertice segna l’apoteosi ed attesta il successo dell’offensiva lanciata dalla Cina in direzione dell’Africa. È il più grande evento sino-africano dalla proclamazione della RPC. Definito storico dalla maggior parte dei partecipanti, il vertice è percepito come l’antitesi delle riunioni franco-africane o i vertici del Commonwealth. L’obiettivo sembra raggiunto per Pechino se si giudica questa dichiarazione del Presidente algerino Abdelaziz Bouteflika, al termine del vertice: "la Cina e l’Africa possono, contare su un partenariato di tipo nuovo, reciprocamente vantaggioso e che non deve soffrire delle conseguenze della storia coloniale e di quelle, dannose, indotte da un aiuto allo sviluppo paternalistico(18)" il vertice ha approvato una dichiarazione di Pechino ed un piano d’azione 2007-2009. Meglio, la Cina ha riempito i suoi ospiti di una generosità fino ad allora mai raggiunta(19).
Così puntando sulla diplomazia per attuare con successo l’apertura della Cina al mondo e consolidare le sue possibilità di sviluppo, Deng Xiaoping l’ “artigiano” della Cina moderna poneva in filigrana le esigenze della politica estera cinese in Africa. I suoi successori Zeming e Jintao hanno capito che la cooperazione militante tinta d’ideologia terzomondista doveva cedere il passo ad un approccio pragmatico centrato soprattutto sugli interessi della Cina. Realismo e pragmatismo sembrano essere le leve sulle quali si sostiene Pechino per mettere in opera la sua diplomazia economica e commerciale in Africa, polmone della sua strategia di potenza.
Sezione 2: La diplomazia economica e commerciale
Se l’irradiazione politica della Cina in Africa non soffre di alcun dubbio alla luce delle visite dedicate da suoi dignitari al continente, la dimensione economica della penetrazione cinese d’altra parte, è rivelatrice delle ambizioni di Pechino. L’indicatore manifesto di quest’apertura risiede nelle cifre vertiginose che illustrano la crescita del commercio sino-africano. Dai 20 miliardi all’estate 2004, il commercio sino-africano è passato a 37 miliardi di dollari nel 2005. Queste cifre, che non soffrono di alcuna ambiguità quanto agli scopi economici di Pechino, spiegano una realtà multiforme che si declina in una serie di strategie determinate. In primo luogo, "la diplomazia energetica", al cuore delle priorità cinesi, è oggetto di un trattamento privilegiato nel partenariato sino-africano. Si aggiunge che Pechino, nella sua logica commerciale a lungo termine sta promuovendo un modello cinese che rimette in discussione le pratiche tradizionali d’aiuto allo sviluppo messe in atto dalle istituzioni finanziarie internazionali (Banca mondiale, FMI) e le vecchie potenze coloniali. Infine questa strategia globale si accompagna dalla messa in atto progressiva sul continente di un ambiente ottimale per gli affari  a profitto delle nascenti multinazionali cinesi.
§1. La diplomazia petrolifera: il cuore della strategia cinese
Nel 1993, la Cina diventa importatrice di petrolio. Per fare fronte all’aumento della produzione nazionale di greggio deve superare molti ostacoli. Infatti, Pechino non dispone dei "know-how" tecnologici per sfruttare le sue riserve naturali a causa delle costrizioni geologiche e soprattutto a causa delle sue raffinerie inadatte per trattare l’alto tasso di solfuro presente nel suo petrolio. A queste costrizioni d’ordine tecnico si aggiunge una ragione geopolitica principale: la Cina, dalle conseguenze energetiche della rottura con l’URSS negli anni 60, ha sempre temuto un "energy containement". Pierre Antoine Braud conclude che "la crescita economica cinese può essere messa in discussione, si tratta per Pechino di differenziare queste fonti di approvvigionamenti, senza ricorrere al mercato internazionale, ma ottenendo un controllo duraturo dello sfruttamento e della produzione (20)." Queste ragioni spiegano perchè l’Africa sia diventata la terza zona d’internazionalizzazione delle società petrolifere cinesi, attirate soprattutto dai tre grandi paesi produttori che sono il Sudan, l’Angola e la Nigeria. Contenendo il 9% delle riserve petrolifere mondiali e garantendo l’11% della produzione, l’Africa è la terra promessa che la Cina sogna per differenziare i suoi approvvigionamenti. La diplomazia energetica della Cina si presenta generalmente sotto forma d’offerta multidimensionale per i paesi d’accoglienza. Quest’ultimi hanno spesso in comune le caratteristiche seguenti: stabiliti in zone di crisi abbandonate dalle major petrolifere occidentali (caso dell’Angola e del Sudan), sono spesso impegnati in una braccio di ferro con la Comunità internazionale per ragioni di politica interna; dispongono, d’altra parte, di riserve petrolifere poco ambite o  che non offrono alcuna redditività immediata. La strategia d’instaurazione delle società petrolifere cinesi si adatta alla situazione di ogni paese.
