L’AFFERMAZIONE DI UNA STRATEGIA DI POTENZA: LA POLITICA AFRICANA DELLA CINA. Ultima parte.

fonte diploweb.com (trad. G.P.)

CAPITOLO II: QUALE FUTURO PER LA PACE E LA SICUREZZA IN AFRICA?

La presenza cinese in Africa si realizza in un contesto geopolitico portatore di rischi reali per il futuro della sicurezza del continente. Infatti, da un lato l’importanza degli investimenti fatti dalla Cina attraverso molti paesi africani, in particolare nel settore petrolifero, potrebbe tradursi concretamente sul piano della sicurezza con un impegno più marcato di Pechino. D’altra parte, l’offensiva cinese è di rilanciare le rivalità di Pechino con le altre potenze concorrenti, in questo caso gli Stati Uniti e le ex nazioni coloniali, fra cui la Francia.

Sezione 1. Il poker petrolifero: fattore di destabilizzazione

La bulimia petrolifera cinese è un fattore suscettibile di aizzare le rivalità politiche in un continente africano conosciuto per la fragilità delle sue strutture politiche ed economiche. Acconsentendo agli investimenti colossali in Africa, in paesi spesso instabili, è legittimo interrogarsi quando la Cina rispetterà scrupolosamente il principio di non ingerenza negli affari interni degli stati africani. L’atteggiamento di Pechino in Ciad, in Angola, in Costa d’Avorio e in Sudan lascia credere che la Cina non esiterebbe in un futuro prossimo ad intervenire militarmente o incoraggiare iniziative armate in Africa per garantire i suoi investimenti.

§1. Una presenza sempre più aperta nelle zone di conflitto

In Ciad, nuovo paese petrolifero ambito da Pechino nonostante le sue relazioni diplomatiche con Taiwan, la crisi istituzionale progressiva ha conosciuto il suo parossismo nel 2006 con la crisi nel Darfour e le offensive ripetute dei movimenti ribelli. L’aumento dei movimenti d’opposizione armata si è tradotto in molti attacchi che mirano a sovvertire il potere del Presidente Idriss Deby. Nel gennaio 2006, uno dei capi  dell’opposizione è stato ricevuto a Pechino, il che alimenta i sospetti di un aiuto cinese in tali combattimenti. Ndjamena non esita a denunciare l’aiuto militare cinese accordato alla raccolta di fondi per Démocratie e Liberté di Mahamat Nour, dagli ultimi attacchi di novembre e di dicembre 2006. La Cina è accusata di essere complice con il Sudan per accelerare la caduta del Presidente Idriss Deby e procedere ad una nuova ridistribuzione delle "carte" petrolifere. In Angola, paese appena uscito da una lunga guerra civile nel 1997, la Cina si è impegnata in una vasta operazione d’influenza che preoccupa gli osservatori. Si sostituisce al FMI ed alla BM per accordare prestiti preferenziali a questo paese in cambio del suo petrolio. È accusata dall’opposizione politica di finanziare la campagna elettorale del partito al potere, il MPLA. Senza pregiudizio per le prossime elezioni, inizialmente previste per il 2006 ma ancora rifiutate fino al 2008-2009, non è escluso che questo paese in ricostruzione non ricada nei demoni della violenza a causa della capacità della classe dirigente di sottrarsi alle critiche ed all’arbitrato della Comunità internazionale grazie alla manna cinese. Infine, in Costa d’Avorio, anche se il paese non presenta un grande interesse immediato sul piano energetico, la Cina approfitta della crisi attuale per stabilirsi durevolmente. Oltre al sostegno militare che accorda a questo paese in guerra civile dal 2002, la Cina porta un appoggio diplomatico alle autorità ivoriane. Così, in seguito ai bombardamenti del campo militare francese di Bouaké, nel novembre 2004, il Consiglio di sicurezza dell’ONU, con la risoluzione 1572, ha decretato un embargo sulle armi e sanzioni contro le persone riconosciute colpevoli "di violazioni gravi dei diritti dell’uomo e del diritto internazionale umanitario in Costa d’Avorio". Nel febbraio 2006, dopo gli attacchi dei partigiani del Presidente Laurent Gbagbo contro le forze onu, il Consiglio di sicurezza ha deciso di colpire gli istigatori di queste violenze con il congelamento dei loro averi ed il divieto di uscire dal paese. Pur approvando la risoluzione dell’ONU, Pechino è comunque riuscita a far togliere dall’elenco il coniuge del presidente Simone Gbagbo le cui posizioni estremistiche sono tuttavia ben note. Fino a quando il sostegno militare cinese continuerà ad alimentare un conflitto che minaccia a lungo termine tutta la sotto-regione occidentale africana?

