L’ITALIA BEVUTA IN UN SOROS

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Il Premier Gentiloni ha incontrato a Palazzo Chigi il magnate Soros. Quest’ultimo è uno spregiudicato finanziere che lavora a stretto contatto con gli apparati statali statunitensi di cui è “ambasciatore” occulto. Soros, oltre a fare denaro dal denaro, finanzia organizzazioni umanitarie e fondazioni che hanno il compito di rendere attraente il modo di vivere americano nel mondo, in accordo con alcuni circoli dominanti di quel paese. Soros non fa quello che fa solo per soldi (non è mica un Briatore qualsiasi) ma per proiettare all’estero il modello sociale d’ispirazione yankee (che poi è quello che favorisce i suoi affari).

Per vincere la sua battaglia, orientata da falsi principi morali, ritenuti universali, non lesina i colpi bassi. La sua filantropia non è disinteressata ma fortemente ideologica e, benché essa tenda a mascherarsi dietro i dettami della cosiddetta società aperta, di popperiana memoria, ha obiettivi molto più pragmatici, come plasmare, sulla matrice statunitense, i sistemi degli altri paesi, soprattutto di quelli resilienti alla sua influenza. I valori della democrazia americana sono considerati, dai suoi diffusori, naturali e assoluti; essi, pertanto, devono essere affermati a qualsiasi costo, anche violando la sovranità delle nazioni o capovolgendo governi legittimamente eletti che rifiutano di adeguarsi allo standard. Esportare la democrazia significa espropriare i popoli del diritto di decidere come vivere, vuol dire imporre con le minacce e la violenza il punto di vista del più prepotente. Tuttavia, lo zelo sovversivo applicato dagli Usa ai renitenti non viene riservato a quei regimi dittatoriali che hanno dichiarato fedeltà alla Casa Bianca. Questa pesante contraddizione inficia lo slancio etico di cui si ammantano personaggi come Soros, capaci di trasformare gli ideali in business e il business in un affare di Stato.

A noi tocca, ad ogni buon conto, evitare di personalizzare troppo il nemico, retrocedendo in secondo piano i fondamentali rapporti di forza e le dinamiche conflittuali di cui i singoli sono socialmente creature, come avrebbe detto Marx. Per questo non consideriamo Soros l’unico grande burattinaio della finanza mondiale. Esso è, piuttosto, un agente americano tra gli altri, molto potente ma non il padreterno. E’ gravissimo però che un uomo così ostile sia accolto dalle nostre istituzioni come un consigliere fidato. A Soros dovrebbe essere impedito di mettere piede in Italia, dopo quanto accaduto agli inizi degli anni ’90. Si devono a lui, e ai suoi appoggi internazionali, le trame per far precipitare la lira, con conseguente svuotamento delle casse pubbliche, creazione di nuove tasse, prelievo forzoso sui conti correnti e anche svendita di importanti asset nazionali. Il finanziere, peraltro, non ha mai negato di aver affossato la nostra valuta: “L’attacco speculativo contro la lira fu una legittima operazione finanziaria”…”Gli speculatori fanno il loro lavoro, non hanno colpe. Queste semmai competono ai legislatori che permettono che le speculazioni avvengano. Gli speculatori sono solo i messaggeri di cattive notizie”. Ciò è vero ma in parte perché erano comunque tutti d’accordo, gli americani e i succubi politici nostrani. Più che basarsi su un’intuizione (“le dichiarazioni della Bundesbank, che dicevano che la banca tedesca non avrebbe sostenuto la valuta italiana. Bastava saperle leggere”), Soros disponeva di ben altre informazioni, probabilmente fornite dall’intelligence statunitense. Non bisogna dimenticare che qualche mese prima c’era stato l’episodio del Britannia dove fu deciso da “ operatori delle principali finanziarie internazionali e alcuni esponenti italiani, dirigenti di società pubbliche, enti e banche, tra questi c’era Mario Draghi direttore generale del Tesoro”(Veneziani) di dare il colpo di grazia all’economia del Belpaese e ai suoi residui di autonomia industriale e politica. Soros, imbeccato dalle alte sfere, eseguì alla perfezione i compiti, traendone un profitto e facendo un favore a Washington. Che oggi venga accolto a Roma come un Capo di Stato è il colmo. Ciò dimostra che i traditori della patria sono ancora in sala di comando a fare danni e a perpetrare la sottomissione della Penisola allo straniero.