L’AVANZATA DELLE MILIZIE

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Le milizie del Donbass stanno riportando importanti vittorie in tutta la zona dei combattimenti e si dirigono a sud, verso il mare. Le truppe di Kiev fuggono da Mariupol per evitare di scontrarsi con i resistenti. Anche Slaviansk sta per essere liberata, dopo essere stata rasa al suolo dai governativi nei bombardamenti di qualche mese fa. L’idea dei Generali di Kiev di ritirarsi verso questi due centri per riorganizzare l’esercito, in previsione della campagna invernale, si dimostra irrealistica. La linea del fronte deve essere ancora spostata più indietro, nella regione di Dnepropetrovsk. A quanto pare, si prevede una sospensione delle operazioni già in ottobre, come annunciato ieri da Turchinov. In verità, i golpisti non hanno scelta, gli uomini sono scoraggiati, le armi sono insufficienti e scarseggiano i rifornimenti. La loro strategia di guerra è stata fallimentare. L’assedio di Donetsk e di Lugansk è stato un altro tentativo improvvisato di spezzare la volontà della popolazione, ed il suo sostegno ai separatisti, colpendo indiscriminatamente a distanza sui luoghi pubblici e sulle abitazioni, sottraendosi al corpo a corpo coi miliziani. Gli oligarchi non hanno esitato a mettere in atto un piano criminale, suggerito dai propri protettori atlantici, che prevedeva, sin dall’inizio, lo sterminio dei cittadini russofoni, divenuti bersaglio dei cannoneggiamenti della guardia nazionale e dei pogrom dei nazisti filo-occidentali di Pravy Sektor. La propaganda con la quale Kiev ha mascherato le sue sconfitte sta per sciogliersi come neve al sole. Un’ondata di insoddisfazione travolgerà tutto l’ovest del Paese e la pessima condizione economica fungerà da moltiplicatore del malcontento generale. I capi della rivolta di Majdan, dopo aver fatto credere agli ucraini di poter fare a meno dei vicini russi, reclamano la loro comprensione ed un ripristino delle relazioni commerciali. Il Premier Yatseniuk invoca l’accordo sul gas con Mosca, a prezzi calmierati, in previsione di un inverno lungo e rigido. Poroshenko dichiara di voler riattivare i canali diplomatici col Cremlino perché l’Ucraina necessita di buoni rapporti con esso per risolvere la crisi sociale ed economica. Parole distensive che giungono con mesi di ritardi e troppi morti sulla coscienza. Senza il Donbass, che vale il 60% della produzione nazionale, lo Stato ucraino cesserà di esistere. A questo punto le strade sono due: o Kiev riesce a convincere Mosca approvando una nuova costituzione federalista che assegni ampia autonomia alle province ribelli oppure la divisione in due dell’Ucraina, con la creazione di un’entità statale indipendente nel Sud-Est, sarà inevitabile. In ogni caso la transizione dovrà avvenire dando spazio, nei futuri assetti istituzionali del Paese, a soggetti non compromessi con le potenze straniere che hanno finanziato il colpo di stato contro Yanukovic. Questi scenari dovrebbero venire in evidenza a breve, se gli esiti della guerra procederanno lungo la direzione attuale. Esiste sempre il rischio di un coinvolgimento maggiore di Usa ed Ue che potrebbe prolungare l’agonia degli ucraini. Ciò implicherebbe un una estensione di questa disputa internazionale su altri teatri che sarebbe deleteria per tutti. Staremo a vedere.