§2. Verso una protezione militare diretta degli investimenti petroliferi?

In Sudan, dinanzi ai rischi di sabotaggio e d’attacco delle infrastrutture petrolifere nel Sud del paese da parte dei movimenti ribelli nel 2000, il governo non ha lesinato sui mezzi per attuare una politica di terrore e di spostamento forzato delle popolazioni Dinka e Nuers che vivevano vicino ai giacimenti. Questi metodi usati per creare un perimetro di sicurezza hanno moltiplicato gli esodi massicci di popolazione ed hanno alimentato le tensioni nel sud del paese. La necessità di sicurezza attorno ai pozzi petroliferi ha trasformato letteralmente questa parte del paese in un immenso “Far West” dove si concentrano forze multiple di sicurezza. Se alcune società ricorrono alle strutture private come Executive Outcomes, altre come la China Petroleum Engineering and Construction Group fanno ufficialmente appello alle forze armate governative. Tuttavia, sottolinea Jennifer Hery, "la popolazione locale sostiene che i lavoratori cinesi sono armati e sembrano rapidi nell’usare le loro armi.[11)" In uno dei suoi reportage dell’agosto 2000, il quotidiano britannico Daily Telegraph accusava la Cina di essere pronta ad inviare contingenti di soldati in Sudan per proteggre i suoi investimenti petroliferi. Quest’accusa veniva fatta  in seguito alla cattura di un gruppo di cinesi da parte dei ribelli dell’esercito di liberazione dei popoli del Sudan del Sud (SPLA) nel corso di combattimenti contro le forze governative. Peggio ancora, secondo una relazione di Amnesty International, [12) i lavoratori delle pipe-lines del GNPOC avrebbero beneficiato della protezione di combattenti afgani e malesi legati a reti terroristiche internazionali. Insomma, la presenza cinese si accompagna spesso ad una facilità di riarmo dei paesi e di un’esacerbazione delle tensioni legate alla sfida petrolifera. Vi è un sovrascorrimento di rischi evidenti di sicurezza, in particolare con lo sviluppo di zone di non diritto o rette dalla sola legge della protezione degli investimenti petroliferi.

Sezione 2. Verso un rilancio delle rivalità tra grandi potenze?

Naturalmente, l’aumento della diplomazia cinese in Africa rilancia la rivalità sorda tra potenze in quest’era di riconfigurazione delle posizioni geopolitiche. Contrariamente ad alcune previsioni che relegavano il continente al rango di spazio avulso alla sfida geopolitica principale, il commissario europeo Louis Michel informa in termini non equivoci: "È un fatto, in poco tempo l’Africa è diventata un continente ambito, poiché strategicamente importante." L’Africa conta oggi. In primo luogo, l’Africa conta in termini di fonti d’energia. L’energia proveniente dall’Africa svolge un ruolo importante nella sicurezza energetica di tutti i grandi consumatori mondiali, quali gli Stati Uniti, l’Europa e la Cina[13). Oltre alla rimessa in discussione del modello di sviluppo occidentale, il partenariato sino-africano potrebbe condurre ad nuovo trasferimento delle rivalità di potenza sul continente africano. Quest’ipotesi è fondata soprattutto dallo sguardo, sempre più critico, gettato da Washington sull’espansione della diplomazia cinese attraverso il mondo, in Africa principalmente. Si aggiunga che la Francia, anche se non reagisce ancora ufficialmente all’apertura cinese, inizia a manifestare una certa preoccupazione quanto al mantenimento delle sue relazioni privilegiate con le sue ex colonie. Infine, generalmente, l’Unione europea non intende essere messa da parte a causa dell’interesse che presta alla guerra energetica latente che si sviluppa attraverso il mondo.