A) Il Sudan: petrolio contro sostegno diplomatico
Nel 1997, in un Sudan in preda alla guerra civile tra il Nord ed il Sud, l’impresa di Stato Cina National Petroleum corporation (CNPC) si impegna a sfruttare nel quadro di una joint venture (con una ditta malesiana ed un’altra canadese) i giacimenti del sud di paese, più esattamente nel bacino di Muglad con un investimento globale di un miliardo di dollari. La CNPC "ha importato" 2000 operai cinesi(21) per realizzare una conduttura di 1600 km che collegasse i campi petroliferi di Muglad al mare rosso. Oggi, il Sudan fornisce il 7,5% delle importazioni totali della Cina. Quest’investimenti sono stati realizzati in una zona in preda ad una lunga guerra civile durante la quale, lo Stato sudanese, benché marginalizzato, è stato rifornito di armi dalla Cina. Come sottolinea la relazione di Amnesty International del 2006, la Cina ha consegnato armi al governo di Khartoum accusato di genocidio nel Darfour. Marie-France Cros aggiunge, a questo proposito, che "Pechino non ha avuto cuore. Quando il governo sudanese, tra il 1999 ed il 2001, muoveva una politica di terra bruciata delle centinaia di migliaia di civili nelle zone petrolifere (…) per lasciare campo libero alle imprese, la Cina non se ne è curata, mentre le società occidentali – come la canadese Talisman, che ha dovuto lasciare il Sudan dopo una campagna delle ONGS canadesi – sono sottoposte ad una forte pressione nei loro paesi.(22) "Dinanzi alla protesta sollevata da tali rapporti d’affari, l’agenzia di stampa ufficiale, Cina nuova, giustificava, nel dicembre 2005, la posizione cinese in termini inequivocabili:" La Cina non ha mai legato il suo aiuto all’Africa a condizioni politiche (…) eccetto una: che i partner africani di Pechino rompessero con Taipei." Fedele alla sua politica di non ingerenza, Pechino continua a portare un sostegno manifesto al Sudan come con il famoso esempio della risoluzione 1567 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sul Darfour adottato nel 2004, testo fortemente temperato grazie all’azione della Cina.
B) L’Angola: petrolio contro sostegno economico
La pratica della diplomazia energetica cinese si rivela efficace anche in Angola, paese straziato da molti decenni di guerra e diventato oggi il primo fornitore di petrolio della Cina nell’Africa subsahariana. Trendo profitto dai suoi legami di lungo corso con il governo di Luanda, in particolare con la vendita regolare di armi durante la guerra di liberazione angolana degli anni ’70, e dall’indebolimento degli interessi francesi consecutivi all’affare Falcone, La China Petroleum & Chemical corporation (CPCP) riesce nel novembre 2004, a strappare, alla società francese Total, lo sfruttamento del blocco 3/80 nel nord del paese. Questa bella apertura coincide con i tentativi del fondo monetario internazionale (FMI) e della Banca mondiale (BM) di portare Luanda, ad una maggiore trasparenza sui fondi petroliferi: l’Angola, allora terza sui 102 paesi più corrotti secondo Transparency International, aveva visto, nel 2001, un terzo dei redditi dello Stato evaporarsi, mentre un quarto della popolazione soffriva per carestia ed attendeva un aiuto alimentare esterno. Pechino mise allora a disposizione di Luanda un prestito di 2 miliardi di dollari con l’1,5% di interessi su 17 anni, in cambio di 10.000 barili di petrolio al giorno. Le autorità angolane potevano ormai opporsi al FMI ed alla BM.