 

Ps. Ieri sul Corriere, che continua a distinguersi dagli altri quotidiani per la divulgazione di notizie tendenziose sul conflitto ucraino, oltre al solito delirio di Dragosei, il Minotauro con le palle attaccate al sellino della sua bici, c’era un intervento di Luigi Ippolito intitolato “L’esibizione oscena dei vinti”. Il riferimento era alla sfilata dei prigionieri ucraini lungo le strade di Donetsk che ha urtato la sensibilità di quest’anima bella incline all’umanitarismo a “etnie” alterne. Ippolito, che finora non ha sprecato nemmeno parola contro l’uccisione indiscriminata di civili nel Donbass, commette due gravi errori gravi di valutazione. Il primo consiste nel mettere sullo stesso piano quanto accaduto a Donetsk, a Gaza e in Iraq. Mentre la parata dei prigionieri di Donetsk si è conclusa con un lavaggio delle vie dove erano passati i soldati catturati, che simbolicamente puliva i loro crimini, a Gaza e in Iraq l’esposizione degli sconfitti è terminata con delle esecuzioni sommarie. Se il giornalista non vede l’essenziale differenza tra questi episodi o è stupido o è in malafede. Certo, non è stato uno spettacolo edificante quello di Piazza Lenin ma non lo è nemmeno l’improprio accostamento di Ippolito che sovverte la logica e annega il lume della ragione nell’incapacità di distinguere tra umiliazioni e delitti. In secondo luogo, Ippolito, non pago del primo strafalcione prova anche a filosofeggiare su cose che stenta a discernere. Scrive il giornalista che trattasi di: “esibizione del corpo del vinto, spossessato della sua umanità, ridotto a cosa nella sua totale disponibilità. Rappresentazione «oscena» che si compiace della «nudità» dell’altro. Corpi nemmeno più viventi, già di fatto trapassati nel recinto della morte…Il nemico, interno o esterno che sia, va terrorizzato, va ammonito che il suo destino ultimo è la nullificazione”. Il nostro filosofo dilettante si è smarrito nei suoi stessi discorsi obliterando alcune questioni essenziali che se esposte inficerebbero il suo giro di paroloni sin dalle premesse. Facciamola breve ed includiamo i necessari antefatti che hanno scatenato queste scene altrimenti è troppo semplice, anche per un prestigiatore della chiacchiera come Ippolito, avere la meglio su tutti gli spiriti sensibili che purtroppo abitano questa terra. I tuoi poveri uomini vinti, caro giornalista, si sono macchiati di omicidi atroci contro cittadini disarmati. E lo hanno fatto ben protetti dagli aerei e dai carri armati, stando dentro i quali è facile tirare il grilletto o spingere il pulsante del cannone, perché non guardi negli occhi le tue vittime, non senti le loro urla di dolore e non ti bagni delle loro lacrime e del loro sangue. Centri l’“obiettivo” e non vedi le loro membra straziate. Insomma, non colpisci muscoli e nervi ma miri ad un luce sul tuo radar, segui un puntino sullo schermo che smette di lampeggiare quando hai colpito. Questa è disumanizzazione. Il corteo di due giorni fa a Donetsk ha, invece, restituito a questi soldati l’umanità che avevano smarrito, la vergogna meritata per il sangue innocente versato, l’umiliazione degli sputi in faccia per i reati di cui si erano macchiati, il terrore di essere linciati a causa dei loro atti scellerati ed, infine, il senso di colpa, cresciuto sotto la paura di incorrere nella vendetta, per aver ammazzato, senza conoscerli, i parenti di tutta quella gente. Questa è la vera umanità, quella tragica e penetrante che viene fuori unicamente quando i suoi rappresentanti si rendono conto di aver toccato il fondo. L’umanità emerge proprio quando gli uomini danno il peggio di loro stessi e si ravvedono per un momento perché circondati dalle macerie e dalla morte. Il senso di umanità è sempre più spiccato in quelli che temono di essere ripagati con la stessa moneta e col male che hanno causato. Dura poco, tuttavia, questo senso di resipiscenza. Col tempo il rilassamento delle coscienze prepara altre, se non superiori, nefandezze. Non c’è essere più spregevole di quello umano checché ne pensino intellettuali e religiosi. Come diceva Lenin, l’umanità va bastonata in testa per costringerla ad accettare i miti consigli. Ciò che dura a lungo sono i vaniloqui dei filosofi e dei giornalisti che, negando l’evidenza, fanno i gargarismi con i valori acquistati sul mercato delle ideologie dominanti, per farsi una carriera ed un cospicuo conto in banca.