§1. Il partenariato di fronte agli interessi degli Stati Uniti

Anche se la Cina cerca di condurre uno "sviluppo pacifico" sotto l’insegna dei "quattro no" del Presidente Hu Jintao (no all’egemonismo, no alla politica della forza, no ad una politica dei blocchi, no alla corsa al riarmo) evitando ogni forma di scontro con le potenze concorrenti, in particolare gli Stati Uniti, occorre riconoscere che la sua nuova diplomazia inizia ad attirare l’attenzione dei dirigenti americani. Nel documento riguardante la strategia di sicurezza nazionale pubblicato nel 2006, l‘amministrazione americana esprime apertamente i suoi timori in questi termini: "loro(i cinesi) sviluppano il commercio, ma agiscono come se potessero in un certo qual modo chiudere l’approvvigionamento energetico del mondo o cercare di dirigere i mercati piuttosto che aprirli, come se potessero applicare un mercantilismo di un’epoca screditata e sostenere paesi ricchi di risorse naturali senza tenere conto delle divergenze di condotta di questi regimi in materia di politica interna o della loro cattiva condotta all’estero". Questa critica mette in rilievo l’emergere della Cina come attore significativo sulla scena economica mondiale, con la sua domanda apparentemente inesauribile di materie prime. Sottolinea anche la grande sfida per gli Stati Uniti che puntano sull’Africa per il rifornimento energetico di molti settori. A lato delle sue obiezioni d’ordine economico, Washington nella sua lotta contro il terrorismo potrebbe rapidamente trovarsi in conflitto aperto con Pechino, più precisamente in alcune parti del continente. Infatti, l’appoggio diplomatico portato da Pechino ad alcuni regimi in posizione delicata con la Comunità internazionale favorisce lo sviluppo di zone di non diritto propizie all’impianto di gruppi terroristici. Il Sudan che si è distinto in passato come un santuario di terroristi musulmani è spesso accusato di proteggere combattenti d’origine islamica (afgani, malesi, sudanesi ecc…..). questa situazione entra in conflitto con la nuova visione strategica antiterrorista degli Stati Uniti. Infatti, il progetto del "grande Medio Oriente" elaborato da Washington riguarda stranamente molti paesi petroliferi africani (Mauritania, Mali, Algeria, Sudan ecc….) aventi rapporti commerciali con la Cina. Questo progetto che va dalla Mauritania al Pakistan consacrerebbe, in caso di successo, il dominio da parte degli Stati Uniti su una zona contenente il 65% delle riserve petrolifere mondiali. Tale controllo metterebbe gli Stati Uniti in una posizione favorevole rispetto alla Cina che, cosciente del pericolo, sembra spingere in avanti accelerando il suo insediamento in Africa. Nella lotta contro il terrorismo, si tratta per l’amministrazione americana di trasformare il grande Medio Oriente in una zona pacifica e chiusa a qualsiasi libertà d’azione di gruppi armati incontrollabili. Come ha sottolineato Brett Schaefer, specialista di questioni di regolamentazione alla "Heritage Foundation" di Washington, ad una conferenza tenuta il 7 marzo 2006, sull’influenza crescente della Cina in Africa ed in America latina: "vero campo di battaglia della guerra contro il terrorismo, l’Africa subsahariana è sempre più vulnerabile di fronte all’estremismo islamico, che prova ad estendere la sua influenza attraverso Sahel e l’Africa dell’Est." Ne deriva che le crisi politiche ed umanitarie che imperversano in Africa, ad esempio la situazione nella provincia sudanese del Darfour, interessa particolarmente gli Stati Uniti inizialmente per ragioni umanitarie, ma in seguito e soprattutto a causa di interessi strategici. La creazione di un ordine americano in Africa annunciato per settembre 2008 mostra che gli Stati Uniti sono risolutamente decisi a portare la loro strategia antiterrorista in zone "sotto protezione cinese". Il futuro delle relazioni sino-americane potrebbe conoscere una svolta decisiva in Africa, alla luce di quest’analisi di Drew Thompson: "gli Stati Uniti potrebbero vedere nella Cina un concorrente ed interessarsi sempre più allo sviluppo progressivo delle sfere d’influenza cinesi." Nello stesso tempo, la Cina potrebbe interpretare gli sforzi americani per promuovere la stabilità e la democrazia in Africa come ostacoli all’accesso alle materie prime ed una volontà di rallentare il suo presunto sviluppo pacifico[14). "(siamo noi che traduciamo)."

§2. Quali reazioni aspettarsi dalla Francia e dall’Ue?