C) La Nigeria: petrolio contro promesse diplomatiche
Nel caso della Nigeria, "la Cina è arrivata ad un legame dove si mescolano commercio, materie prime e sostegno politico", secondo Chung-lian Jiang(23). Nel corso della sua visita dell’aprile 2006 alla Nigeria, il presidente Hu Jintao ha portato a termine un accordo riguardante quattro licenze di sfruttamenti petroliferi. Sono annunciati investimenti di 4 miliardi di dollari nelle infrastrutture, nelle centrali elettriche ed  nei servizi telefonici. Parallelamente, la China National Offshore Oil corporation (CNOOC) ha già acquisito il 45% della concessione petrolifera di Apko la cui produzione è prevista per il 2008, che illustra la strategia cinese basata sul lungo termine. Infine, dal 2005, la Nigeria si è impegnata a fornire 30.000 barili di petrolio al giorno durante cinque anni a Petrochina, una società pubblica cinese. Se i predecessori del presidente Hu Jintao hanno accordato il loro sostegno politico al dittatore nigeriano Sani Abacha, l’attuale diplomazia cinese fa pesare il potenziale che essa potrebbe portare alla Nigeria impegnata nella corsa per un seggio permanente africano al Consiglio di sicurezza dell’ONU(24). Grosso modo, è ad una vera diplomazia petrolifera articolata, in funzione delle circostanze, ad un sostegno politico, economico o diplomatico che Pechino consegna le sue aspirazioni in Africa. Questa politica energetica adottata con mano forte, non occulta gli sforzi cinesi di promuovere "un modello di sviluppo" in rottura totale con il paradigma occidentale.
§2. La promozione di un modello cinese: una nuova logica di aiuto
La presenza cinese in Africa si iscrive in una strategia globale di “circonvallazione” delle potenze occidentali concorrenti che sono soprattutto gli Stati Uniti e l’Unione europea. Si sostiene soprattutto sull’esaltazione del passato comune tra l’Africa e la Cina e della cooperazione Sud-Sud. Stabilendo il principio di non ingerenza e di neutralità come base della sua cooperazione, la Cina dissocia lo sviluppo economico dalle riforme politiche e propone un modello di sviluppo contrario alla politica d’aiuto condizionato messa in atto dall’occidente. Per Pechino, la democrazia è figlia della prosperità economica e non l’opposto. È per questo che, il libro bianco sulla politica africana insiste "sul rispetto della libera scelta dei paesi africani quanto alla loro via di sviluppo." La Cina, trae lezioni dalla sua cooperazione con il continente al termine di una riunione di tutti gli ambasciatori cinesi in Africa nel 1995, modificando la sua politica d’aiuto allo sviluppo. Questa nuova politica dell’aiuto deriva dall’importanza delle sue riserve monetarie, stimate a più di un miliardo di dollari. Mentre fino a quel momento la Cina si era limitata a convertirli in buoni del tesoro americano o in entrate in dollari, ha deciso ora di utilizzarli a fini geostrategici, lanciandosi in una politica d’investimenti, in particolare in Africa, per rafforzare la sua indipendenza energetica. Secondo il dipartimento Africa del ministero cinese degli Affari Esteri, l’aiuto esterno cinese è realizzato sotto le tre forme seguenti: il prestito preferenziale, i progetti di imprese a cogestione o a capitali misti, e l’aiuto senza contropartita. La pratica del prestito preferenziale si è già dimostrata valida in Angola dove investitori cinesi, nonostante l’ira del FMI e del BM, hanno messo a disposizione di questo paese 5 milioni di dollari. Con la politica dei progetti di imprese, Pechino estende la sua politica energetica all’acquisizione di materie prime diverse dal petrolio combinando lo sviluppo delle infrastrutture e l’estrazione dei minerali metalliferi. Così società cinesi sono attivamente impegnate nello sfruttamento del rame e del cobalto in Zambia e nella