Dal lato della Francia, il partenariato sino-africano non lascia più insensibili. Una relazione di 200 pagine dedicata alla penetrazione cinese, pubblicata nel gennaio 2006 dal gabinetto Bd-consultant, conclude sulla necessità di adottare misure vigorose per salvaguardare la politica africana della Francia. Dopo aver puntato il dito sul dinamismo economico cinese in Africa, la relazione cita che "l’efficacia cinese contrasta con una passività relativa francese (…). senza una reazione che mira a rinvigorire e rivitalizzare i diversi aspetti della nostra presenza, la Cina occuperà probabilmente un posto più importante della Francia sulla scena africana." Questa sentenza inequivocabile annuncia misure audaci che susciteranno una rivalità franco-cinese al livello di continente, soprattutto nei paesi dove gli interessi petroliferi francesi sono oggi minacciati dall’insediamento cinese. Infatti, le ditte petrolifere francesi Total ed Elf sono sempre più oggetto di concorrenza da parte dei loro omologhi cinesi in Gabon e in Congo. Il Gabon, di cui più dell’80% del legno è esportato in Cina, è passato nello spazio di un decennio a diventare il secondo cliente della Cina. Il Congo ha concluso nel marzo 2005 con la società petrolifera Sinopec cinese un accordo di sfruttamento di due blocchi off-shore. Sullo sfondo delle rivalità economiche, non si è escluso che la concorrenza tra ditte cinesi e francesi sia la rimessa in discussione della fragile stabilità di questi due paesi. In passato, l’impresa francese ELF è stata accusata di avere finanziato fazioni ribelli per sovvertire nel 1998 il governo del Presidente Pascal Lissouba in Congo, poco favorevole all’epoca ai loro interessi, poiché aveva incoraggiato l’arrivo di nuovi investitori come Occidental Petroleum, Shell o Exxon. La volontà cinese di ancorare la sua presenza in Africa centrale può a lungo termine tradursi in un sostegno ad una fazione armata più sensibile alla sua espansione. In Gabon, gli interessi finanziari francesi che potrebbero costituire leve per garantire la stabilità e la democratizzazione del regime di Omar Bongo, sono sempre più indebolite dall’insediarsi dei cinesi. La corte assidua della Cina a questo dirigente africano, che ha del resto moltiplicato i suoi viaggi a Pechino, lascia pensare che questo ultimo potrebbe guardare  alla Cina per fare fronte ad eventuali condizionalità francesi. Nel perimetro africano, la presenza cinese rimette molto chiaramente in discussione lo spirito de la Baule sul quale contava, in primo luogo, la Francia per iscrivere le sue ex colonie sui cammini del buongoverno. Occorre constatare oggi che una ripresa della politica africana della Francia passa per un confronto aperto con il partenariato sino-africano. Questa lotta è già cominciata nelle istituzioni internazionali in cui la Cina utilizza tutta la sua influenza per proteggere i suoi alleati economici contro eventuali sanzioni. La durata del conflitto ivoriano sottolinea fino a che punto la Francia non dispone più di leve la cui efficacia era indubitabile nella gestione dei conflitti africani. Ad ogni modo, l’instaurazione di strutture politiche sino-africane realizzabili preoccupa al punto che Renaud Delaporte annuncia il fallimento delle ambizioni francesi in Africa in questi termini: "Mettendo deliberatamente il vertice sino-africano nel quadro di un dialogo Sud-Sud, la Cina si impone come la sola potenza capace di offrire all’Africa la speranza di una politica di sviluppo realistico, pragmatico e quindi applicabile. Ratifica il fallimento di trentatre anni di politica africana francese (49)". L’Ue di cui il 20% delle importazioni petrolifere proviene dall’Africa non tarderà probabilmente a confrontarsi con la strategia cinese in Africa. Infatti, la perdita progressiva di concessioni petrolifere, l’arretramento delle imprese europee del BTP eventualmente costringerà l’Ue a pensare al futuro economico sul continente in occasione del prossimo vertice euro-africano previsto per il secondo semestre 2007. Anche se il petrolio africano non costituisce una sfida strategica per la maggioranza dei suoi membri, resta il fatto che la guerra del gas del dicembre 2005 vinta dalla Russia (che fornisce il 25% del gas ed il 42% del petrolio all’Ue) incita ad interessarsi ad altre fonti d’approvvigionamento, fra cui quelle Africane. Infine, nel momento in cui l’Ue intende insufflare un nuovo dinamismo alla sua cooperazione con l’Africa mediante la promozione di accordi multilaterali(50) la Cina accetterà di seguirla rispetto al "partenariato di valori" di cui parla Louis Michel, commissario europeo allo sviluppo ed all’aiuto umanitario?

CONCLUSIONI

La fine della guerra fredda e la riconfigurazione delle relazioni di potenza hanno inserito la RPC nell’elaborazione di una strategia d’espansione e di affermazione originale. Mentre fino a quel momento, la concorrenza militare sembrava essere il garante della potenza degli stati, Pechino ha inaugurato una nuova fase di affermazione centrata sul concetto di sviluppo pacifico. L’obiettivo ultimo è di partecipare all’emergere di un mondo multipolare di cui la Cina potrebbe occupare, un giorno, una delle prime piazze anche se non necessariamente la prima. Per raggiungere quest’obiettivo e per evitare ogni conflitto (con gli Stati Uniti in particolare) suscettibile di compromettere la sua irradiazione, la Cina si dispiega secondo una "diplomazia asimmetrica" dove le relazioni economiche bilaterali occupano un posto centrale. Moltiplicando i successi economici dalla riforma iniziata da Deng Xiaoping nel 1978, la Cina non ha messo molto tempo per capire che il mantenimento del suo posto nel mondo è strettamente legato alla sua capacità di differenziare e assicurare le sue fonti d’approvvigionamento energetiche. È in un tale contesto che Pechino, dopo un periodo di letargia durato più di un decennio, ha deciso di iniziare un partenariato strategico dinamico con l’Africa. Fermamente attaccata alle correnti dei cambiamenti profondi che caratterizzano l’universo post-guerra fredda, la Cina si è lanciata in una dinamica di calibratura della sua diplomazia per metterla al servizio dei suoi obiettivi strategici, fra cui il più importante risiede nella sicurezza energetica. La scelta dell’Africa non è affatto fortuita poiché il continente ha sempre rappresentato una parte fondamentale nell’irradiazione della Cina. Meglio, il partenariato strategico sino-africano, dal lato di Pechino, è un modello distante dalle vie battute del colonialismo e dallo sfruttamento stabiliti dalle vecchie potenze. Questa fraseologia angelica che caratterizza il discorso ufficiale cinese ha tuttavia difficoltà a nascondere i cambiamenti intrinseci della politica africana della Cina: gli imperativi del mercato prevalgono ormai sul discorso militante degli anni 70. Sul piano economico, anche se è ancora prematuro parlare di pericolo, le tendenze pesanti lasciano chiaramente vedere che il modello di cooperazione cinese in vigore ricorda la politica di sfruttamento delle materie prime delle potenze occidentali nel periodo successivo alle indipendenze africane. In questo senso, si collega ad una logica di predazione e non garantisce alcuna crescita a lungo termine delle economie africane. È sintomatico che la terza visita del presidente cinese nello Zambia nel febbraio 2007 si sia svolta sotto alta sorveglianza poliziesca, a causa dei rischi di manifestazioni violente dei lavoratori del settore minerario controllato dalle ditte cinesi. Nella maggior parte delle capitali africane, le proteste, contro la concorrenza sleale al settore privato nazionale e la violazione dei diritti sindacali degli imprenditori cinesi, si amplificano di giorno in giorno. Grosso modo, gli indici economici della presenza cinese in Africa non indicano la presenza di una “boa di salvataggio” per le economie locali alla deriva. Al massimo, l’offensiva cinese offre soltanto l’illusione di uno sviluppo ai paesi africani ricchi in materie prime, in petrolio in particolare. Nel settore politico, mettendo al cuore della sua strategia il principio di non ingerenza e di neutralità nelle sue relazioni con i paesi africani, la Cina ha introdotto nuovi parametri nella valutazione del futuro politico ed economico del continente. Mentre fino ad allora il decollo economico del continente si basava soprattutto sull’applicazione di norme di condizionalità, il partenariato proposto da Pechino è presentato come una minaccia diretta al processo democratico iniziato nella maggior parte degli stati africani. Gli sforzi d’integrazione sostenuti dalla UA e dalla Comunità internazionale si vedono così tirati fuori dall’alternativa offerta da Pechino a regimi politici poco propensi ad assoggettarsi alle norme di democratizzazione e di buona gestione. Il Sudan, l’Angola e lo Zimbabwe costituiscono