Repubblica Democratica del Congo, del carbone nel Mozambico(25). Questo sfruttamento si accompagna generalmente allo sviluppo di infrastrutture che fanno accettare l’idea che Pechino contribuisce allo sviluppo del tessuto industriale come dimostra la riparazione delle infrastrutture stradali o ferroviarie, in Angola, in Zimbabwe, in Nigeria, in Etiopia ed nel Gabon. Quanto all’aiuto senza contropartita, si traduce generalmente in realizzazioni di prestigio, questi "elefanti bianchi" spesso denunciati dalla cooperazione occidentale a causa dei costi enormi di manutenzione che implicano per i paesi d’accoglienza. Si è inoltre impegnata, al termine del vertice sino-africano del novembre 2006, a costruire gratuitamente una sede per l’Unione africana ad Addis-Abeba. L’aiuto senza contropartita si accompagna anche all’annullamento periodico dei debiti e al contributo di cooperatori cinesi in diversi settori. Nel 2004, si contavano circa 61.000 cooperatori cinesi in Africa. In totale Pechino dedica il 45% del suo aiuto allo sviluppo dell’Africa grazie ad una politica d’investimento multiforme che ha, secondo il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika, permesso all’Africa di raggiungere un tasso di crescita del 6%, il tasso più elevato di questi ultimi trent’anni(26).
Il modello cinese sembra generare emulazione al punto che Jawad Kerdoudi pensa che "l’Africa potrà prendere ad esempio la Cina per il suo sviluppo." Il modello cinese si è dimostrato valido, poiché permette un tasso di crescita più elevato che ha sottratto alla povertà milioni di persone(27). "Le nuova logica commerciale rimane sempre legate al concetto chiave "benefici-benefici", così cara alla Cina. È del resto la principale arma brandita dalle autorità cinesi contro i "donatori di lezioni" dell’occidente, ma soprattutto per presentare la sua cooperazione con l’Africa al di fuori di qualsiasi spirito di sfruttamento e di mercantilismo. Come sottolinea Valérie Niquet "la Cina offre un partenariato strategico fondato sul rispetto puntiglioso della non ingerenza, il rifiuto di ogni legittimità morale dell’occidente e il primato della specificità dei valori, opposto all’universalismo dei principi occidentali (28)."
14Discorso del Président Jintao alla cerimonia di apertura del Forum di cooperazione sino-africana di Beijing il 4-5 novembre 2006
15 Per misurare meglio il posto dei bisogni energetici cinesi, vedere allegato II p.61
16 La domanda quotidiana in petrolio è passata da 2,12 milioni di barili al giorno nel 1990 a 3,.95 milioni di b/j in 1999. essa è ritenuto a 7millions di b/j all’orizzonte 2010. fonte agenzia internazionale dell’energia OCSE 2004 17 Vedere allegato III p.62.
17 Vedere allegato III p.62
18 Intervista al Presidente algerino Bouteflika in www.el-mouredia.dz novembre2006
19 Vedere allegato IV p.63
20 Pierre Antoine Braud, « La Chine en Afrique, anatomie d’une nouvelle stratégie chinoise » Analysis, www.iss-eu.org, octobre 2005 p.2
21 Quest’operai sarebbero prigionieri di diritto comune che hanno ottenuti una riduzione di pena. Ibid.,p3
22 Marie-France Cros, « le nouvel ordre chinois en Afrique », la Conscience, avril 2006
23 Chung-lian Jiang, « la Chine, le Pétrole et l’Afrique », www.geopolitis.net, novembre 2004
24 Il presidente della Nigeria Obasanjo ha chiesto il sostegno ufficiale di Pechino per il conseguimento di una seggio permanente al Consiglio di sicurezza.
25 Vedere allegato V p.64
26 Intervista al Presidente algerino Abdelaziz Bouteflika, www.el-mouredia.dz, novembre2006
27 Jawad Kerdoudi, Consulente e economista e presidente dell’Istituto Marocchino delle Relazioni Internazionali (IMRI), « Sommet sino-africain, quels enjeux ? », www.menara.ma, décembre 2006
28 Valérie Niquet, «la stratégie africaine de la Chine »  op.cit., pp. 363-364