il gruppo di testa che, probabilmente, andrà allargandosi nei confronti dell’indifferenza di Pechino alle critiche della sua politica africana. Purtroppo, in questo settore particolare, la Cina non ha lezioni da ricevere dall’occidente che ha sostenuto ed incoraggiato regimi autocratici sul continente africano. Come lnota Lionel Vairon, "la Cina si trova in una situazione simile a quella delle vecchie potenze coloniali (…) che hanno portato il loro sostegno a regimi autocratici (…). l’ingerenza negli affari di questi stati era allora la norma, ma nessuno se ne risentiva, e soprattutto i dirigenti africani ne beneficiavano in cambio di rendite e di un’impunità immane(51)." Lungi dal garantire lo sviluppo dell’Africa, il partenariato strategico sino-africano solleva anche interrogativi legittimi sul futuro della pace e della sicurezza. Il sostegno militare incondizionato di Pechino a regimi politici dittatoriali, la vendita incontrollata di armi delle imprese cinesi ed i tentativi di un’implicazione militare diretta di Pechino nella protezione dei suoi investimenti petroliferi sono altrettanti argomenti preoccupanti. Nel momento in cui le potenze occidentali sembrano trascurare il continente africano o vi ha mantenuto soltanto una soglia di presenza minima, la Cina ha mostrato la sua capacità di assumere un nuovo ruolo di potenza emergente. Dando prova di un dinamismo impressionante, ha messo in atto una strategia globale per trovare nuove frontiere alle sue popolazioni ed alla sua economia. Attore a pieno titolo della mondializzazione, Pechino ha compreso il vantaggio che poteva tirare fuori dall’Africa utilizzando una delle armi più temibili del dopo guerra fredda: la potenza economica. Questa potenza in azione attraverso tutto il continente non ha ancora rivelato tutte le sue intenzioni. In tutti i casi, oltre ai problemi che continua a sollevare, sfida l’Africa sulla sua capacità di assumere su di sè il proprio destino e considerare l’aiuto esterno, ovunque provenga, come un supplemento e non il principale perno del suo sviluppo. Infatti, più che un tentativo di demonizzazione del pericolo rosso, l’Africa dovrebbe mettersi all’opera per presentare una strategia globale al partner cinese, e aggirare così il bilateralismo destrutturante della Cina. È con la forza delle sue proposte politiche, economiche, sociali e di sicurezza che sarà in grado di misurare l’utilità del partenariato benefici-benefici proposto dalla Cina. Il NEPAD potrebbe essere il punto di partenza ed il quadro istituzionale di relazioni multilaterali sino-africane. Dopo il fallimento di molti decenni di cooperazione con l’occidente, il partenariato sino-africano può essere un momento storico di valutazione e di decisione per l’Africa, del nuovo orientamento delle sue relazioni con i partner esterni dello sviluppo. In questa prospettiva, una delle monete più sicure potrebbe certamente nascere dal suo nuovo contatto con l’impero di mezzo che, dopo molti secoli d’occupazione coloniale, sembra avere definitivamente girato le spalle all’ideologia che ha sempre nutrito la sua politica estera a profitto del realismo e del pragmatismo, i nuovi paradigmi della diplomazia cinese su scala mondiale.

 

[10]  44 Jean-Christophe Servant, « La Chine à l’assaut du marché africain » op. cit.p.5

[11] 45 Jennifer Héry, « le Soudan entre pétrole et guerre civile », Harmattan, 20003 p40-41

[12] 46 Rapport Amnesty International, « The Human Price of Oil », Mai 2001

[13] 47 Louis Michel, Commissaire européen au Développement et à l’Aide humanitaire, « Il est temps de remettre l’Afrique au centre de la politique extérieure européenne », Conférence publique sur la Stratégie Afrique, Berlin, le 28 novembre 2006

 

[14] 48 Drew Thompson, “Economic growth and soft power: China’s Africa strategy”: Volume 4, publié par la Foundation Jamestown; Décembre 2004  

49 Renaud Delaporte, op.cit. p.30

50 Louis Michel, Commissaire européen au Développement et à l’Aide humanitaire « Il est temps de remettre l’Afrique au centre de la politique extérieure européenne » op. cit.

51 Lionel Vairon, Défis chinois, introduction à une géopolitique de la Chine, Ellipses 2006. p.97